Mi chiedo spesso come mai la maggioranza rumorosa degli opinion maker italiani (ufficiostamponi, gazzettari, pierrine) siano sempre più alla rincorsa del déjà-vu, delle ultime e penultime, della patina trendy e dusty che si è depositata sulle loro deformanti contact lenses.
Basta che un St.Niklaus Davi qualsiasi gli dica cosa, dove e come scimmiottare ciò che i suoi amiconi non fanno più da almeno 23 ore, ecco che rinasce per l’ennesima volta l’ultima happy hour per i nostri presunti happy few.
Invece sarebbe così bello, utile e forte, guardarsi un po’ in giro - sotto, dietro e dentro noi. Invece, se posso parafrasare i Fratelli Coen, “Questo è un paese per vecchi” dove i nuovi talenti rimangono nullatenenti aut opulenti finché non vengono scoperti a Lugano o a Seattle, in un loft di Berlino o su YouTube.
Un solo esempio: sei anni fa nelle nostre sale uscì un film di un “nuovo” regista (in realtà era già il suo sesto feature) che avrebbe dovuto far capire anche agli stitici del cinema buonista che ci trovavamo di fronte a un autore di statura e potenza internazionali. Con “L’imbalsamatore” Matteo Garrone aveva dimostrato in modo perentorio che il nostro nuovo cinemino paradisiaco delle liti tra fidanzati, suocere e vicini di condominio era già lo stanco modernariato di una società a responsabilità limitata - ciabattosa, cianotica, ciellina.
Ci voleva il glamour e il can-can di Cannes per levare finalmente i paraocchi anche ai nostri trendisti a tempo pieno.
Solo dopo i tappeti rossi della Costa Azzurra, la materia grigia dei nostri cronisti rosa si mischiò di colpo con il noir - che più nero non si può: finalmente era ufficiale che la cupezza ce l’abbiamo dentro pure noi, che c’è in abbondanza anche nelle nostre famigliuole, nei nostri Enti locali, nelle nostre Segreterie sempre più segregate.
Prima o poi (meglio prima) questa sorte di italica scoperta tardiva si abbatterà anche sulle vite dei vari Alessandro Bavari, Luigi Bussolati, Francesco Cafiso, Fabio Iaschi, Patrizia Laquidara, Adriano Mestronio, Pinuccio Sciola (gli esempi potrebbero essere centinaia) - quando a New York, a Tokyo o a Ponte Chiasso qualche guru o giuria un po’ meno provinciale li incoronerà come eredi diretti o indiretti di Tina Modotti, di Marinetti o di Fabrizio De André.
Chi qualche settimana fa non aveva voglia di celebrare il solito evento farcito di stuzzichini, BlackBerry e convenevoli R.S.V.P., al Teatro Studio di Milano poteva vedere e sentire in anteprima mondiale un botto artistico e politico, italianissimo, di rara intensità.
Prima di dire qualcosa di sensato su questa opera assolutamente non prima, sappiate che fino a questo preciso momento che butto giù queste righe, il più recente lavoro del “nostro” protagonista è stato visto su YouTube ben duemilioniottocentoottantaseimilaecinquecentocinquantasette volte.
Come dire: la cultura italiana ha fatto Bingo worldwide.
Sto parlando di un roadmovie che più roady non si può. Si svolge interamente sulle strade e sui muri dell’America Latina. In verità il suo enigmatico titolo MEGUNICA è semplicemente l’acronimo di MEssico-GUatemala-NIcaragua-Costarica-Argentina che sono i paesi nei quali il protagonista di questo lunghissimo corto (o troppo corto colossal sociale) ha lasciato letteralmente il segno.
L’artista è un writer, un cronista-poeta che dipinge sui muri cosa cova – o potrebbe covare - nelle pance e dietro quei sipari di mattoni, di calce e di cemento armato. Il giovanotto (anche se non lo vediamo mai in faccia, si capisce che è probabilmente un gentile ma duro under30) si nasconde testardamente sotto uno pseudonimo che, immagino per forza, non è so lo un colore, ma un‘implosione di concept e di idee - una millefoglie, un substrato, una sigla multilayer misteriosa. BLU potrebbe significare, per esempio, Bionico Lineare Urbano, oppure Basista Ludico Unificante, ma anche più semplicemente Basic Link for Understanding.
Che ne so…
Infatti, con l’understanding immediato tra una straordinaria mente italiana e migliaia o milioni di cittadini che gli yankee insistono a chiamare beceramente “latinos”, ma anche grazie alla crescente popolarità delle sue opere in tutto il mondo, i suoi dialoghi visivi parlano decisamente direttamente col centro delle nostre budella. Nei suoi quadri-disegni-grafitti, s’intravvede quasi sempre ciò che di solito è nascosto. Alé.
Sono i sogni che, una volta smantellati dalla coltre notturna, diventano di colpo mostruosi perché la luce del sole non solo illumina il mondo, ma acuisce anche in modo netto le ombre, il chiaroscuro, la silhouette. Sarà per questo che la sua vision introspettiva si è presto tramutata in una tecnica di racconto che è, allo stesso tempo, innovativa e terribilmente elementare: per gli appassionati dei neologismi potremmo inventare un cacofonico “Wall Motion”, un “Physical 3D”, un “Concrete Animation” oppure semplicemente: genialità.
Palesemente, i grandi protagonisti del film sono le persone che osservano, convivono, leggono e ammirano ciò che, in modo mediato, abbiamo visto anche noi. Anzi: a sentire le loro parole, non c’è proprio nulla di indiretto, di straniante, di miracoloso. Se la parola “murales” non è italiana e tantomeno inglese, un motivo ci sarà. Tra i tanti racconti sulle loro vite e il loro rapporto con l’arte spicca un commento di un ragazzino che per un Bonito Oliva o un Daverio qualsiasi sarebbe un’autentica lezione sudamericana a livello del miglior Calvino.
E qui mi fermo: per chi ha preferito fare la fila nella misera movida meneghina o per chi si nutre avidamente delle tappezzerie di Wallpaper, svelo con inconsueta generosità dove i ritardatari possono colmare, almeno in parte, la loro défaillance:
www.megunica.org
www.blublu.org
(Di questo grande artista italiano abbiamo parlato molto noi di ninja)
Anche il regista, la producer, l’organizzatore, i musicisti, l’editor e, infine, le persone e la società che hanno cocciutamente finanziato questo straordinario trip, sono tutti italiani - esattamente come voi.
Nessuno di loro è nato e cresciuto a Manhattan, nel West End, nelle Ramblas o sotto la Porta di Brandeburgo - un segnale forte e chiaro che quando c’è la volontà di scovare, alimentare e organizzare il talento e la creatività, anche noantri siamo capaci di competere con la meglio gioventù che parla English, Deutsch, Français o il gergo di Cupertino o Redmond. Siccome ciascuno di loro ha contribuito al progetto in tanti modi, ve li nomino in rigoroso
ordine alfabetico. A voi di individuarne i ruoli. Sono sicuro che questo piccolo optional di ambi- e plurivalenza, al protagonista piacerà.
Dunque, una standing ovation a Fabio Capalbo, Daniele Carmosino, John Earle, Luca Fanfani, Lorenzo Fonda, Lorenzo Magnaghi, Mario Mazzoli, Ivan Merlo, Francesco Pistorio, Andres Rejmondes, Olivia Verona, Markus Wagner.
E, naturalmente, al grande e misterioso Blu.