Ci siamo occupati dell'argomento già qualche mese fa grazie al caso de "Il “Dizionario dei rifiuti”", l'applicazione green del 2011 di Francesco Cucari dedicata alla raccolta differenziata.
Si tratta infatti di una delle nuove abitudini entrata a gamba tesa nelle case degli italiani, volenti o nolenti, infastiditi o meno, tutti ligi nel predisporre sacchetti di diverso colore per la carta e per il vetro, per l’umido e l’indifferenziato.
Sottoposti ai rigidi calendari del porta a porta, con lo spauracchio di una multa, chiedendosi spesso il perché di tanta maniacale attenzione.
“È per il bene dell’ambiente, non è sostenibile continuare a buttare tutto in discarica” chioserà qualcuno, “ma tanto quando passa il camion dei rifiuti butta tutto insieme, che ci perdo il tempo a fare” ribatterà un altro.
Le tre “R” della gestione dei rifiuti
Il riciclaggio, di per sé, non è la panacea di tutti i mali. È semmai una soluzione di compromesso, sub ottimale rispetto ad altri metodologie di gestione dei rifiuti urbani.
Si chiama modello delle “3R”.
La prima "R" è la riduzione: dovremmo evitare di produrre rifiuti, ad esempio, usando sacchetti resistenti per la spesa in luogo dei sacchetti monouso, ed evitando di acquistare beni con imballaggi (es. comprando la frutta sfusa dal fruttivendolo).
La seconda "R" è il riuso: comprare bottiglie di vetro per l’acquisto di olio e detersivo sfuso, l’utilizzo dei barattoli del sugo pronto per confetture e via dicendo.
Il riciclaggio, la terza "R" (insieme al recupero energetico) deve essere una strategia residuale. Si tratta di una soluzione inquinante e che consuma risorse.
Una cartiera utilizza milioni di litri d’acqua per trasformare la carta differenziata in pasta di cellulosa.
Una vetreria consuma enormi quantità di energia per portare le bottiglie raccolte allo stato di fusione.
Per non parlare della termovalorizzazione, che spesso porta ad un consumo di energia degli impianti superiore all’energia che si riesce a produrre bruciando i rifiuti.
Il riciclaggio comunque, evita quantomeno il più grosso dei mali: il conferimento in discarica. Si tratta di una soluzione ad alto impatto ambientale, con grossi rischi per la salute.
Milioni di tonnellate di materiale prezioso finiscono nelle discariche ogni giorno, talvolta a centinaia di chilometri di distanza, per somma gioia delle organizzazioni criminali, che qui trovano terreno fertile per le proprie attività malavitose.
Dove finiscono i rifiuti differenziati?
Ma che succede quando un cittadino butta una lattina di alluminio nell’apposito bidone della raccolta differenziata? La lattina entrerà a far parte del sistema CONAI, un consorzio con finalità pubbliche che si occupa del funzionamento del sistema del riciclaggio italiano degli imballaggi.
Il sistema CONAI è molto semplice: chi utilizza gli imballaggi (ad esempio un pastificio che usa le scatole di cartone per confezionare la pasta) è obbligato a pagare una sorta di tassa per l’inquinamento (il CAC, Contributo Ambientale CONAI).
Il CONAI utilizza questi fondi per pagare i Comuni affinché facciano la raccolta differenziata, ad un prezzo fisso, tramite una serie di sotto-consorzi dedicati alle singole materie prime (es. RILEGNO per gli imballaggi di legno).
Il messaggio che CONAI lancia ai Comuni è sostanzialmente il seguente: “Comune, fai la raccolta differenziata, ed io comprerò tutto quello che raccogli ad un prezzo fisso, tale da coprire le tue spese, purchè rispetterai degli standard minimi di qualità”. CONAI si pone quindi come garante e compratore di ultima istanza del mercato italiano.
I rifiuti raccolti nel sistema CONAI vengono poi riassegnati agli impianti di riciclaggio convenzionati, tramite aste competitive oppure in base a complicati meccanismi di ripartizione delle quantità. È un sistema particolare per cui talvolta gli impianti di riciclaggio vengono addirittura pagati purché si prendano in carico il materiale da riciclare, ed altri invece dove si danno battaglia a suon di rialzi pur di assicurarsi un lotto di materiale particolarmente prezioso.
Questione di soldi
Il sistema, dunque, è tutto sulle spalle di coloro che pagano il contributo ambientale, chiedendone a gran voce la riduzione o l’abolizione in particolare per i materiali di pregio (es. il cartone ondulato). I comuni, dal canto loro, invocano maggiori pagamenti per la raccolta differenziata, soprattutto nel momento in cui sviluppano sistemi di raccolta più costosi come la differenziata spinta porta a porta.
Al CONAI, in cabina di regia, non rimane altro che regolare il mercato, e di indirizzare un fiume di denaro nato per tutelare l’ambiente, ma che muove gli interessi di filiere con decine di migliaia di addetti.
La partita è solo all’inizio.