Quando ho raccontato ad Emil Abirascid il progetto per la nuova Categoria Business, ex Sezione Startup, gli ho chiesto un editoriale sull'incubazione scientifica d'impresa, per aprire con un guest post gli argomenti di cui ci stiamo per occupare, offrendogli in particolare due spunti.
Gli ho domandato, cioè, qual è l’ostacolo maggiore rispetto alle prospettive di crescita in Italia per i prossimi 3-5 anni? E in che modo le metodologie di trasferimento tecnologico possono costituire un vantaggio competitivo per lo sviluppo del tessuto economico o quanto, invece, penalizzano l’impresa?
Ecco come risponde.
Rosanna Perrone
Due domande impegnative che presuppongono doti vicine alla veggenza. Tali doti non sono ovviamente contemplate, e nemmeno auspicate, ma è possibile tradurre tali stimoli in provocazioni.
Prima risposta: oggi il danno maggiore al processo di innovazione rischia di farlo la ‘comunicazione’. Non la comunicazione in generale naturalmente ma quella che trasforma la fisionomia dei fatti, annacquandone l’effettiva portata con il sensazionalismo o con lunghe esplorazioni nel regno dei grandi annunci ai quali raramente seguono fatti reali e costruttivi. Quella comunicazione un po’ “scimmiottesca”, che si aggrappa ai titoli dell’immaginario collettivo per riempire grandi pagine di illusioni dimenticandosi di raccontare le tante storie di coloro che, proprio perché poco chiacchierano, molto fanno, creando vero valore, vera innovazione.
Costruire un gran fracasso attorno a giovani ‘want-trepreneur’ dando loro l’immagine romantica del piccolo genio alla scoperta del mondo con un’idea in testa e un lapis, oops un Mac, in mano, è affascinante ma poco costruttivo.
Confondere il ‘digitale’ con l’innovazione è pure una perversione mediatica che rischia di fare danni: benché il digitale sia elemento importante e fondante del processo di innovazione tecnologica è lontano però dall’essere unico elemento di tale processo, sopratutto in un Paese come l’Italia dove il tessuto industriale, economico, produttivo e perfino sociale ha sviluppato le sue competenze e le sue eccellenze in ambiti diversi. Ambiti che sono assolutamente permeabili all’innovazione e che la cercano, la scovano, la sviluppano, la vendono.
Le belle storie capaci di “fare notizia” si possono trovare in Italia non solo nell’industria digitale, ma nelle frontiere biotecnologiche, nel settore medicale, nell’impresa sociale, le nanotecnologie, le energie alternative, persino in agricoltura.
Seconda risposta: un’altra comunicazione da reinventare, la comunicazione che traduce. Parlo di trasferimento tecnologico, artificio dialettico che giustifica l’esistenza di strutture il cui unico scopo è far dialogare la ricerca con l’industria che, in effetti, parlano due lingue diverse, ma non è inventandone una terza che il problema va risolto.
Il valore del traduttore sta prima di tutto nel capire i due idiomi; secondariamente nell’interpretare tali contenuti per renderli intellegibili.
In parole povere: il trasferimento tecnologico dovrebbe far capire e rendere appetibile per l’industria il frutto della ricerca scientifica. Il paradosso vede oggi il trasferimento tecnologico arroccarsi sul mantenimento della difficoltà di dialogo invece di essere reale facilitatore.
Emil Abirascid
www.abirascid.com