Sono ormai passati più di dieci anni dalla pubblicazione di No Logo, best seller scritto da Naomi Klein, che si occupa principalmente del fenomeno del branding, del business delle multinazionali e del movimento no-global attraverso una serie di ricerche e di inchieste giornalistiche realizzate sul campo.
Naomi Klein afferma che negli ultimi vent'anni avrebbe avuto luogo un radicale cambiamento nel capitalismo: se prima era centrale la fase della produzione di merci, ora quest'ultima diventa marginale e trascurabile, mentre si impiegano sempre più forze e denaro sul marchio e sulla proposta di una serie di valori immateriali ed ideali da collegare ad esso, con lo scopo di crearsi una propria fetta di monopolio.
Le ingenti risorse monetarie che queste strategie richiedono derivano dal risparmio sulla produzione, che viene dislocata nei paesi del Terzo mondo dove l'azienda può sfruttare impunemente la manodopera operaia.
Descrive numerosi movimenti di reazione alle politiche applicate dai grandi marchi, da Reclaim the Streets alle pratiche del culture jamming. In questo contesto vengono tratteggiate le "storie di successo" relative agli attacchi volti da questi movimenti ad alcuni marchi come Nike (la lotta per un buon lavoro), Mc Donald's (la lotta per la scelta) e Shell (la battaglia per gli spazi liberi).
Questi fenomeni di "boicottaggio" sono sempre più presenti in tutto il mondo, anche perchè, ancora oggi, continua ad esserci lo sfruttamento delle popolazioni del sud del mondo. Tra gli ultimi avvenimenti in ordine temporale vi è il crollo della fabbrica di abbigliamento in Bangladesh, che impone una domanda: in che modo si possono evitare simili tragedie? Al Rana Plaza Building di Savar hanno perso la vita almeno 500 persone.
Nelle fabbriche di abbigliamento in Bangladesh in passato si sono verificati anche incendi, fughe e altri incidenti che hanno causato centinaia di morti. Il fatto è che il settore dell’abbigliamento (che riguarda l’80% delle esportazioni annuali del Bangladesh) dà lavoro a circa 4 milioni di persone. A chi spetta, quindi, garantire che tali incidenti non si verifichino? Al governo del Bangladesh? Ai produttori locali? O ai marchi internazionali?
Oppure la responsabilità è dei consumatori, che per primi dovrebbero rifiutarsi di acquistare capi realizzati in quelle condizioni?
Oggi, nell'era digital e smart, diventa un po più semplice restare informati, anche sulla tipologia di prodotto che si acquista e sulla sua provenienza.
Agli inizi di maggio, infatti, è stata lanciata una nuova app. Si chiama “Buycott” e nell’assonanza tra le parole boicottare e comprare (to buy in inglese) sta tutto il senso della nuova App per smartphone. L’obiettivo del team di giovani sviluppatori americani è di dare la possibilità ai consumatori di effettuare acquisti consapevoli.
Una volta installata, basta passare il proprio dispositivo sul codice a barre dei prodotti presenti sugli scaffali dei negozi e dei supermercati del pianeta per mapparne origine e caratteristiche, tracciando una sorta di albero genealogico del bene di consumo. Chi lo ha prodotto? Come e dove? L’intero processo produttivo si è svolto nel rispetto dell’ambiente e di dignitose condizioni di lavoro? Acquisite in tempo reale le informazioni, si potrà così decidere se il bene di consumo risponda ai propri principi etici e “meriti” di essere acquistato.
Con “Buycott” è possibile, inoltre, intervenire o seguire campagne d’opinione: la posizione (in un senso o in un altro) di una multinazionale sugli Ogm, sugli esperimenti sugli animali, perfino sulcopyright e sull’open source. Pur avendo un ricco database, la nuova app ha, però, una limitata conoscenza dell’enorme gamma di prodotti commercializzati nel mondo. Ed ecco allora che lo stesso acquirente può immettere informazioni, anche in considerazione della complessità delle strutture societarie delle multinazionali, soggette a continui cambiamenti di asset da un capo all’altro del mondo.
Non crediamo però che il solo boicottaggio distruttivo sia la sola chiave per proteggere e difendere le nostre culture, il sud del mondo, il lavoro, l'ambiente, la nostra etica e la nostra morale. Nel prossimo articolo scopriremo come poter realmente fare qualcosa di costruttivo, racchiudendo tutti questi elementi.