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Editoriale

Chi di storytelling ferisce di storytelling fallisce. La “lezione” di Mosaicoon

Dagli investimenti milionari al fallimento. Tutti gli errori che probabilmente hanno affossato la scaleup di Ugo Parodi Giusino (che adesso è in liquidazione). L'analisi del direttore Aldo Pecora

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Aldo V. Pecora 

Giornalista

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Pubblicato il 05/07/2018

Poteva diventare una favola. Un giovane videomaker che si inventa da zero un business (fortissimo) e dà lavoro a decine di ragazzi talentuosi come lui. Un’azienda nata (e rimasta) in Sicilia. Una startup che in un’Italia fanalino di coda per numero e qualità di investimenti in innovazione ce la fa ad internazionalizzarsi e poi essere venduta a un gigante del calibro di Google o Facebook, oppure che si quota in Borsa, o anche solo che macina fatturato, crescendo poco per volta, e divenendo una Pmi solida. E invece il capitolo finale nella storia di Mosaicoon dovranno scriverlo liquidatori e giudici fallimentari.

Diciamolo subito: oggi scriviamo del fallimento dell’azienda di Ugo Parodi Giusino, ma molti "addetti ai lavori" – compreso chi scrive – sembrano aver perso di vista molte delle più promettenti e iper-raccontate startup destinatarie in questi ultimi 6 anni (ovvero dal cosiddetto “decreto Passera”, che di fatto ha dato avvio all’ecosistema startup in Italia) di investimenti, anche pubblici. E, siatene certi, non mancheremo, per quanto possibile, di iniziare a scriverne. Perché quando si parla di innovazione il giornalismo non può essere solo celebrativo o necrologico, scrivere di fatturato e non di utili et similia. In mezzo c’è un oceano, popolato di squali e pesciolini, su cui è bene fare un po’ luce.

ugo-parodi-giusino

Il business model c’era (e anche la tecnologia)

La manualistica individua due-tre cause principali nel fallimento di una startup. Nel caso di Mosaicoon non è stato certo il business model. La community l’hanno creata davvero e, fino a un certo punto, ci sono stati davvero anche i numeri. Importanti.

I primi investimenti sono serviti per far crescere la base utenti e al tempo stesso diversificare il business. Nata come video marketplace per collegare brand e creativi, la startup palermitana aveva pensato anche ad aggiungere presto un ulteriore tassello imprenditoriale, ovvero collegare gli stessi brand (in qualità di inserzionisti) con i gestori di siti web, blog e magazine digitali, consentendo di monetizzare i propri contenuti mediante l’inserimento di video pubblicitari. Praticamente con il lancio di Plavid Mosaicoon chiudeva il cerchio, mettendo insieme sotto il suo network chi il video lo finanziava, chi lo realizzava e chi chi lo diffondeva.
E che non si dica, inoltre, che l’azienda di Parodi Giusino non abbia pensato a consolidare al contempo anche un asset tecnologico, perché non è vero. Mosaicoon ha affiancato al marketplace anche una piattaforma per l’analisi dei dati, elaborazione di strategie, misurazione delle performance. Nel merito della tecnologia, però, non possiamo scriverne, perché non lo abbiamo testato direttamente. Ma c’è, esiste. Sta sul mercato.

mosaicoon-sede

LEGGI ANCHE: Ascesa e declino di Mosaicoon, la (ex) startup che voleva fare la Sicilian Valley

Partire (troppo) in quarta

Ad ogni modo, di un fallimento stiamo parlando e, quindi qualche errore da analizzare ci sarà. Probabilmente più che gli eventuali errori ciò che non poco avrà contribuito ad affossare Mosaicoon è rappresentabile da alcuni eccessi. Un po’ come il giovane che ha paura di tradire le aspettative di famiglia, amici, e tutti coloro i quali lo hanno sempre descritto come bravo ragazzo e studente modello: avrà sempre un gran sorriso, anche se magari per anni non riesce a sostenere neanche un esame.

Quali possono essere questi errori? Probabilmente aver alzato troppo l’asticella. Certo, clienti e fatturato non mancano. Mosaicoon vedrà negli anni arrivare nel suo portfolio brand di primissimo livello quali Walt Disney, Land Rover, Barilla, Danone, Samsung, Vodafone, Italo, McDonald’s, Alitalia, Comune di Roma, Fastweb.

Così succede che, in un mercato digitale sempre più liquido, fatto di smart working e freelance che lavorano da casa, Mosaicoon decide di costruire, - fisicamente, letteralmente - il suo mito e investe nell’apertura a Isola delle Femmine di un campus modello Google: quattromila metri quadrati di fronte al mare. Pareti trasparenti, fatte di enormi cristalli, arredi Lago, altalene, mega divani e complementi di design, aree relax, palestra, finanche un orto aziendale. E poi uffici a Londra, Singapore, Nuova Delhi, Seoul, Milano e Roma.

Quando penso a quanta ostentazione sia insita in gran parte del mercato tecnologico nostrano mi piace ricordare a me stesso che Jeff Bezos, colui che oggi è l'uomo più ricco del mondo, nei primi anni di vita di Amazon non aveva comprato neanche le scrivanie, ma utilizzato delle vecchie porte in disuso, poggiate su dei cavalletti. Giusto per non raccontare sempre la solita storiella di Apple nata nel garage dei nonni di Steve Jobs (anche perché non è vera).

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Quel report (nato vecchio) del Financial Times

Dopo i primi 2 milioni e mezzo (tra gli investitori anche Intesa Sanpaolo), nel 2016 arriva un altro round, 8 milioni. Da lì è un pullulare di riconoscimenti, nomine, speech, eccetera.

Un anno dopo, a maggio 2017, il Financial Times censisce Mosaicoon nella lista delle mille aziende europee che crescono di più. La scaleup siciliana si trova al 517° posto in classifica, con una crescita delle revenue del 208%. Datela un'occhiata a quella lista! Noterete che era arrivata addirittura davanti ad aziende del calibro del colosso dell’eCommerce tedesco Zalando (che in lista è alla posizione n.640), per dire.

I dati, però, vanno sempre letti bene. La classifica del quotidiano londinese, praticamente, era già nata vecchia: il periodo di riferimento analizzato è l’arco temporale che va dal 2012 al 2015. E il fatto che una delle testate più organizzate, influenti e ricche del mondo, un colosso che può contare su centinaia di giornalisti, analisti, esperti e che ha sempre fatto dei numeri la propria forza e autorevolezza, ci possa mettere addirittura un anno e mezzo ad analizzare l’andamento delle maggiori aziende europee potrebbe e, anzi, dovrebbe suscitare non pochi interrogativi in osservatori e operatori dell’informazione che quotidianamente lo usano come una delle principali fonti. Quanto meno per l’importanza che quei dati andranno ad avere nella successiva narrazione del mercato nel suo complesso. Perché? Semplice, perché diventano un precedente importante che si rischia di comprometterlo, il mercato. O, peggio, di “falsarlo”: pensiamo agli effetti sulle aziende quotate in Borsa, per esempio.

LEGGI ANCHE: Le altre Mosaicoon. Chi sono e cosa fanno le aziende che lavorano con i video nel mondo

Non ci è dato sapere se e quanto abbia influito, seppur indirettamente, quella classifica sull’ultimo anno di Mosaicoon. La sensazione, banalmente, è che pare abbia contato più quella presenza in classifica che i bilanci dell'azienda dell'ultimo triennio. Così, a settembre 2017 il founder e CEO di Mosaicoon è ammesso nella rete di Endeavor Italia, l’organizzazione internazionale che promuove lo sviluppo economico attraverso il supporto di imprenditori ad alto potenziale. E un mese più tardi la sua azienda, stando a quanto dichiarato alla stampa, è l’unico Marketing Partner italiano tra le 18 aziende scelte a livello globale da Facebook per i contenuti video.

Innestare il team in corsa. A fine, corsa.

Letto con il senno di poi, un altro campanello d’allarme, la mossa del “proviamo a giocarci tutto”: gli innesti nel team. Meno di quattro mesi fa, nel primo giorno di primavera 2018 Mosaicoon annuncia due nuovi ingressi. Non si tratta di secondi livelli ma di prime, primissime linee, ovvero un nuovo CMO e un nuovo CFO, rispettivamente Josh Panzer e Marco Mazzarese. Praticamente, dopo il CEO, due delle quattro figure apicali più importanti in ogni azienda medio-grande.

Poche settimane prima addirittura Mind The Bridge, l’organizzazione basata a San Francisco presieduta da Alberto Onetti che fornisce servizi di consulenza per l'innovazione per aziende e startup e le collega con la Silicon Valley, aveva citato nel suo report Mosaicoon come una delle scaleup italiane “modello”.

Maledetto storytelling

Prima di scrivere questo articolo abbiamo provato a fare una ricerca un po’ più accurata su Google. Centinaia, migliaia di contenuti in cui si parla di Mosaicoon. Tanti sono campagne, prodotti video. Ovviamente. Molti sono articoli, comunicati stampa, interviste. Decine e decine di volte si parla della tech company palermitana su Corriere della Sera, Repubblica, La Stampa, Rai, solo per citare alcuni media mainstream.

Mosaicoon oramai è famosa, e come lei anche il suo founder. Parodi Giusino è uno dei quattro “super coach” di B Heroes, il business talent di Fabio Cannavale realizzato da Boost Heroes, il fondo di venture capital nato dalle ceneri di Shark Bites, in collaborazione con Intesa Sanpaolo e Discovery Italia. In questi mesi abbiamo visto il CEO di Mosaicoon dare spunti e lezioni di business alle 32 startup che hanno partecipato al programma tv che promette 800 mila euro alla migliore di loro (nota per gli appassionati: il prossimo 7 luglio è prevista sul Nove l’ultima puntata del format, ma probabilmente è stata registrata prima che si apprendesse del fallimento).

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La lezione di Mosaicoon

Sì, è vero, Mosaicoon chiude i battenti e viene messa in liquidazione, decine e decine di talenti perdono il lavoro e la Sicilia dice addio per sempre a una delle più belle realtà imprenditoriali dell'ultimo decennio. Ma Ugo Parodi Giusino non può e non deve essere considerato “un fallito”: a lui va comunque dato atto di essere riuscito a fare moltissimo. Oggi non ha neanche quarant’anni e quando ne aveva 26 ha costruito dal nulla un’azienda, in terra di mafia e malaffare. Ha trattenuto (e riportato, in alcuni casi) talenti in Sicilia, dove è rimasto a vivere, e in questi 8 anni la sua impresa ha pagato le tasse in Italia e non – come altre scaleup italiane – a Londra o San Francisco. Di questo va reso pubblicamente atto.

Ha fatto degli errori, sicuramente. Tra questi forse, in ultimo, interpretare su scala imprenditoriale (suo malgrado) quel vecchio adagio secondo cui in Italia – specie nel digitale e nell’innovazione in genere – si possa essere pagati in visibilità.

E invece no: se per tre anni non cresci allora c’è un problema, perché la visibilità, i premi, le interviste, i comunicati, le comparsate tv, articoli e prime pagine che parlano di te e della tua azienda senza fare un minimo accenno ai numeri, o classifiche evidentemente troppo superficiali non potranno mai pagare, da soli, gli stipendi e le bollette, specie quando il mercato cresce ma il fatturato e gli investimenti, evidentemente, si sono fermati da un pezzo.

E la cosa che più fa male è il ragionevole sospetto che questa di Mosaicoon sia stata solo una delle prime slavine. Il peggio deve ancora venire.

@aldopecora

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Scritto da

Aldo V. Pecora 

Giornalista

Aldo Vincenzo Pecora, è nato a Reggio Calabria nel 1986. È giornalista, scrittore, blogger e imprenditore nel settore della comunicazione. A Roma dal 2004, per Rai Educati… continua

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