Quando abbiamo letto la notizia ci sono brillati gli occhi. Proprio come nel mondo delle imprese, la fusione di due gruppi di terroristi può causare seri litigi sulla strategia di branding da mettere in atto.
Non ci credete? Pensate che sia soltanto una nuova trovata della rubrica Quelli che vedono fondamenti di management ovunque? Non potete tornare indietro. Siete obbligati a leggere fino in fondo ed eventualmente a ricredervi. Il nostro intento è quello di dimostrare, qualora ce ne sia ancora bisogno, che anche in contesti totalmente diversi da quello degli affari, esistono processi decisionali identici a quelli manageriali. E per provarlo correremo il rischio di utilizzare un approccio semplicistico.
Le organizzazioni in questione sono il siriano Fronte al-Nusra e lo Stato Islamico dell’Iraq (ISI) colonna irachena di Al Qaeda, entrambe considerate dal dipartimento di Stato USA come gruppi di terroristi. In un audiomessaggio di un paio di settimane fa il “CEO” di ISI Abu Bakr al-Baghdadi ha annunciato la fusione tra le due parti:
“E’ tempo di dichiarare all’oriente e al mondo intero che il Fronte al-Nusra non è che un’estensione dello Stato Islamico dell’Iraq e parte di esso”
Subito dopo l’annuncio, il leader di al-Nusra Abu Muhammad al-Jolani ha risposto con cortesia a Baghdadi, tuttavia respingendo la voce di un takeover definitivo. Ha anche ribadito che il suo gruppo non avrebbe mai perso la propria autonomia ed il proprio “brand” anche in caso di una nuova alleanza.
Proprio come accade nel mondo degli affari, l'accorpamento di un brand in un altro presenta inconvenienti e benefici, seppur diversi da quelli di mercato. In questo caso la brand migration coincide con una fusione, la quale è un’operazione che avviene in via straordinaria nella vita delle imprese.
Le ragioni per non accettare l’accorpamento sotto un unico “brand” sembrano essere molteplici. Consideriamo il più importante dei brand element per un gruppo di terroristi: la bandiera, simbolo dell’insieme di valori che trainano l’associazione. Tutto è fatto in onore della bandiera e i militanti ed i fan del gruppo potrebbero perdere la loro fonte di identificazione più importante.
Non bisogna sottovalutare la preparazione in termini di marketing di chi guida un gruppo di terorristi. Basti citare uno studioso che ha monitorato per tanti anni il Web ed ha definito gli estremisti islamici come le persone più competenti nell’utilizzo di tecniche di marketing con lo scopo di guadagnare brand awareness e brand reputation.
Inoltre, si presuppone che in un gruppo di terroristi l’employee engagement debba avere decisamente un peso specifico più alto che in una normale “organizzazione” sul mercato. Ed anni di studi nelle Risorse Umane confermano quanto i simboli siano fondamentali per rinsaldare il legame tra individui che lavorano per un obiettivo comune. Solitamente le operazioni straordinarie non sono ben viste da dipendenti che lavorano per l’organizzazione. Figuriamoci quando questi “dipendenti” per quell’organizzazione ci muoiono anche.
Un altro inconveniente sarebbe legato alla possibilità di dare un facile tiro libero al nemico USA. Difatti, qualora il Fronte adottasse il vessillo del ramo iracheno di al Qaeda, gli USA troverebbero meno ostacoli legali per ordinare attacchi compiuti dai droni della Cia sui suoi membri. Wired ha sottolineato che una legge militare garantirebbe alle forze americane di abbattere i militanti siriani ovunque essi siano. Proprio questa paura è stata espressa dagli affiliati che hanno avviato sul Web una discussione. Il Middle East Media Research Institute con un report ha monitorato il dibattito online riguardo alla fusione.
Il Fronte sembra essere diviso sulla strategia da adottare. Rischiare ed accettare un accordo che potrebbe aumentare la competitività del gruppo? O continuare ad operare con più sicurezze ma altrettanti limiti strutturali? Rileggete con attenzione. Ogni impresa si trova almeno una volta durante la sua vita di fronte a un bivio pressocchè identico a quello appena esposto. Ed anche in questo caso si tratta quasi sempre di una questione “di vita o di morte”.