Questa tornata elettorale non si presenterà certo come una delle più eleganti della storia della Repubblica, ma certo una carica innovativa - se non nei toni, quantomeno nei mezzi - ce l’ha. E questa carica innovativa ci riguarda da vicino, essendo il focus incentrato sugli indici di gradimento all’interno dell’ambiente Internet.
Possiamo dire, senza timore di sbilanciarci, che i due soggetti politici più web-focused sono - e da tempo - il Movimento 5 Stelle, partito con l’esperienza dei MeetUp almeno cinque anni fa, e il Partito Pirata che in origine poggia su Internet, utilizzando inoltre lo strumento open source LiquidFeedback per l’affermazione di quella che viene chiamata Democrazia Liquida.
A questi si sono accostati nel tempo gli altri soggetti, al punto che non esiste esponente politico di spicco che non abbia recentemente affidato il proprio pensiero a Facebook e Twitter - i due social network più popolati, al momento, e quindi più idonei a suscitare consenso.
Questo ha portato, inizialmente, a qualche episodio grottesco dovuto a una bassa conoscenza dello strumento e, visto che le regole ci piacciono, ecco l’unica regola di questo articolo: Imparate a cavalcare il vostro cavallo - o prima o poi vi troverete a terra.
Quell’assessore regionale che ha scritto un commento razzista sul proprio profilo Facebook credendo lo leggessero in poche, fidate persone, e quel noto esponente di governo che su Twitter ha offeso una persona dicendole “Ma guarda quanti follower hai”, oltre che mancare a principi di etica ed eleganza, hanno denunciato una scarsa consapevolezza del mezzo che usavano.
Il primo nel capire cosa sia Facebook; il secondo nell’arrivare all’idea che un follower in più non denuncia maggiore autorità (Justin Bieber al momento ha 33.928.709 follower, Barack Obama 26.782.186: vogliamo forse compararne peso, valore, importanza storica, potere?), e che acquisire un follower non significa necessariamente che una persona in più ti voterà ma anzi, come da tempo succede a una starlette dalla grammatica zoppa, che un gruppo di persone sta conducendo quella che Eco chiama conduzione di una guerriglia semiologica. Che, cioè, ti leggono per prenderti in giro.
Condurre una campagna elettorale esclusivamente su Internet, o affidandosi a messaggi che distorcono la propria immagine pubblica, è quanto di più ingenuo ci possa essere nel 2013, in particolare se ci si rapporta agli strumenti che si hanno a disposizione. Perché di fronte alla tecnofobia del 2006 (Prodi che scrisse un paio di post sul suo blog, dicendo che la campagna elettorale l’avrebbe condotta a stretto contatto con la gente: e ci ricordiamo come andò al Senato) ora assistiamo a un’ingenua tecnofilia che deve invece essere mediata da una conoscenza appropriata degli strumenti.
In rapporto a essi, segnaliamo due mezzi che possono essere utili ai candidati e a noi per districarsi in mezzo a questa moltitudine di messaggi, spesso discordanti tra loro.
Il primo ci viene da Google che ci fornisce un nuovo strumento per ottimizzare la nostra ricerca. Parliamo di Google Elections, con collegamenti diretti alle pagine dei singoli candidati, possibilità di interloquire, seguire gli hangout live, eccetera.
Al momento ci pare ancora in una sorta di versione beta, ma sappiamo per esperienza che tutte le attività inizialmente bocciate per alcune fragilità sono spesso state rilanciate in grande stile dal gigante di Larry Page (spesso: non sempre). Quindi attendiamo con attenzione.
Il secondo strumento lo troviamo nella rubrica "Le voci della politica" de LaStampa.it, una piattaforma di analisi - sviluppata da ECCE/Customer per LaStampa.it - legata al monitoraggio dei politici sui social network. Si tratta di uno strumento interattivo che permette di monitorare l’engagement sociale e la brand reputation
Lo strumento è interessante, con alcuni punti deboli ma che, se gli lasciamo 10’ di tempo per lo studio, rivela punti di interesse. Svela, infatti, attività online su Facebook e Twitter di candidati e soggetti politici, dando loro un peso.
Alcuni di questi termini sono opinabili - il numero di following, per esempio, difficilmente può esserci utile se non, per così dire, a spanne: il fatto che Bersani segua 53.000 persone e Vendola 30.000 mi fa capire che entrambi hanno un flusso non analizzabile, mentre i 173 di Monti mi dice che il primo ministro sta utilizzando Twitter come megafono (cosa che Twitter NON è) - così come confermato da certe ingenuità che molti di voi ricorderanno, come il Wow!
Inserire inoltre nel registro delle attività, dando quindi un’idea di vitalità, concetti così diversi come il commento, il like, i following e le risposte crea quello che in gergo da MasterChef si chiama mappazzone: strumenti di accettazione come il like e strumenti argomentativi o di critica andrebbero ben separati, soprattutto in un mondo ricco di flames com’è quello dei social network.
Anche qui cerchiamo la controprova. Scrivo alle 12.12 di lunedì 4 febbraio. Negli hashtag di Twitter di tendenza leggo #ProBastaChoc, #imu e #Berlusconi nei primi cinque posti - diretta conseguenza del proclama di abolizione dell’IMU con conseguente rimborso. Siamo sicuri di voler incorporare queste attività ai like?
Quindi uno strumento interessante ma da migliorare. Tutt’altra idea mi sono fatto delle parole ricorrenti: quelle sì danno non solo il clima della campagna elettorale, ma anche un’idea precisa delle parole-chiave su cui si sta costruendo e, quindi, si rivela strumento valido per gli staff dei candidati oltreché per noi, che stiamo da quest’altra parte.
E che alla fine non reagiremo con un tweet, ma con un voto.