Diego Perrone è il founder di G-Com, agenzia creativa di spicco in Italia specializzata in branded entertainment, interactive marketing, integrated e aconventional advertising.
In attesa del suo intervento al Corso in“Non-Conventional & Viral Marketing”, gli abbiamo fatto qualche domanda su marketing non convenzionale ed esperienziale.
Nel vostro team avete, tra gli altri, autori televisivi, game designer e community manager. Quali altre nuove professionalità e competenze richiedono le campagne non convenzionali oggi?
Grazie, ma ci fai più organici di quanto non siamo in realtà! Internamente, su base stabile, sicuramente designer e community manager non mancano. Gli autori, importantissimi, sono quasi sempre freelance con cui collaboriamo a seconda delle storie da creare e dei budget disponibili.
Essendo una content agency, il nostro lavoro consiste nel creare contenuti interattivi, storytelling in modalità transmedia e principalmente, branded entertainment: le finalità delle nostre produzioni sono molto variabili, così come il pubblico a cui si rivolgono, e pertanto cambiamo autori a seconda dello specifico mood che serve per raccontare in forma d’intrattenimento valori e prodotti.
Lavoriamo con case di produzione esterne per la realizzazione dei contenuti video, mentre per strutturarne e gestirne le meccaniche interattive e le strategie redazionali servono giornalisti e specialisti delle user-interface, visto che ci avvaliamo anche di piattaforme specifiche per la gestione di grandi volumi di interazioni.
A fine gennaio, quando abbiamo assunto l’ultima risorsa, dovevamo confrontarci con un settore, quello alimentare, che per noi era piuttosto sconosciuto. C’è sempre una componente "personale” che si abbina alle capacità professionali, e non va trascurata. Presto ci auguriamo di riaprire le selezioni, sopratutto se molti ci voteranno (fino al 5 maggio) come azienda innovativa al We 4 Italy di Unindustria, programma che finanzia nuovi inserimenti di personale in aziende innovative come riteniamo di essere.
Come si costruisce un mondo digitale immersivo? Quali esempi di campagne esperienziali citeresti come casi di successo?
La storia prima di tutto. Il pubblico può perdonare un'esecuzione non proprio perfetta, ma come per il cinema o la televisione, se manca la storia, anche il blockbuster con più budget della stagione può fallire.
Quindi si parte da lì, dalla costruzione (che avviene internamente) di una sinossi sulla base dell’analisi del pubblico.
Poi si passa all’espansione della storia con gli autori, e si ritorna internamente con la costruzione strategica di tutti gli elementi (fisici nel mondo reale o fittizi in quello digitale) e relative modalità interattive che compongono lo storyworld.
Transmedia storytelling e branded entertainment sono oggi delle buzzword così come lo era non molti anni fa il guerrilla marketing. A differenza del guerriglia però, la soglia di accesso a produzioni di questo tipo è maggiore, e dunque i casi –reali- italiani si contano ancora sulle dita di mezza mano.
Una delle cose personalmente più interessanti che ho scoperto, è stata quando ho sovrapposto due grafici che G-Com ha sviluppato autonomamente, quello della timeline del guerriglia marketing con quello... va bene, non anticipo altro, ne parlerò nel mio intervento al vostro Corso in Non Conventional & Viral Marketing del 9 maggio!
Tornando ai casi, sono e sarò sempre un enorme appassionato di Year Zero, la summa dell’esperienza immersiva, che sta al transmedia storytelling come i Mooninites di Boston stanno al guerrilla marketing.
Gli anni degli alternate reality game noi in Italia li abbiamo totalmente saltati, oggi si lavora quasi esclusivamente con mondi digitali. E non dico che sia un male.
I consumatori sono oggi più sofisticati e difficili da coinvolgere rispetto al passato?
Eccome. Io sono un consumatore, e cestino il 90% dei contenuti che ricevo. Come me, forse anche la maggioranza dei lettori di questo sito. E’ normale: siamo tutti più informati ed esigenti. Quello che tutti pretendiamo è che non siano più i dispositivi a definire le esperienze, ma vogliamo i contenuti ovunque ed in qualunque momento. Non per niente Netflix rilascia le sue serie originali disponibili immediatamente per intero, senza attendere settimana dopo settimana le puntate.
Questo è solo un esempio, ma cerchiamo di applicarlo anche nei contenuti creati per promuovere aziende e prodotti: se d’intrattenimento si parla, allora vanno mescolati gli elementi tipici della pubblicità con quelli dell’intrattenimento, in dosaggi diversi per non rischiare mai di disgustare all’assaggio.
Trovo molto interessante che negli USA ci siano aziende che producono (si dice a 1 milione di dollari a puntata come nel caso della catena di fast food Chipotle) webserie nelle quali quasi mai si parla del prodotto, ma piuttosto, si raccontano finemente i valori. Ecco, questo al pubblico piace e permette il coinvolgimento.
Come mai usate il termine aconventional? :)
Io arrivo dall’esperienza conclusa nel 2012 con un laboratorio di guerrilla marketing creato all’interno di un’agenzia tradizionale. Ho sempre cercato di creare qualcosa di diverso nella pubblicità, però in quell’anno è per me cambiato il senso di quello che è non convenzionale.
Quando ormai tutte, ma proprio tutte le agenzie di comunicazione propongono guerriglia marketing, mi viene difficile chiamarlo ancora aconvenzionale. Così sono partito alla ricerca di quello che sarebbe venuto dopo, del prossimo significato del termine, e quello che ho visto negli Stati Uniti, in Francia e Regno Unito mi ha dato il nuovo senso della parola non convenzionale.
Ho conservato giusto il nome, a cui ero ormai affezionato, e ho costruito una realtà totalmente nuova, che fa per clienti diversi cose molto distanti dal non convenzionale inteso come alcuni anni fa, quindi guerrilla marketing. Il mercato ha premiato, e soprattutto dall’estero stiamo ricevendo piccole ma costanti soddisfazioni.
Qual è la tua campagna aconventional preferita?
Se ti riferisci ad una campagna di guerrilla marketing a cui ho lavorato personalmente, non posso non citarti i sosia prima di Milan-Bari per Gazzetta dello Sport, 13 marzo 2011. I risultati ottenuti sono stati straordinari e ammetto anche inaspettati. Il video è diventato virale del tutto spontaneamente, e ce lo siamo ritrovati in Malesia, in Russia.
Ma del nuovo corso, non posso che essere fiero della serie tv interattiva Jurors, che sebbene non sia ancora andata in produzione (il format è stato opzionato da una casa di produzione olandese) ha portato il nostro nome in Brasile, Inghilterra, Francia. Siamo ora sostenuti dal progetto Europeo Accelmed, che ci porterà in economie per noi nuove come Serbia e Spagna. Ovunque ci siano persone con un dispositivo connesso in rete, c’è mercato per noi.