Se ti dico democratizzazione del lusso, che cosa ti viene in mente? No, se hai pensato al celeberrimo teorema di Antani formulato dal Conte Mascetti in Amici miei, ti stai sbagliando di grosso. Non si tratta di un nonsense, privo di fondamento, ma di un concetto che ha rovesciato i paradigmi del lusso.
Chi lo dice? Uno studio presentato il 4 Dicembre a Milano da Giuseppe Caiazza, CEO di Saatchi & Saatchi Italia e Francia e da Dr. Jane Cantellow, Global Planning Director di Saatchi & Saatchi. Se un tempo erano i marchi di largo consumo (i Fast Moving Consumer Goods) ad imitare i luxury brand, oggi sono proprio quest'ultimi ad essere ispirati dalla comunicazione dei primi.
Xploring, l'anti focus group
Nella cornice della splendida Villa Necchi si è tenuta infatti la conferenza dal titolo apparentemente provocatorio Vero lusso: caviale o agenda senza appuntamenti? (citazione di Micheal Kors) in cui i due oratori hanno discusso delle nuove tendenze emerse da Xploring, lo studio condotto dalla prestigiosa agenzia di comunicazione.
La ricerca, basata sulla metodologia etnografica qualitativa, è stata definita dallo stesso Caiazza, l'anti focus group, sia in termini di obiettivi che di approccio: "non interviste alle 19,00 in cui si invitano gli individui (pagati) a rispondere ad un questionario in maniera innaturale", ma conversazioni che si spingono oltre, verso la profondità della sfera umana, che porta a galla l'autenticità delle persone".
Una ricerca a livello mondiale, che ha interessato ben 9 Paesi. L'unico continente rimasto fuori è l'Oceania. Thailandia, India, Cina, Giappone, India, Emirati Arabi, Messico, USA, Regno Unito e Italia sono gli Stati che rappresentano il campione su cui è stato condotto lo studio. "Ma come, un altro survey? Ce n'era davvero bisogno?", così ha esordito ironicamente Jane Cantellow, chiamata affettuosamente Dr. Jane dai colleghi. Eppure, a quanto pare, qualcosa sta cambiando anche in uno scomparto così elitario, come quello del lusso.
Vuoi qualche dato? Sono 330 milioni i consumatori del lusso, così come riporta il Bain & Company (2013). Una crescita che sembra sfuggire ai tentacoli della crisi. Una crescita "orizzontale" giustificata da una maggiore accessibilità al lusso e da una sensibile diversità di prezzi.
Anche i ricchi piangono
Mainstream e lusso sembrano aver trovato un punto di incontro: il sistema dei valori. Il mistero e il fascino dell'ideale o meglio dell'idea del lusso sta lasciando posto alle pulsioni, alle emozioni reali, alle esperienze concrete delle persone e al confronto con la propria sfera intima. Proprio, lì, proprio all'alveo dei nostri desideri intrinseci puntano gli occhi dei premium quality brand, ed è proprio lì che la comunicazione dei luxury brand si sta dirigendo.
Nessuna crisi di identità del lusso, ma un inevitabile cambiamento di prospettiva. Non fosse altro perché anche i superpaperoni che se lo possono permettere hanno (ma va?) un cuore. E allora, con chi fa shopping il cliente abituale di brand esclusivi? Che cosa o chi gli fa battere il cuore? Che cosa lo appassiona veramente? Il proprio lavoro? La famiglia? In che cosa crede? Di chi o di che cosa ha paura? Questo è l'approccio diretto di Xploring. Dopotutto, "se vuoi sapere come caccia un leone, buttati nella giungla, non andare allo zoo".
Da eccesso a piacere
Lusso. Dal latino lexus, che significa eccesso, ma anche magnificenza. Sin dai tempi antichi, l'opulenza eccessiva e lo sfarzo estremo sono stati oggetto di critica sia da parte dei Greci (vedi Aristotele) che dai latini (pensa alla lex sumptuaria).
Da allora il concetto di lusso ha assorbito sempre più tutte quelle connotazioni negative che lo hanno resto quasi "antipatico", eppure, da qualche anno a questa parte un cambio di rotta c'è stato: quello che le persone desiderano oggi dai brand di lusso è diverso da quello che pretendevano dal lusso del passato. I consumatori vogliono piacere.
5 lezioni dai premium quality brand
#1 Da valore esclusivo a valore inclusivo
Il consumatore ideale non esiste. Così come si sta perdendo il concetto di tensione verso un ideale esclusivo collegato alla sfera del lusso, perché distante dalla realtà. La realtà è per natura inclusiva e legata ad un hic et nunc. Che cosa deve fare un brand per essere inclusivo? Deve celebrare la pulsioni dell'essere umano e comunicare i "significati guadagnati e non gratuiti ed eccessivi"
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#2 La tradizione si evolve e ha a che fare con l’ innovazione
Fino a qualche anno fa il brand di lusso, per comunicare il proprio appeal mostrava la sua storia. Oggi è l'innovazione la chiave che apre la porta della sfera emotiva delle persone. Il nuovo lusso deve veicolare l'amore per la tecnologia e alimentare la curiosità e il senso del futuro.
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#3 Da One-Off a One-to-One
Oggi il consumatore è chiamato a partecipare alla creazione del valore di un brand, proprio grazie alla sua esperienza personalizzata, irripetibile e inimitabile. Allo stesso modo, la comunicazione dei brand di lusso incoraggia la creatività dei propri consumatori. Non a caso, si è passati da logiche di Return on Investment a Return of Involvement.
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#4 Da parla di sé a crea relazioni
La marca che continua ad adottare una comunicazione autoreferenziale e chiaramente autocelebrativa sta sbagliando qualcosa. La marca che si tappa le orecchie e che si confronta solo col proprio sistema sta sbagliando qualcosa. Questo atteggiamento di chiusura è anacronistico e disarmonico rispetto a quello che chiede il mercato oggi: ascolto, collaborazione e apertura. Soprattutto sui social.
Nike + Fuelband
#5 Da serio a giocoso
Il lusso è ancora una cosa seria? No, se pensi che il lusso sia ancora rigoroso e solenne. Sì, se riflettiamo sul concetto di piacere trasmesso da esperienze gratificanti. Viva i brand di lusso e non di lusso che si prendono in giro e che permettono al consumatore addirittura di godersela.
Harvey Nichols con Sorry, I spent it on myself