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  • La riforma sul copyright è stata approvata: cosa cambia per chi crea contenuti (e per chi li condivide)

    I due grandi blocchi contrapposti di favorevoli e contrari si sono misurati a colpi di tweet e post. Vediamo insieme cosa può succedere adesso insieme a Giovanni Mattia Ricci, Docente di Diritto d'autore presso l'Università di Salerno

    27 Marzo 2019

    La famigerata riforma del copyright a livello europeo è realtà. Ora si fanno i conti per capire in che modo le direttive presenti nel testo potranno essere recepite nei diversi Paesi dell’Unione. Sono state molte le manifestazioni di supporto a Wikipedia, che ieri ha scelto di oscurarsi non rendendo disponibili le proprie pagine in lingua italiana. Ma l’impegno dei volontari, non è bastato. Fabio Chiusi, Responsabile Politiche Digitali del Questore Federico D’Incà, in un interessante intervento su Facebook ha sottolineato quanto la nuova Direttiva abbia un impatto marginale rispetto alle capacità dei colossi del settori e causerà invece grandi problemi ai soggetti più piccoli e alle startup. Sono moltissimi i canali, le pagine e l’account  sui quali compare l’invito di Wikipedia ad attivarsi per contattare gli eurodeputati e sostenere la bocciatura dei discussi articoli 11 e 13. Le principali critiche mosse da chi sostiene l’inadeguatezza della riforma sono che: “L’articolo 11 crea un nuovo diritto a favore degli editori in base al quale essi dovranno autorizzare espressamente ogni ripubblicazione delle notizie. Il testo finale prevede che la riproduzione di articoli di notizie dovrà essere soggetta a una licenza, tranne nei casi in cui si tratti di ‘singole parole o estratti brevi’. Non vi è alcuna eccezione per organizzazioni no profit o blog, e comunque il testo apre a notevole incertezza giuridica perché non c’è alcuna definizione di ‘brevi estratti‘ e che “In base all’articolo 13 tutte le piattaforme online che consentono il caricamento di contenuti da parte di utenti devono acquisire licenze per tali contenuti. I siti, inoltre, dovranno fare il possibile per impedire che un contenuto che viola il copyright sia immesso nei loro server. Le conseguenze sono ovvie: è impossibile per una piattaforma acquisire le licenze per tutti i contenuti possibili ed immaginabili (visto che la licenza dovrà essere acquisita prima del caricamento). E sicuramente si tratta di un compito improponibile per le piccole aziende“. Il portavoce di Wikimedia Italia ha sostenuto che l’oscuramento è stato un gesto simbolico, necessario perché la voce di chi si opponeva alla riforma è rimasta inascoltata, non trovando giusto spazio su media e magazine. Anche oggi, in attesa della votazione, Wikimedia Italia ha rincarato la dose, informando i follower dei “rischi” dell’approvazione della Direttiva.

    Le motivazioni di Wikipedia

    Noi di Ninja avevamo già sollevato la questione, registrando i tanti movimenti a favore delle iniziative a sostegno di una riforma ma in completo disaccordo con quanto proposto dagli organi europei e le modalità attraverso le quali attuare gli obiettivi. Maurizio Codogno, portavoce di Wikimedia Italia, aveva commentato per noi gli obiettivi della protesta: «L’obiettivo che vogliamo raggiungere è che ci sia un numero sufficiente di eurodeputati che bocci per lo meno gli articoli 11 e 13 (ora sono 15 e 17) perché riteniamo che non siano utili né per gli autori né per lo scopo che, in teoria,  la Direttiva si propone.  Si vorrebbe creare un mercato unico per il copyright, in realtà, per come sono formulati gli articoli 11 e 13 si ottiene un guazzabuglio che ha poche possibilità di funzionare». Non si può però dire che i nostri feed fossero inondati da contenuti riguardanti le manifestazioni di protesta che coinvolgevano online tantissime persone in diversi Paesi europei. Eppure, guardando le foto su Twitter, non sembra si tratti di un fenomeno di poco conto al quale non prestare attenzione.

    Cosa succederà adesso

    Per capire in concreto cosa dobbiamo aspettarci nei mesi a venire e se, davvero, il nostro modo di usare internet subirà inevitabili cambiamenti, abbiamo chiesto a Giovanni Maria Ricci, Docente di Diritto d’autore presso l’Università di Salerno ed esperto di copyright, concorrenza e marchi e brevetti di fornirci qualche strumento per mantenere il sangue freddo. La proposta ha suscitato molte polemica. Si tratto di un provvedimento, semplicemente, sbagliato? «La Direttiva in sé non può essere giusta o sbagliata. Se parliamo di efficacia, dipende da quali norme consideriamo. Si tratta di una direttiva “patchwork”, nel senso che considera tutta una serie di aspetti del diritto d’autore molto differenti, anche se tutta l’attenzione si è focalizzata su due articoli, l’articolo sulla responsabilità delle piattaforme, il 13, e sull’articolo 11, cioè sul compenso dovuto agli editori nel caso di riutilizzo di articoli giornalistici. Di per sé l’articolo 11 probabilmente è inefficace, perché esistono già due leggi in Spagna e in Germania molto simili alla Direttiva nelle intenzioni, in particolare quella spagnola. Quello che però è successo in Spagna è che Google News ha chiuso e che oggi l’aggregazione delle notizie avviene attraverso fornitori di notizie che sono fuori dalla Spagna. Per esempio, se prima un articolo veniva ripresa da El País o da altri quotidiani spagnoli, ora le news arrivano ma da organi di informazione terzi. Quindi, anche su questo, non credo che la qualità dell’informazione ne abbia beneficiato: è una norma che rischia di essere a vantaggio zero per gli editori. Anche se chiaramente diventa difficile prevederlo a “bocce ferme”,  per quanto ha riguardato la legge spagnola lo scenario è stato esattamente questo. Abbiamo un antecedente normativo di cui sarebbe stato necessario tenere conto».
    Cosa cambia adesso in termini concreti? «La norma è formulata in maniera molto vaga, in particolare quando si riferisce alla possibilità di inserire “estratti brevi“, senza definirne esattamente i confini. Anche il diritto di citazione resta lecito. Per quanto riguarda l’articolo 13, il discorso è molto complesso: è vero che alcune piattaforme sono diventate veri giganti, come YouTube, è chiaro che però YouTube ha anche inciso molto sui processi di creatività. Poi c’è un problema di ordine concorrenziale: l’ultimo testo della direttiva è stato modificato e ora prevede che tutti i requisiti che si applicano a YouTube, in termini di controllo sulle informazioni, per esempio, non si applicano alle startup che abbiano un fatturato inferiore a 10 milioni e non esistano da più di tre anni. In un mercato che non è più quello dove YouTube è nato ma è già ampiamente dominante, sembra difficile immaginare che le startup siano in grado, in soli tre anni, di conquistare delle posizioni tali da permettersi i sistemi di filtraggio e gli interventi tecnici che la direttiva copre. Paradossalmente, non si tratta tanto di una norma contro YouTube ma quasi di una norma contro nuovi concorrenti, in grado di fermare il mercato e frenare la nascita e la crescita di nuovi concorrenti. Se dovessi scegliere di investire dei soldi, non lo farei  in un mercato del genere sapendo che, tra soli tre anni, dovrò affrontare tutta una serie di problematiche abbastanza costose». Nella fase di recepimento della Direttiva, è possibile che venga modificata in qualche aspetto? «A livello italiano, Di Maio si è espresso contro la Direttiva, anche se non mi risulta che esista una posizione del Governo in questo senso. Nonostante la dichiarazione del vice-premier, non è possibile che non venga recepita perché ci esporrebbe a una procedura di infrazione. Si può limare il testo della Direttiva ma non si può stravolgere, proprio perché il senso è quello di avvicinare la normativa a livello di diversi Stati. Si può modificare qualche aspetto ma gli obiettivi devono essere raggiunti». «Le norme vanno comunque valutate nella loro applicazione pratica, per vedere quale sarà l’impatto reale sul mercato. Sull’articolo 11 sono molto scettico alla luce di ciò che è successo altrove. Per l’articolo 13, YouTube non avrà certamente stappato lo champagne a seguito dell’approvazione della direttiva ma, guardando l’altro lato della medaglia, paradossalmente rischia di uscire rafforzata da un tipo di processo del genere. A me meraviglia molto che si sia fatta una direttiva utilizzando il grimaldello del copyright per recuperare delle presunte perdite rivendicate dall’industria creativa e non si sia fatto nessun lavoro sui dati: quante persone hanno letto un articolo su Facebook, la fascia di età, il livello di istruzione, sono informazioni che hanno un valore economico molto più alto degli ingressi che possono essere ottenuti tramite l’articolo 11».