New York City. Fine Agosto. Un nerd riesce a salvare la sua colazione da un terremoto grazie ad un tempestivo tweet. Non sto scherzando, è davvero questo l'ultimo spot di Twitter!
Quanto ci vuole lo spettatore a irritarsi? 30 secondi. Il tempo di un tweet. La cosa che mi chiedo è: perché? A che pro fare uno spot del genere? Google non via ha insegnato nulla?
Certo, i creativi di Twitter avevano già sperimentato (con successo) la strada del coinvolgimento emotivo con uno dei loro primi spot. Questa volta però, la decisione di rinnovarsi è incappata nell'eccessiva idiozia e nell'ironia spicciola. Ma dov'è il brand? Dove sono le sue potenzialità, i benefici per gli utenti? Il risultato è noioso, lento e autocelebrativo (il tizio nella caffetteria è Danny Hertz, software engineer della piattaforma), e tra l'altro racconta del terremoto di NYC nel peggior modo possibile.
Solo perché avete creato la miglior piattaforma di microblogging, il cui uso crea elevata dipendenza e di cui ormai non possiamo fare a meno, credevate di farla franca?