Copio e riproduco un titolo da Pubblicità Italia del 7 marzo 2001:
"Silvian Heach fa ricorso contro lo stop alla campagna" - "Iap: in attesa della sentenza definitiva l'affissione va avanti"
Aggiungo di mio:
Più questa storia va avanti nei tribunali, sulla stampa, nella tv, più i proprietari di questo brand si fregano le mani. Non voglio assolutamente dire che non se ne deve parlare (ovviamente questo vale soprattutto per noi professionisti della pubblicità). Dico solo che in un sistema sociale e di comunicazione dove non prevale chi argomenta meglio, ma chi grida di più, il nostro involontario supporto all’amplificazione di questa operazione è paradossalmente inevitabile.
Giustamente, più che di una trovata brutta e facilona, almeno da parte nostra, si è discusso dell’umiliazione delle donne.
Nei giorni scorsi ho visto su la Repubblica una nuova pubblicità, a pagina intera, di questa marca dove si vedono due ragazze vestite in modo “perbene” (per non dire, quasi castigato). Viene spontaneo pensare che tutta la faccenda delle natiche nude e dei gelati a forma di pene, sia stata messa in atto solo per accelerare la conoscenza di un brand che ai più era ancora sconosciuto.
Anche con la discussa modella anorressica di Toscani (nel frattempo deceduta, con il conseguente suicidio di sua madre), la marca Nolita (nome che non deriva certo da Nabokov) nata nel 1998 ma ancora poco nota, era riuscita a farsi ri-conoscere di colpo da milioni di cittadini, con una sola unica affissione. L’indotto tam tam mediatico ha reso mille volte di più delle stesse “campagne”.
In ambedue i casi sarebbe sbagliato parlare di brutta pubblicità (almeno come la intendiamo noi, che di solito la avversiamo), ma piuttosto dovremmo considerarle efficaci “operazioni di branding accelerato” - dove non contano assolutamente nulla la creatività, gli argomenti, la fantasia, l’execution, il prestigio, la bellezza, la comodità, la qualità del prodotto, il prezzo, ma solo ed esclusivamente una sguaiata e dirompente identità. Si tratta di una tecnica che (almeno nel periodo breve) può funzionare. E’ un meccanismo di identificazione che, per esempio in campo televisivo, è praticato da anni (anche lì con risultati eclatanti) dai vari Sgarbi, Ferrara, Santanché, Mussolini: non importa COSA dicono, ma solo COME mettono in pratica le loro operazioni di P.R.
Credo che per noi creativi italiani sia venuto il momento di analizzare e capire finalmente a fondo questi meccanismi. E’ sterile (se non addirittura controproducente), prendercela sempre con chi non è creativo - ma solo aggressivo. Se posso usare una metafora calcistica, impariamo invece dal Barcellona - un team che fin dai tempi dell’Ungheria di Puskas, del Brasile di Pelé, dell’Olanda di Cruyff, non s’era mai visto giocare così:
1) A parte il caso Messi (“importato” ancora ragazzino malaticcio dall’Argentina, ma poi cresciuto e coccolato da loro per parecchi anni), il Club blaugrana investe per tradizione nel cosiddetto vivaio: i giovanissimi, le promesse, i ragazzini con grande personalità, vengono addottati, incoraggiati, accuditi, perfezionati, fino al loro esordio nella prima squadra. Due terzi di questa squadra-meraviglia proviene da lì.
I nostri stagisti (usciti o non usciti dalle scuole di pubblicità) vanno seguiti, formati e incoraggiati con convinzione. Mandiamoli al più presto "in campo" se sono bravi. Assumiamoli perché la loro creatività arricchisce anche il futuro nostro.
2) Il possesso-palla non è un dogma tattico. E’ una cosa molto più banale: quando il pallone ce l’hai tu, l’altra squadra non ce l’ha. Sei tu che detti l’andamento della partita e non è nemmeno detto che facendo così, tu debba per forza correre di più. Nell’ultima partita contro l’Arsenal, la proporzione era 70 a 30. Una differenza mai vista da anni nella Champions League.
Ogni giorno, ogni momento dobbiamo insistere ad anticipare i tempi - i nostri, quelli della tecnologia, dei media, dei concorrenti, di chi paga. Non dobbiamo mollare mai. L'iniziativa deve sempre rimanere nostra - non dei committenti.
3) Non devi mai scoraggiarti. Anche quando sei sotto di un goal. Siccome sai di essere (più) bravo, sai anche che i conti si fanno alla fine. Se insisti a rincorrere ogni singolo pallone, prima o poi l’iniziativa te la riprendi tu. Prima di demonizzare l’avversario, fai in modo che lui tema te.
Perdere un budget o persino un cliente non significa che per forza abbia sbagliato tu. Una volta si diceva che mantenere un cliente è più importante che conquistarne uno nuovo. Io credo sia vero l'opposto. Vincere una gara o avere un'assegnazione diretta è una magnifica soddisfazione.
4) La tattica e l’allenatore sono importantissimi, ma in campo ci vanno i giocatori. Le idee che portano al goal nascono sul campo, spesso in modo illogico e imprevedibile. Piuttosto che dominare e condizionare lo spogliatoio, conviene incoraggiare incessantemente i giocatori. Fargli capire che loro sono infinitamente più importanti della presidenza, di chi è proprietario del Club, è l’incoraggiamento più potente.
IL DIRETTORE CREATIVO NON DEVE ESSERE UN PROTAGONISTA, UNA STAR. DEVE ESSERE UN ESEMPIO, UN ISTIGATORE, UNO CHE E’ SEMPRE DALLA PARTE DEI CREATIVI.
5) Non è detto che un bravo allenatore debba per forza essere stato anche un bravissimo giocatore. Ci sono gli uni e gli altri. Liedholm e Cruyff erano grandi in tutti e due i ruoli, Mourinho e Guardiola no.
Non sempre i grandi direttori creativi, anche tra quelli che avevano che avevano fatto la storia della pubblicità, erano stati dei grandi creativi. Bill Bernbach, Raymond Rubicam, Steven Frankfurt, non avevano strabiliato come creativi, ma poi avevano cambiato la storia della pubblicità.
6) Anche se in una squadra vincente c’è una grande star (Sivori, Maradona, Pelé, Platini, Ronaldo, Messi), senza il grande talento dei loro compagni, probabilmente questi campionissimi sarebbero rimasti solo dei campioni. Si perde e si vince insieme. L’invidia e le gelosie sono sempre controproducenti. Il calcio ciappanò non rende. Il difensivismo a oltranza castra la creatività, ma l’invidia verso i compagni è anche peggio.
In un'agenzia conta moltissimo la qualità dei creativi. Ma conta ancora di più la motivazione e l'orgoglio dell'intera squadra - compresi la segreteria e il producer, l'art buyer ed il planner. Quando si vince un premio, è sempre un traguardo che appartiene a tutto il reparto. I coni e i leoni vinti devono essere esposti nella reception o nella sala meeting - non nel soggiorno a casa di chi ha "firmato" il lavoro.
7) Quasi mai i giocatori del Barcellona se la prendono con l’arbitro, con i guardalinee, con i giornalisti. Per loro, il calcio è ancora “il gioco del calcio”. Se vinci così tanto - e in quel modo - una svista o un errore di chi ti giudica fa, appunto, parte del gioco.
Prendercela con l'account, con i clienti, con le giurie è stato per anni il nostro gioco preferito - un gioco dove alla fine perdono tutti. Per Flaubert, il successo è una conseguenza, non un obiettivo.
8) Giocando, ti devi divertire. Non basta segnare, non basta vincere, non basta essere ricchi e famosi. Giocare deve essere la cosa più bella che ti càpita di fare nella vita (ovviamente in posizione eretta...).
Fare il creativo è un mestiere unico, bellissimo, appagante. Siamo molto più fortunati dei nostri clienti. La famosa frase di Séguéla del pianista nel bordello è solo un vecchio calembour che va bene per chi non capisce una mazza del nostro lavoro - mai per noi.
L’altro giorno ho visto Arsenal - Barcellona. Come succede sempre, i nostri giornali hanno poi parlato degli errori di Wenger, della presunzione dei giocatori dell’Arsenal, dei palleggi “leziosi” degli spagnoli, dell’insistenza nel possesso palla, delle tantissime occasioni “sprecate” dai blaugrana... che pena. L’unica cosa da scrivere sarebbe stata questa: se il nostro calcio tentasse di emulare solo minimamente il gioco, la gioia, la complicità, la velocità, l’insistenza a cercare sempre e comunque il goal, di questi splendidi creativi della palla, forse i nostri stadi tornerebbero a riempirsi.
La parabola tra la nostra creatività e quella dei ragazzacci blaugrana, mi sembra facile, convincente e, forse, pure divertente.
- Till Neuburg
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