Spesso le idee vincenti arrivano quando si è capaci di guardare più lontano, con meno barriere mentali, ispirati da un ambiente stimolante e da compagnie ambiziose. Durante gli anni degli studi universitari.
Se però questo colpo di genio arriva, che fare? Seguire gli illustri esempi di Steve Jobs e Bill Gates e lanciarsi nella progettazione e nello sviluppo della propria idea, o aspettare con pazienza di raggiungere una ottima base formativa?
The Zuckerberg effect
Lo chiamano "effetto Zuckerberg": il sogno di entrare nella classifica dei miliardari under 30, che spinge tantissimi giovani ad interrompere gli studi e dedicarsi anima e corpo alla proprio startup, incoraggiato da realtà come Pay Pal che, con il suo fondatore Peter Thiel, stanzia dal 2011 una borsa da 100mila dollari per i giovani che dimostrino le migliori attitudini, riservando questa possibilità soltanto ai minori di 19 anni. Sembra un chiaro tentativo di "strappare" le menti geniali al contesto universitario per accaparrarsi delle quote in future aziende di successo.
E se il successo poi non arriva?
10 milioni di dollari per gli studenti
Per contrastare questo fenomeno da ammirazione dei fuori corso illustri, la prestigiosa Università di Harvard ha attivato un piano di finanziamento agli studenti più meritevoli che ottengono una cospicua somma per creare la propria startup a patto di concludere gli studi. Un sistema in grado di mettere al sicuro le valide idee degli studenti senza costringerli a rinunciare alla formazione accademica e, anzi, che consente al prestigioso ateneo di partecipare a progetti vincenti "mettendo la firma" quando questi vengono sviluppati.
10 milioni di dollari per frenare la fuoriuscita dei talenti da una delle top universities che comunque mantiene un tasso del 97.4% di laureati con nessun ritardo sui tempi. Il danno infatti, non è puramente economico quanto di immagine: non tutti nascono Zuckerberg, e rinunciare ad un percorso formativo di altissimo livello, con degli standard selettivi durissimi implica un cambio di direzione nelle aspettative dei giovani studenti. La possibilità di conseguire un titolo così importante a Stanford, Berklee o presso la stessa Harvard, il cui ingresso matura dopo l'esclusione di migliaia di giovani aspiranti, non è più vista come l'aspirazione massima per entrare di diritto in ottime posizioni lavorative.
Meglio far lavorare il cervello e rimboccarsi le maniche?
Impegnare tanto tempo e risorse sui libri ha ancora senso nel contesto sociale fortemente modificato dalla velocità con cui i contenuti vengono sviluppati, comprati e venduti? Sui 30 lavori in rapida crescita nei prossimi anni solo 7 richiedono una laurea, secondo i dati del Bureau of Labor Statistic pubblicati dal New York Times, ma nonostante questo chi possiede una laurea ha ancora più opportunità di guadagno rispetto a chi non è laureato.
E in Italia?
Il sistema universitario italiano potrebbe prendere spunto dall'interesse innegabile di Harvard per il futuro dei propri studenti (e certamente per gli interessi correlati)?
Sebbene il finanziamento alle idee vincenti degli studenti sia ammirevole, in qualche caso utile, in Italia si pone un problema per certi versi opposto: il Politecnico di Torino guida la poco lusinghiera classifica degli atenei con il maggior numero di studenti fuori corso (addirittura più della metà!), tallonato da università di prestigio come quella di Pisa.
Rispetto ai casi isolati di geni come Jobs, Gates e Zuckerberg, per i quali il titolo universitario farebbe comunque davvero poca differenza, la stragrande maggioranza di noi ha bisogno di una formazione adeguata per raggiungere risultati di rilievo e posizioni lavorative invidiabili.
Per citare Leonardo Da Vinci "O studianti, studiate le matematiche, e non edificate senza fondamenti"
La "formula magica" rimane sempre una: studiare.