Continuiamo il discorso iniziato sul business musicale, iniziato con una panoramica sul rapporto tra musica e tecnologie a confronto con la "generazione internet" e i nuovi modelli di distribuzione in cloud. Si è visto come cambia il business musicale ai tempi dello streaming e in che modo i nativi digitali abbiano ucciso il vecchio modello dell’industria musicale, permettendo a nuovi modelli di business discografico di emergere, primo tra tutti quello legato allo streaming e al self-publishing delle proprie produzioni artistiche, persino quelle casalinghe.
Dalla prospettiva dell'impresa e della produzione musicale
In un secondo momento, invece, si è aperto un confronto tra i vari protagonisti di questa evoluzione in atto, per permettere una riflessione il più oggettiva e critica possibile: il punto di vita dell'impres è stato espresso grazie all'esperienza con Deezer, il primo servizio di streaming musicale mondiale, da Laura Mirabella, che ha parlato non solo di modelli di business, ma anche di home entertainment e human curation, concetti innovativi per chi intende investire in questo settore, alla base di un nuovo marketing musicale definito sulla base della stretta personalizzazione delle preferenze dell'utente.
Tra l'altro già con Federico Ferrandina, musicista e produttore, avevamo aperto una prima riflessione sulla musica a metà tra l'antico e il futuro, definendo la produzione musicale e discografica nel secolo dei social media e del crowdfunding come qualcosa di molto alterato rispetto al passato.
Alla prospettiva del commercio
Per offrire la prospettiva specifica di un operatore del settore, che di professione tratta strumenti musicali, prodotti per audio e home recording, interviene oggi l'esperienza di Mogar Music, azienda familiare italiana per la distribuzione di strumenti musicali nata alla fine degli anni '80 e che, in meno di trent'anni, ha saputo ingrandirsi e internazionalizzarsi, investendo soprattutto nelle nuove tecnologie. A rispondere alle nostre domande è Roberto Ragazzo, Responsabile Marketing & Comunicazione.
Associazioni libere: se ti dico che la prima canzone incisa è una registrazione del 1878, cosa ti viene in mente?
Ecco, non ne avevo idea (si tratta del fonografo di Thomas Edison, grazie Google)!
Direi che non è trascorso moltissimo tempo da allora, se pensiamo che pittura, scultura o letteratura erano già riuscite nei secoli precedenti a “registrare” l’esecuzione di un gesto artistico a futura memoria. Kandinsky ammetteva di invidiare la musica, poiché unica forma d’arte slegata dalla rappresentazione della realtà. Credo avesse ragione.
La musica è femmina, eterea, presente ma irraggiungibile: non c’è da meravigliarsi che sia stata l’ultima a farsi "catturare” e imprigionare in un oggetto materiale per essere riprodotta in seguito.
Quali sono i trend che influenzano i nuovi modi di produrre musica attraverso la tecnologia?
Domanda difficile, ma credo che la musica sia condizionata da molti degli stessi trend che dominano il mondo delle nuove tecnologie in generale – mi riferisco in particolare a “democratizzazione” della produzione e tendenza alla mobilità e alla condivisione.
In termini di ricerca e sviluppo, gli investimenti più rilevanti attuati negli ultimi anni dai colossi del mercato mondiale degli strumenti musicali e dell’audio hanno spesso riguardato non a caso hardware, software e più in generale soluzioni per far dialogare i propri strumenti con tablet e smartphone.
Gli stessi fatturati del settore hanno seguito questa tendenza, evidenziando anche in tempi di crisi un lieve incremento per i prodotti dell’home recording, quali software per la registrazione, interfacce audio, microfoni USB o registratori digitali portatili. Un caso a parte è poi rappresentato dalle cuffie, che da prodotto tecnico destinato a un uso domestico o professionale si sono trasformate in accessorio fashion da esibire in pubblico, anche per condividere musica con gli amici.
Segno negativo, al contrario, per il comparto degli strumenti musicali puri, da chitarre e bassi elettrici alle percussioni passando per gli amplificatori, tutti messi a dura prova dagli studi casalinghi con PC e dalla sempre maggior difficoltà a trovare spazi adeguati per esibirsi dal vivo.
Aggiungiamo poi che il prezzo medio di vendita in questi ultimi segmenti è diminuito in modo rilevante grazie al miglioramento della qualità di molte produzioni orientali, che ha reso accessibili strumenti di qualità professionale a una porzione molto più larga di consumatori rispetto a qualche anno fa.
Una fortunata eccezione al trend negativo è rappresentata dalle chitarre acustiche, che conoscono da qualche anno un periodo di seconda giovinezza. I motivi? La praticità e l’economicità per chi si avvicina allo strumento, senza dimenticare la diffusione capillare di contesti live “unplugged” che consentono spazi, volumi e budget ridotti.
Self management della musica: tra i tanti modelli di distribuzione 2.0, quello ormai divenuto "mito" è l'esperimento DIY dei Radiohead con "In Rainbows". C'è qualche esperienza italiana che meriterebbe essere confrontata a questa?
Tra i tanti, mi piace ricordare l’esempio di Elio E Le Storie Tese, dove milita il buon Cesareo, chitarrista amico di Mogar Music e storico alfiere ed endorser delle chitarre Ibanez in Italia.
Hukapan è il nome della casa discografica fondata dalla stessa band per gestire in toto le attività del gruppo. Credo sia l’esempio migliore di un perfetto dialogo tra i musicisti e il proprio pubblico, in cui è la band stessa che si occupa di abbonamenti al fan club e vendita di merchandising, accessori e discografia. Come non ricordare il celeberrimo CD Brulé, primo caso di “Instant CD” registrato live, prodotto in tempo reale e venduto agli spettatori al termine del concerto stesso? Giusto per dare un’idea di quanto fossero avanti, stiamo parlando del 2004.
Cosa danneggia di più chi lavora nel mondo della musica: la pirateria o la SIAE? Quale riforma urgente andrebbe fatta?
Credo che il termine “pirateria” sia in un certo senso superato, in un settore ormai dominato dallo streaming in contrapposizione al concetto stesso di “proprietà privata” di un brano.
Quanto alla SIAE, personalmente credo sarebbe opportuno procedere a una riforma su vasta scala del diritto d’autore, che punti in primis a una de-burocratizzazione dell’ente: potrebbero essere sufficienti iscrizioni una tantum, modulistica online e rapidità nel versamento dei compensi agli autori, sul modello di organizzazioni simili già operanti all’estero (V/PRS in Inghilterra).
Resta tuttavia il problema sostanziale della mancanza di una vera educazione musicale in Italia, che fa sì che anche paesi come la Francia, simili al nostro in termini culturali e demografici, si distinguano per una spesa pro-capite molto più alta dedicata all’acquisto di strumenti musicali.
Dove intervenire? Sicuramente dalle fondamenta, ossia dal sistema scolastico obbligatorio, ma senza tralasciare l’importanza della famiglia e degli insegnanti di musica nel trasmettere fin da piccoli il concetto di “bellezza” e dignità della musica. E perché non rendere le spese per corsi di musica detraibili, come sostiene la brava Anna Maria Dalla Valle (vera autorità in materia SIAE e affini) nel suo blog?
Il crowdfunding aiuta o danneggia il settore della musica?
C’è chi lo ritiene una forma di colletta o peggio di elemosina, chi un valido strumento per mettere in comunicazione l’artista con la propria base e fungere in prevalenza da prevendita. Credo possa essere entrambe le cose.
Come sempre, il crowdfunding è un mezzo: dipende da come viene utilizzato. Pensiamo al caso dei Foo Fighters, che hanno inserito Richmond in Virginia tra le tappe del tour dopo aver assistito al successo di una campagna di raccolta fondi sul web organizzata da un fan che voleva vederli tornare dal vivo nella propria città dopo molti anni.
Tenendo conto della crisi congenita della discografia e della necessità delle band di organizzare tour come principali fonti di reddito, penso si possano immaginare i concerti in crowdfunding “a richiesta” come una futura interessante evoluzione del panorama.
Libertà vs pragmatismo: i servizi streaming aiutano la discografia? Il monopolio delle major ha ancora vita lunga nonostante le innovazioni abbiano aperto opportunità a tutti?
I servizi streaming (da Spotify a Deezer) hanno l’indubbio vantaggio di offrire librerie sterminate di musica in streaming a costi nulli o ridottissimi. Lo stesso Youtube, usato fin dagli albori come lettore musicale, ha accelerato la tendenza e costretto i nuovi players del settore a differenziare i propri servizi. Piattaforme come Soundcloud sono diventate un mezzo irrinunciabile per un musicista o una band che voglia far conoscere la propria musica, favorendone la condivisione sui social network.
In questo quadro, credo che le major tenderanno a rivestire una funzione diversa, entrando in gioco solo in caso di artisti consolidati che richiedano budget di spesa e promozione molto più elevati di qualsiasi band emergente.
Tra editore, produttore, artista, sponsor e tutti gli altri attori coinvolti in questa filiera, chi guadagna di più in assoluto?
Questa è facile: in questo momento, nessuno! Scherzi a parte, lo scenario non è rassicurante e prefigura un inevitabile accorciamento della filiera e una considerevole riduzione della distanza tra “produttore” (in questo caso musicista) e consumatore, come sta d’altra parte avvenendo in ogni altro settore. Vincerà chi riuscirà a instaurare un canale diretto e privilegiato di comunicazione con i propri fans, “dimenticandosi” o quasi degli introiti derivanti dalla vendita della propria musica e puntando sulla diversificazione dell’offerta, con merchandising, gadget, VIP packs per concerti con la possibilità di accedere al backstage, brani singoli o interi album in edizione limitata e chissà cos’altro ancora.