Gli inglesi le chiamano e-cig, ma noi le conosciamo come sigarette elettroniche.
I vip inneggiano alle sigarette anti-tabacco; tra i tanti internazionali, tra cui Leonardo Di Caprio, Uma Thurman e Lindsay Lohan, ne abbiamo anche di nostrani che hanno addirittura aperto degli “e-cig shop”, vedi Luca Argentero, o hanno lanciato un personale marchio di e-cig, vedi Vasco Rossi con Il Blasco.
1500 negozi, decine di brand nazionali registrati (Smoke, Smooking, E-Smoke, All Smokers Club, i più comuni), 4 mila posti di lavoro generati, oltre 250 milioni di fatturato generati nel 2012 per 2 milioni di consumatori (che hanno già provato o intendono provare le nuove cig). Di questi il 18% sono soggetti tra i 30 e i 40 anni, mentre il 20% appartiene alla fascia over 45.
In Italia tutto è partito da Torino nel 2010 con l’apertura del primo negozio di e-cigarettes italiano; dopo la crescita è stata inarrestabile.
I produttori di sigarette elettroniche ritengono che a fine 2013 i fumatori abituali – meglio chiamarli “svapatori”, dato che non si produce fumo, bensì vapore – saranno 2 milioni (su 10,8 milioni di fumatori abituali).
Meno fumatori abituali e l'erario piange
Se i 2 milioni di futuri “svapatori” previsti a fine 2013 passassero realmente dalle bionde tradizionali alle “e-cig”, considerando una media di 5,00 euro a pacchetto per un pacchetto mediamente consumato al giorno, lo Stato, il cui incasso è pari a 0,88 cent di IVA più 2,93 euro di accise, quindi 3,80 euro a pacchetto, avrebbe un mancato incasso di 7.600.000 euro al giorno, quindi di oltre 2 miliardi e mezzo in un anno.
Il danno per il monopolio dei tabacchi c’è e, infatti, i dati finora raccolti sul 2013 lo confermano. Dalle accise sul consumo di tabacchi lo Stato ha perso più di 100 milioni nei primi due mesi del 2013 (-7.6%) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e con il passare dei mesi la perdita di incassi cresce allo stesso ritmo con cui aumenta il numero di fumatori convertiti a “svaporare”.
Il fisco piange ed i consumatori – i fumatori “pentiti” – ringraziano, dato che per loro si registra un risparmio del 70% sulla spesa mensile. Infatti, un fumatore con un pacchetto al giorno arriva a spendere al mese 140 euro circa; uno “svaporatore”, invece, sostenuto l’investimento iniziale per l’apparecchio tra i 30 e gli 80 euro, spende al mese circa 25-30 euro per 5-6 flaconi di ricarica per il liquido che alimenta il meccanismo alla base delle e-cigarettes.
Il successo delle e-cig e la minaccia per le multinazionali del tabacco
Il business delle sigarette elettroniche può essere potenzialmente uno squalo a danno del mercato delle multinazionali del tabacco. Molte si stanno infatti organizzando diversificando la produzione ad aprendosi all’elettronica per mettere di canto la vecchia nicotina.
Philip Morris, per esempio, prevede di lanciare una versione salutista con il marchio Marlboro nel 2016; Imperial Tobacco ha acquistato azioni di un'azienda produttrice; Japan Tobacco International ha siglato un accordo commerciale con una società di "nicotine vaporizers". Ci sarà un boom ed inizieranno anche i primi cartelli da parte dell’OMS sulla quantità di nicotina (18mg/ml come concentrazione uniforme).
Il successo delle sigarette elettroniche sarebbe dovuto, secondo l’Huffington Post, al risparmio per le tasche dei consumatori, la possibilità di fumare nei luoghi pubblici e al chiuso (Trenitalia, NTV e Alitalia hanno però vietato l’uso sui loro mezzi), e i vantaggi per la salute (ma siamo sicuri che è proprio così?). Questo dal punto di vista della domanda.
Dall’occhio opposto, i produttori, il vantaggio risiede nella possibilità di non sottostare a tutte le regolamentazioni che “soffocano” i produttori di tabacco e poter pubblicizzare il prodotto come un qualsiasi bene di consumo. In Italia anche Gerry Scotti ha dedicato un apposito inserimento commerciale alla e-cig “Ovale”.
Le regolamentazioni potrebbero proliferare a poco a poco per ridurre la concorrenza. Già si era provato ad imporne la vendita solo in farmacia e sono partite denunce sulla tossicità ed i rischi del prodotto non supportate da studi clinici. D’altronde lo Stato vuole conservare il suo monopolio e i nuovi competitor risultano scomodi, pertanto l'Antitrust sarà chiamata ad intervenire e fare luce.
Fa bene o fa male? Luci ed ombre sui risvolti dell’e-cig per la salute
Sicuramente rispetto ad una sigaretta “old style” la sigaretta elettronica fa meno male.
Il condensatore della sigaretta elettronica produce soltanto vapore, propilene glicolico, glicerina vegetale e (solo se l’e-fumatore la introduce nella miscela) nicotina in quantità variabile. Assenti catrame, monossido di carbonio e altre 4000 sostanze che compongono le classiche bionde. Inoltre, mancando la combustione, il rischio cancerogeno è ridotto.
Intanto per evitare che si diffondesse tra i giovani la moda di provarla (della serie “tanto male non fa”) come apripista verso una futura abitudine al fumo classico, invogliati anche dall’effetto emulativo dei tanti vip che la sponsorizzano come qualcosa che va di moda, la e-cig è stata vietata ai minori di 18 anni.
Diciamo che finora gli studi sono pochi e non trattano tutti i vari tipi di liquido contenuti nelle e-cig in commercio. Sì la nicotina inalata è inferiore, ma non sempre entro il limite tollerato per la salute, anzi le e-cig riattiverebbero l'abitudine al fumo, rappresentando un serio pericolo per i giovani (dati contenuti nel Rapporto dell’Istituto Superiore della Sanità del Dicembre 2012).
A tal proposito il Policlinico di Catania, nello specifico il gruppo di ricerca condotto dal Prof. Polosa, ha condotto uno studio clinico che ha valutato gli effetti in termini di riduzione della dipendenza tabagica su un arco di 6 mesi, analizzando un solo tipo di sigarette elettroniche, occorre precisarlo. Per conoscere i risultati dello studio si propone l'intervista radiofonica al Prof. Polosa.
Sicuramente, in mezzo a tanti dubbi che restano da chiarire, sia chiara almeno una cosa: la sigaretta elettronica non è la soluzione per il benessere, ma solo un male minore per chi non è ancora riuscito a rinunciare al vizio.