
La finta massaia assumeva un’espressione da richiesta di stupro pubblico e si negava all’offerente facendolo rimanere di sasso.
Questa pubblicità soprattutto negli anni ’70 e ’80 è diventata una vero e proprio tormentone, uno dei motivi fondamentali per cui si può avere successo con la pubblicità tradizionale, almeno per quanto riguarda la diffusione del marchio.
Adesso Procter & Gamble ci riprova allontanandosi dal format caroselliano dello sketch e aprendo le porte di un nuovo tipo di pubblicità televisiva: la soap opera advertising.
La soap opera advertising consiste in una lunga serie di spot strettamente collegati tra di loro (e non soltanto flash con gli stessi personaggi e le stesse situazioni, ma vi sarà continuità narrativa), con protagonista principale sempre l’ormai decadente Paolo Ferrari, che prenderanno la forma di un serial a puntate di novanta secondi ognuna (quindi il doppio se non il triplo delle pubblicità classiche), che proporrà al pubblico una vera e propria sitcom.
Del resto la Procter & Gamble, per quanto riguarda la storia delle soap opera, può definirsi l’alleata più forte: negli anni ’30 in America lancia questo format attraverso la radio. Anzi fu proprio la ditta a far creare la definizione “soap opera”, proprio perché le trasmissioni erano sponsorizzate da un ditta che produceva saponi e detersivi.
Negli anni ’40 aprirono una propria divisione produttiva legata alle soap opera e nel 1950 produssero la prima soap opera per un network televisivo. E detengono il record della soap opera più longeva della storia, l’infinita “Sentieri”, che è iniziata sulla radio più di settanta anni fa.
Come sarà e quale impatto riceverà questo nuovo format dell’advertising televisivo ancora è difficile da pronosticare. Domenico De Masi su Repubblica afferma che può colpire soprattutto una fetta di pubblico anziano, abituato a bioritmi più lenti, che è poi il vero target del prodotto.
Il sociologo napoletano sottolinea questa novità nell’advertising classico, che può essere davvero rivoluzionaria in quanto: “la durata dilatata consente un cambiamento totale di contenuti, consente di passare da un contenuto allusivo, come nello spot della pasta che allude ad una famiglia tranquilla, o quello della bevanda alcolica che allude alle trasgressioni, ad un racconto. Il racconto toglie spazio alla fantasia ma tranquillizza, mentre il condensato liofilizzato della pubblicità alla quale siamo abituati è talmente condensato che richiede allo spettatore di aggiungere qualcosa di suo, se lo spettatore non lo fa perde consistenza e senso. In questo caso invece ti tolgono un po’ di fatica e ti regalano un po’ più di compostezza nel racconto”.
Per adesso gustatevi il backstage:










