Ci siamo cascati tutti: dall'acqua minerale contaminata alla morte del povero comico di turno, fino alla notizia sconcertante che, casualmente, riguarda il tema razzismo/omofobia/violenza/malattie. Il mondo delle fake news è ormai dibattuto da parecchio tempo e, nonostante ognuno di noi sia ben consapevole che il falso sia dietro l'angolo, continuiamo a cascarci.
Inciampiamo nelle fake news, ci facciamo male e cerchiamo di porvi rimedio. A tal proposito sono infatti tante le iniziative ed i progetti che le contrastano. A partire, per esempio, dal lavoro dalla Presidente della Camera Laura Boldrini che, dal questo 31 ottobre, porterà nelle scuole "I dieci comandamenti dell'era digitale", un progetto che prevede un coinvolgimento di 80 mila studenti.
Insomma, quando una tematica sbarca anche sui banchi di scuola in maniera così capillare forse qualche domanda in più occorre farsela. Non a caso, il contrasto alle fake news concerne vari ambiti tra cui anche quello della medicina con il progetto "Dottoremaeveroche", portato avanti dalla Federazione dei Medici Chirurghi e Odontoiatri contro le bufale nell'ambito sanitario.
Fake news: trasversali, capillari e pungenti
Ma sono veramente così diffuse? Chiedetelo all'Ambasciata d'Italia che ha controbattuto al Sun poiché, nel luglio corso, ha identificato Napoli come una tra le 10 città più pericolose al mondo. Ancora, chiedetelo al comune di Firenze che si è ritrovato a dovere smentire i numeri sugli stupri annuali. Chiedetelo allo Zio Mark (Zuckerberg, ndr) dopo che, poco tempo fa, si è scottato a Wall Street per via delle fake news. In diversa misura è vero, ma sì, hanno colpito anche lui.
Una premessa risulta però necessaria: le fake news non sono nate ieri, ma il web è stato in grado di amplificare e dare ampio respiro a qualsiasi cosa possa, per interesse, ignoranza, populismo, colpire il grande pubblico. Dalla Brexit alle presidenziali del novembre scorso i processi di disinformazione si sono innescati con una rapidità impressionante attecchendo sui pregiudizi di ognuno.
Crediamo a quello che vogliamo credere?
Per contrastarle non basterebbe forse l'autorevolezza dei media? Sapere che vi è una struttura redazionale alle spalle di un articolo, non potrebbe essere sinonimo di garanzia, prima di credere dunque a qualsiasi notizia?
Ce lo siamo chiesto tutti, ma qualcuno ha preso al cuore la causa.
Christoph Aymanns, Jakob Foerster e Co-Pierre Georg hanno provato a capirci qualcosa in più e sono arrivati ad una conclusione in merito. Questi teorici hanno condotto di recente uno studio per capire come mai le fake news si diffondano così rapidamente.
In sintesi, a loro avviso che il successo della loro capillarità dipenderebbe dalla primordiale e precisa targetizzazione: chi vuole diffondere una fake news - secondo loro - individuerebbe infatti un preciso cluster di utenti pronti a commentare e diffondere la notizia, facendo leva sul fatto che questi, culturalmente, non siano in grado di distinguerne una vera da una falsa.
Cosa possiamo fare
Solitamente si targetizza per conoscere i gusti e le opinioni delle persone al fine di vendere un prodotto, ma grazie a questo studio scopriamo che studi e analisi del target possono servire anche per essere i destinatari primari delle fake news. Incredibile. Come si può realmente contrastare questo fenomeno senza alterare il modello di business della pubblicità dei social media?
Aymanns, in tal senso, suggerisce che devono essere prima i social stessi a contrastare notizie false, sospendendo tutti gli annunci mirati durante le campagne elettorali, per esempio. Un passaggio impossibile, dato quanto sia importante tale pubblicità per l'economia. In alternativa, gli avversari delle fake news potrebbero utilizzare la stessa tecnologia di targeting per identificare ed educare le persone più vulnerabili.
Impossibile? No, probabilmente arduo, se si considera che le fake news sono come i virus: l'immunizzazione attraverso l'educazione può aiutare, ma potrebbe non essere una difesa globale.