Crescono. Continuano a crescere le emissioni globali di CO2. Ma per la prima volta in tanti anni, sembra forse essere iniziate una lenta diminuzione. I numeri, snoccialati da un recente report prodotto dal “Netherlands Environment Assessment Agency” e dal “Joint Research Center” della Commissione europea dicono che nel 2012 le emissioni sono crescite dell’1,1% a livello globale, contro una media del 3% negli ultimi 10 anni.
Buoni e cattivi
I maggiori “emettitori” in valore assoluto sono la Cina (29%) seguita da Stati Uniti (15%) e Russia (11%). L’italia contribuisce per circa l’1%, rispetto al 2% di 20 anni fa. Guardando appunto ai saldi, tutti i paesi sviluppati mostrano un calo in termini di contributo % ed in valore assoluto. Diminuzioni vere insomma. La Cina è invece il paese che mostra la crescita più spinta, di pari passo con la strabiliante crescita economica, aumentando il proprio contributo di ben 18 punti percentuali (da 11 a 29% appunto).
Guardando però alle emissioni “pro-capite”, si scopre che il primato va all’insospettabile Australia (18.8 tonnellate per abitante) seguita da Stati Uniti (16.4) e Canada (16). La Cina si colloca nella parte bassa della classifica a quota 7.1, valore simile all’Unione Europea (7.4).
US e EU virtuosi veri?
I principali “responsabili” del calo delle emissioni sembrano essere Unione Europea e Stati Uniti, questi ultimi in calo addirittura del 4%. Molti articoli da parte dei media americani hanno “celebrato” l’evento, occasione di rivalsa contro chi per anni ha parlato di Stati Uniti “indifferenti” al tema ed ingordi ottimizzatori di crescita economica a dispetto del rispetto per l’ambiente, soprattutto per questioni legati alla mancata ratifica degli accordi di Kyoto.
Diminuzioni vere?
In Europa il calo è in corso da qualche anno, ed anche qui i media sono stati pronti ad esaltare la virtuosità e lungimiranza del Vecchio Continente, capace in effetti di partorire leggi ed incentivi che hanno favorito lo sviluppo delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica come in nessuna parte del mondo.
L’impressione è però che i cali siano molto più dettati dal “caso” e dalle naturali evoluzioni del mercato.
Circa l’85% delle emissioni è legata alla combustione di fonti fossili, per trasporti, industria e riscaldamento domestico. Ci sono due modi perché questa massa diminuisca: cala la domanda (tipicamente con un calo dell’attività economica, recessione) oppure cambia il mix di fonti di energia (più rinnovabili e combustibili a bassa emissione come il gas naturale).
In Europa il calo delle emissioni è sicuramente stato favorito dai 5 anni di depressione economica, unite certamente alla spinta sulle rinnovabili che rappresentano comunque ancora una parte marginale e residuale della produzione. Negli Stati Uniti è esplosa la quota del gas naturale, grazie alla nuova tecnologia di fratturazione ed ottenimento dei gas di scisto (scale gas), che ha sostituito una grossa parte della quota del carbone.
In entrambi i casi, le determinanti sembrano essere fuori dal controllo dei Governi, o meglio hanno indirettamente portato alla riduzione delle emissioni senza che ci fosse una chiara politica ambientale in tal senso. I più critici dicono inoltre, soprattutto nel caso degli Stati Uniti, che il carbone non più bruciato in casa viene adesso venduto a paesi in via di sviluppo, e che quindi gli Stati Uniti hanno sostanzialmente spostato l’inquinamento altrove.
Esiste il problema?
Ma esiste davvero un problema legato alle emissioni di C02? Com’è naturale, ci sono frotte di scienziati, politici e giornalisti schierati da una parte e dell’altra. I “catastrofisti”, quelli che spingono per un taglio delle emissioni rapido e drastico, mostrano la correlazione tra le emissioni di Co2, l’attività industriale e l’aumento delle temperature. Mostrano i ghiacciai in riduzione, un maggiore numero di tifoni e cicloni catastrofici, e modelli matematici che suggeriscono un accentuarsi di questi fenomeni nei prossimi anni.
Dall’altra parte invece si minimizzano gli effetti del riscaldamento, che sarebbe stato inferiore ad un grado dall’inizio della rivoluzione industriale, e che questi non hanno comunque prodotto alcun effetto visibile sulla terra. In ogni caso, variazioni di temperatura, dimensioni dei ghiacciai, e livello dei mari sono sempre accaduti in natura (basti pensare alle glaciazioni) e per cause non certamente legate all’attività umana.
Dilemma del prigioniero
Ma se le emissioni sono davvero un problema, l’impressione è che si stia facendo ancora poco, nonostante i numeri positivi di quest’anno. Che succederà quando la crescita economica ripartirà seriamente? Torneremo ai livelli di crescita dell’ultimo decennio? Il problema è appunto nella contrapposizione tra crescita economica (tema tangibile e di breve periodo) e tutela ambientale delle emissioni (tema intangibile, incerto, e di lungo periodo).
Proprio come nel famoso dilemma del prigioniero, ogni paese ottiene il massimo, razionalmente, a non agire/non fare abbastanza a ridurre le emissioni, sperando che siano gli altri piuttosto ad agire ottenendo così il doppio risultato di ridurre le emissioni e non pregiudicare la propria crescita economica.
L’importante è però non dimenticarsi, come il dilemma del prigioniero insegna, che il comportamento ottimale per il singolo può portare complessivamente ad un risultato disastroso per il singolo e per la comunità.
Chi lo racconterà ai governanti?