Siamo spesso abituati a intendere e "leggere" le innovazioni digitali in modo astratto, de-contestualizzate rispetto alle specificità - talvolta anche ai limiti - che le diverse variabili in gioco (Sistema Paese, industry di riferimento, etc.) possono presentare. On top, il "sogno americano" sembra relegare in secondo piano tutte le altre realtà nazionali, spesso (e troppo frettolosamente) "bollate" come incapaci di stare al passo con la velocità made in US.
Quanto c'è di vero in questi discorsi, e quali sono le reali sfide che le aziende affrontano day by day per fare la differenza sui e grazie ai media digitali? Per rispondere a questa e ad altre domande di grande interesse con un focus concreto sull'industry Pharma, ho avuto il piacere di intervistare per Ninja Marketing Luca Naponiello, Communication Manager di Merck in Italia.
Il risultato? Una conversazione su presente e futuro del digital in ambito healthcare e Pharma che reputo di ispirazione per tutti i practitioner.
Non mi dilungo oltre: non resta che augurarti buona lettura!
Il risultato? Una conversazione su presente e futuro del digital in ambito healthcare e Pharma che reputo di ispirazione per tutti i practitioner. Non mi dilungo oltre: non resta che augurarti buona lettura!
Buongiorno Luca, grazie per l'intervista e benvenuto su Ninja Marketing. Sappiamo che l'industry pharma presenta alcuni elementi specifici che incidono anche sulle azioni in ambito social e digital. Quali sono tali sfide?
Buongiorno Alberto e a tutti i lettori di Ninja Marketing!
La principale sfida del Pharma è legata al fatto che il settore, in ambito social e digital, non ha ancora raggiunto la maturità di altre industry. Già nel 2014, da un’indagine di Capgemini e MIT, il Pharma è stato posizionato come beginner. Sono passati 3 anni da quella rilevazione, ma il settore non è certamente cresciuto come altri.
In Europa, rispetto al budget di marketing complessivo solo il 15,7% è destinato alle strategie e alle attività sui media digitali. C’è consapevolezza sull’importanza del tema, ma spesso le azioni non corrispondono alle promesse. Ciò è dovuto certamente alle difficoltà ad operare in un settore strettamente regolamentato, ma non solo.
Due aree su cui c’è molto interesse sono il mobile health e la possibilità di usare il web nella sua forma più interattiva / 2.0. L’area di mobile health è molto interessante ed offre opportunità potenziali incredibili, come testimoniano anche i vari progetti di open innovation avviati dalle aziende pharma.
Se diamo un’occhiata ai numeri è un paradigma in crescita, come giustamente rimarcato da Eugenio Santoro, Responsabile del Laboratorio di Informatica Medica presso l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, in un suo recente articolo: nell’ultimo anno le app di salute sono cresciute di 100.000 unità, negli app store ne contiamo circa 260.000. Ma se guardiamo il numero di download, questi non aumentano in modo proporzionale a tale crescita.
Sicuramente questi grandi numeri hanno portato ad una certa saturazione, che si accompagna ad una limitata considerazione dell’utilità di queste app da parte dei professionisti della salute e dei cittadini/pazienti.
Esistono varie ragioni che possono spiegare questo fenomeno.
Innanzitutto le app utilizzabili per finalità diagnostiche o terapeutiche sono da considerarsi dispositivi medici, e questo ha senz’altro un impatto in termini di complessità per chi le sviluppa, che spesso preferisce adottare soluzioni più semplici, ma di minore valore per l’utente finale.
C’è poi il problema della validazione scientifica: esistono diversi studi sulle app mediche, ma spesso tali studi risultano carenti a livello metodologico (ad es. non hanno previsto il coinvolgimento di un gruppo di controllo o il periodo di osservazione è stato molto breve).
Inoltre, molto spesso queste app si interfacciano con i wearable device (activity tracker) per rilevare i parametri vitali delle persone, e ci sono tutt'ora perplessità sull’affidabilità di tali rilevazioni rispetto a strumenti medici professionali.
Per quanto riguarda più specificamente l’uso dei social media, c'è il mito degli USA come paese libero e meno regolamentato. In realtà non si fa molto di più rispetto alle altre nazioni: c’è solo una maggiore possibilità di engagement per via dell'audience all'ascolto. A proposito di audience, uno studio Ogilvy – Pulsar ha comunque rilevato come a fronte di tanti canali digitali attivi la comunicazione pare non avere preso tanto la misura di chi sia effettivamente il target, e non si attiva per favorire un reale coinvolgimento dello stesso: in particolare il linguaggio utilizzato anche dalle Pharma USA è quasi sempre auto-referenziale.
In definitiva, il Pharma è un settore ad altissimo potenziale, ma ancora in ritardo rispetto ad altre industry.
Dopo questa "big picture" a livello internazionale, quali sono le specificità del contesto italiano?
In Italia, in termini di esperienza social e digital nel Pharma, siamo allineati alla realtà europea. Certo, il contesto non ci aiuta: secondo l’ultimo report DESI sul livello di digitalizzazione dei Paesi europei, siamo penultimi, seguiti solo dalla Romania. A penalizzarci soprattutto numero di utenti Web e competenze digitali.
Anche per quanto riguarda la spesa sanitaria pubblica per l’e-health non brilliamo: 1,3 vs il 2/3% degli altri Paesi europei, con picchi in UK e Germania (4%).
Si stima che l’Italia potrà toccare i livelli di questi best in class non prima del 2020. Le aziende private rispetto al pubblico sono comunque in una posizione più accelerata e avanzata nel percorso di digitalizzazione organizzativa. Nel Pharma tutti hanno realizzato che il digitale è uno strumento importante, ma salvo alcune eccellenze non possiamo dire di essere all’avanguardia: pochi account social aziendali, molti più account legati alle campagne; in generale, è molto diffusa una logica di campagna "on/off".
Il tasto più dolente, che da una prospettiva complementare si traduce in sfida di tutto il comparto healthcare, è quello dei contenuti: non a caso si tratta anche dell’area per cui si ricorre con maggiore probabilità all’outsourcing.
Per quanto riguarda le metriche da monitorare e i KPI, ci si focalizza molto su elementi quantitativi, perdendo spesso di vista la parte qualitativa. Vedendo gli strumenti di marketing e interazione multi-canale più utilizzati facciamo poi un salto indietro: si parla molto di website, eDetailing, direct e-mail marketing. Sforzi più innovativi sono stati recepiti da pochi player, e solo di recente. Questo però è ancora una volta in linea con la situazione europea.
Chris Ross ha descritto il pharma come la "la la land" del multi-channel, una bella metafora per rappresentare una vittoria già celebrata prima ancora che sia stata conseguita. In realtà, in molti casi, siamo ancora lontani da una piena integrazione tra la strategia digitale e strategia aziendale. La comunicazione mai come questi in ultimi anni ha avuto tante possibilità in termini di indicatori per monitorare la performance: nonostante ciò, o proprio per tali numeri così solidi, si fatica a "vedere" e individuare l’impatto reale sugli obiettivi aziendali.
A proposito di strategia digitale, quali sono i principali pilastri del posizionamento online di Merck in Italia?
In Merck Italia abbiamo disegnato un piano di comunicazione unico e pienamente integrato sia tra i canali che con la strategia aziendale complessiva. Tenendo in considerazione i canali digitali e l'ecosistema online, identifichiamo 3 pillars:
- Sviluppo delle competenze digitali e dell’advocacy all’interno dell’organizzazione. Questo primo pillar è la conseguenza di due considerazioni. Prima di tutto, in un settore regolato come il nostro, è essenziale che tutte le professionalità coinvolte nell’approvazione e produzione dei contenuti digitali conoscano peculiarità e dinamiche dei principali canali digital.
Inoltre, mai come negli ultimi anni ho visto venire a mancare qualsiasi separazione tra comunicazione interna ed esterna, a seguito soprattutto dell’imporsi del digital e dei social media. È per questo che penso che, sempre di più, tutti i componenti dell’organizzazione possano e debbano diventare un soggetto attivo della comunicazione aziendale. Se ben progettata, organizzata e gestita l'advocacy costituisce una notevole leva di engagement, nonché un valore importante per tutte le aziende. Credo si debba uscire da una logica di hub unico (l'azienda) diffusore top-down dei valori aziendali, verso processi innovativi di comunicazione diffusa e P2P. - Ascolto del contesto: nel momento in cui un’azienda dichiara di posizionare i propri stakeholder al centro, deve effettivamente ascoltarne i bisogni, cercando se necessario di anticiparli. Noi abbiamo iniziato già diversi anni fa a fare web listening: allora i luoghi dell’interazione si riducevano ai forum, e non era difficile raccogliere insights interessanti. Oggi con i blog e i social media gli utenti del web sono diventati prosumer e le fonti da cui attingere e da analizzare si sono moltiplicate. Per le aziende esistono comunque obblighi specifici: si pensi solo alle responsabilità di farmacovigilanza, da ottemperare nel caso in cui nel corso dell’attività si venga a conoscenza di potenziali eventi avversi.
Da questo approccio all’ascolto si crea comunque un valore che si traduce poi in iniziative concrete. Cito per esempio Spot My Trial, un sito ed una app che includono una serie di contenuti video per spiegare il mondo degli studi clinici ai pazienti, ed un motore di ricerca per orientarsi tra le sperimentazioni attive in Italia. Spot My Trial è nato con un duplice obiettivo: aiutare il paziente, che deve valutare l’opportunità della propria partecipazione ad un’eventuale sperimentazione clinica, a orientarsi in una situazione complessa e delicata, dove spesso si devono affrontare informazioni e termini di difficile comprensione; favorire l’individuazione dello studio clinico che potrebbe essere utile alle necessità di un paziente con una particolare condizione. Un altro esempio è l’app La Mia Voce, un simulatore vocale personalizzabile che prevede una serie di messaggi chiave costruiti sull'analisi dei bisogni specifici del paziente affetto da tumore del testa-collo che ha subito la totale o parziale perdita della voce. Oltre all’ascolto delle community c’è infine anche l’analisi dei dati di "performance" (engagement, fidelizzazione, etc.) dei nostri contenuti online, da cui riusciamo anche a renderci conto di quali sono i messaggi / contenuti più premianti ed efficaci in termine di coinvolgimento e gradimento. - Attenzione verso la creazione di un ecosistema digitale integrato ma sostenibile: la sfida che abbiamo definito non è quella di accendere tanti touchpoint di contatto con l'utente, ma scegliere quelli giusti in linea con la strategia e che siano davvero in grado di creare valore per i nostri interlocutori.
La nostra "palestra" è stata la comunicazione social per i nostri progetti di Corporate Social Responsibility: Premio Letterario e Scienza Narrata. Nel 2015 abbiamo iniziato a concentrare attenzione e sforzi sulla comunicazione corporate prima con l'apertura del canale YouTube Merck Italia, poi di Merck for Life (un sito dedicato alle iniziative che possono fare una differenza nella vita dei pazienti). In questo periodo stiamo proseguendo nella promozione delle attività di social advocacy. Per il 2017 pensiamo ad altre attività, al fine di creare step by step un ecosistema di asset digitali ad alto valore aggiunto.
Quali sono le principali iniziative digitali di Merck Italia?
La prima che voglio segnalare consiste nel Fertility 2.0 Award, quest'anno alla terza edizione: è un riconoscimento, dedicato a giornalisti ed utenti di Internet, volto a premiare coloro che, con i loro contributi, contribuiscono alla diffusione di corrette informazioni sul tema della fertilità. Come azienda leader in questo campo, siamo coscienti che un elemento centrale per la tutela della fertilità è appunto rappresentato dalla conoscenza, dalla consapevolezza.
In questo, il web può costituire uno strumento potentissimo, fornire informazioni preziose per preservare la propria fertilità, o per riconoscere tempestivamente eventuali difficoltà e sapere come gestirle.
Inoltre, con la sua interattività, il web può consentire un confronto ed una condivisione su questi temi che spesso le persone non amano discutere “dal vivo”.
Il Fertility 2.0 Award nasce proprio per premiare questo utilizzo virtuoso del web, sia da parte dei giornalisti che degli utenti della rete.
Siamo felici perché negli anni il numero di contributi è aumentato: quest’anno sono stati candidati 123 contenuti tra articoli (69) e testimonianze (54). Ciò a conferma che l’intuizione è stata corretta.
Un secondo progetto che ricordo con piacere è l’hackathon H-ack Merck for Health, un evento che si allinea con il paradigma dell’integrazione digitale tra online e offline: in realtà la maggior parte delle nostre iniziative prevede questo taglio integrato tra dimensione digitale e offline. L’hackathon è un esempio di iniziativa dove digitale non significa per niente virtuale. A Bari, Milano e Roma abbiamo incontrato giovani e startupper, ai quali abbiamo lanciato le nostre sfide in ambito healthcare. Abbiamo poi organizzato un hackathon finale a TAG Cinecittà: un evento che ha visto la partecipazione di ben 120 ragazzi da tutta Italia!
Il percorso è appena iniziato. Ora un gruppo di mentor interni all’azienda sta supportando i team a concretizzare le loro idee, anche tramite un’interazione virtuale che si basa sulla piattaforma Yammer.
Concludiamo l'intervista e salutiamoci segnalando il trend digitale del 2017.
Un trend che in realtà si sostanzia in attività che svolgiamo da tempo è il live broadcasting (dirette video): nel 2015 abbiamo effettuato la nostra prima diretta Periscope, relativa ad un evento via Web sui linguaggi della comunicazione nell’ambito della salute sul Web. Nel 2016 i momenti cruciali dell’hackathon sono andati in diretta sui canali del nostro partner H-Farm; quest’anno solo a Marzo abbiamo fatto due dirette YouTube: il lancio del concorso La Scienza Narrata e la cerimonia di premiazione del Fertility 2.0 Award.
Si tratta di un approccio che stiamo cercando di perseguire sempre di più perché è un messaggio molto importante di apertura verso l’esterno per un settore che - come già anticipato - tende spesso a fare una comunicazione un po’ auto-referenziale. Inoltre, Merck ha circa 1000 dipendenti sparsi nei diversi siti italiani, che, ovviamente, non possono partecipare a tutti gli eventi. Ci piace l'idea di coinvolgerli nelle nostre iniziative attraverso live ed eventi, trasformando gli asset digitali rivolti al pubblico esterno anche in potenti leve di comunicazione ed engagement interno.
Grazie davvero a Luca Naponiello per questa intervista davvero interessante su presente e futuro digitale del Pharma, visto da una prospettiva privilegiata come quella di Merck Italia.
Ninja, l'industry Pharma presenta certamente diverse limitazioni, ma anche altrettante novità. Qualche lettore all'ascolto addetto ai lavori che vuole condividere sulla nostra pagina Facebook buone pratiche ed esperienze personali?