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  • Questa storia delle notifiche ci sta sfuggendo di mano

    Com’è accaduto che un paio di innocue spunte blu diventassero qualcosa che non diciamo ci ossessiona, ma che sicuramente ci infastidisce?

    20 Maggio 2018

    Quand’è successo che il tempo di risposta ai messaggi, alle e-mail, si contraesse fino a pochi secondi? Com’è accaduto che un paio di innocue spunte blu diventassero qualcosa che non diciamo ci ossessiona, ma che sicuramente ci infastidisce?

    La comunicazione che cambia

    Inutile dire come la comunicazione sia cambiata negli anni, ma quello che è affascinante è come siamo cambiati noi in relazione ai messaggi che mandiamo. Scrivere una lettera era una sorta d’atto di fede: scrivevi non tanto per essere letto, ma per scrivere e basta. C’è stato un certo periodo negli anni ’90 in cui avere un amico di penna era tornato di moda. Sulle riviste per preadolescenti c’erano intere rubriche di annunci di ragazzi che cercavano amici di penna. Scrivevi un messaggio e lasciavi il tuo indirizzo, qualche volta accumunati da un gruppo musicale che si seguiva, altre volte dalla semplice curiosità di conoscere persone nuove. E scrivere una lettera è una cosa che ti prende del tempo. Innanzitutto, ti devi sedere, ci devi pensare e poi devi scrivere un unico corpo. Con il cinismo di adulti stimiamo che bisognava scrivere un minimo di 500 battute. Ebbene, quando la lettera partiva, non sapevi quando sarebbe arrivata e se sarebbe arrivata. Certo, l’attendevi, ma con quale regolarità controllavamo la cassetta delle lettere? Una volta a settimana più o meno. Voi con quale cadenza controllate, invece, le email? WhatsApp? Le app dei social? spunta blu

    La spunta blu: la codifica del non detto

    Mandiamo messaggi in continuazione. Molti di noi li preferiscono di gran lunga alle telefonate per ragioni che potremmo riassumere in “te lo voglio chiedere, te le devo chiedere, ma non voglio conoscere subito la risposta o mi voglio prendere tutto il tempo necessario, dopo, per risponderti ancora”. O semplicemente per comodità. Così, man mano, abbiamo affidato alla messaggistica – definita appunto, emblematicamente, istantanea – l’arduo compito di recapitare anche messaggi importanti. Appuntamenti, questioni complesse, domande apparentemente banali ma per noi ricche di valore di cui noi abbiamo immediato riscontro non verbale dall’altro. La non verbalità del riscontro è una delizia tutta del mezzo digitale. Prima non esisteva. Scrivevi una lettera e leggevi la risposta alla lettera. Adesso non è così. Invii un messaggio e osservi la prima spunta: messaggio inviato. Seconda spunta: messaggio recapitato. Spunta blu: messaggio letto. E successivamente ignorato o banalmente non risposto per volere del destinatario o degli eventi. Così è anche per Instagram: nei messaggi puoi leggere l’ultima volta che quel dato utente era online oppure vedere chi ha guardato le tue storie. Abbiamo sviluppato una forte rete di linguaggio non verbale, sottomessaggi nel messaggio. spunta blu

    Un paradigma sociale

    I tempi di risposta e le loro modalità sono così diventate grazie al mezzo digitale un elemento di prima rilevanza nel nostro modo di comunicare attuale. Con la conseguenza non banale che abbiamo sviluppato una sindrome da notifica, un’urgenza cioè di controllare se qualcuno ha commentato, scritto, risposto ai messaggi o mandatocene a loro volta qualcuno. Se ci hanno cercato, se ci hanno voluto, se ci hanno accettato. L’istantaneità della messaggistica si è dunque trasformata nell’istantaneità dei feedback nei nostri rapporti. Nell’incapacità di attendere serenamente che l’altro, che magari banalmente è al lavoro o intanto gli si è forata la ruota dell’auto in tangenziale, trovi il modo di risponderci. E se nessuno ci cerca? Abbiamo la percezione immediata che nessuno ci ha cercati. E questa sensazione di vuoto da notifica si ricollega a stretto giro alla mania di controllare continuamente la casella di posta elettronica, quell’idea che se non leggiamo subito il mondo senza noi si blocca. Il mondo va avanti, come sempre, con i suoi ritmi e noi, probabilmente, dobbiamo ripensare i nostri eccessivamente accelerati dalla nostra vanità e dalla paura, primordiale, di non essere amati.