Viaggiate molto, dovete bere e non sapete come fare per purificare l’acqua? Vi viene in soccorso SteriPEN: un piccolo dispositivo portatile (tascabile) che purifica l’acqua grazie ai raggi UV.
Basta inserire il dispositivo in un bicchiere d’acqua: in questo modo distruggerà il 99% dei batteri presenti! Si ricarica tramite usb ed è una soluzione compatta e facile da usare. Il led acceso/spento vi indicherà quando l’operazione è finita.
Riesce a purificare mezzo litro in circa 50 secondi e la carica permette di fare fino a 40 trattamenti.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.png00Simosokehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngSimosoke2011-10-20 15:00:442011-10-20 15:00:44Purificare l'acqua grazie ad un piccolo dispositivo: SteriPEN
Ormai sappiamo molto bene quanto e come il social media marketing influenzi le nostre scelte, ma la caratteristica prima con cui abbiamo a che fare, che si tratti di una pagina Facebook, di un profilo Twitter o Forsquare ecc., riguarda la nostra percezione visiva del brand con cui ci troviamo a interagire: i social media infatti rappresentano il modo più veloce per costruire il riconoscimento del brand stesso.
La prima cosa quindi che ci troviamo davanti agli occhi è il logo, e qual è il logo adatto? Da quali scelte proviene il logo da utilizzare nel social media marketing? Nonostante le dimensioni ridotte, è un elemento estremamente importante che contribuisce al successo di ogni campagna di social media. I loghi creano nella mente dei clienti o dei futuri clienti la percezione dell’azienda, e per determinare una percezione positiva bisogna sfruttare al meglio ogni tecnica a disposizione.
Pat Malloy, all’interno del blog Just Creative Design di Jacob Cass, ci mostra 12 modi per creare un logo di successo nei social media. Vediamo quali.
5 Buoni consigli per la progettazione di un logo nei social media
Ci sono diversi aspetti che vanno considerati nel design di un logo: i colori, i font, lo slogan e altro ancora. Ma quando si sta progettando un “social media logo approvato” intervengono altre variabili.
● Consapevolezza del rapporto e dell’aspetto – La maggior parte dei siti di social media richiede di convertire il logo a una forma quadrata o addirittura in una “miniatura”, il logo però non deve necessariamente essere una quadrato perfetto, ma deve avere comunque la possibilità di essere facilmente convertibile. Per questo motivo è meglio utilizzare tutto lo spazio necessario in modo che il logo non sia eccessivamente compresso per adattarsi al piccolo spazio;
● Essere coerenti – Con una efficace strategia di social media, il logo sarà visibile su una varietà di siti – Facebook, YouTube, e il vostro sito personale per citarne alcuni. Per questo motivo, è meglio avere un logo da utilizzare per ogni sito. Questo è anche utile nel caso in cui un sito richiede di ritagliare o ridimensionare l’immagine;
● Utilizzare il testo distaccato dalla grafica – Quando si progetta, assicurarsi che il testo e la grafica siano elementi separati. Ciò aiuterà se si dovesse convertire in un formato diverso. Infatti, alcune aziende utilizzano una sola lettera grafica o solo nei social media per la facilità d’uso;
● Semplicità – Se si dispone di un logo complesso, si corre il rischio che alcuni degli elementi non siano riconoscibili quando il logo viene ridimensionato. Per questo motivo, si dovrebbe evitare uno slogan lungo, linee sottili e dettagliati elementi grafici;
● Limitare colori e sfumature – Un logo che utilizza 2 o 3 colori funzionerà meglio su un sito di social media già pienamente “occupato”, in questo modo infatti si evita che il logo si perda nello sfondo.
7 Modi in cui il logo design crea impatto nel social media marketing
● Incrementa followers, amici e condivisioni – Un logo professionale e di aspetto attraente su una pagina web o blog ha più probabilità di essere condiviso con amici, di uno che non ha un aspetto affidabile e degno di fiducia;
● Aumenta la percezione del brand – Avere un logo accattivante fa si che il look professionale sia più grande di quello che è – anche se sei una squadra di due o tre che lavorano in pigiama 😀 ;
● Mostra professionalità e crea fiducia – Un logo ben progettato mostra quanto un’ azienda sia professionale e, soprattutto, ci si può fidare. I clienti avranno la sensazione che quella determinata azienda sarà in giro per anni a venire;
● Comunica una storia – la storia del brand può essere comunicata in molti modi, soprattutto in maniera significativa attraverso la scelta del font e dei colori;
● Distinguersi dalla concorrenza – Un logo visivamente interessante aiuterà i clienti, dal sito web fino a tutti i materiali di stampa;
● Riconoscimento del brand su diverse piattaforme – Quando un logo viene visualizzato su diverse piattaforme, il brand acquista memorabilità, inoltre è molto più facile riconoscere un logo quando si vede effettivamente che non quando si parla di esso;
● Rendere felici i clienti – Si crea un buon feeling col cliente se il logo è efficace in ogni componente: colori, font e relativa immagine complessiva.
Quando si crea un logo per una campagna di social media bisogna tenere presente che non è sempre facile fare un buon lavoro in ogni piattaforma, ma questi suggerimenti possono aiutare a creare un logo che dia una presenza interessante online.
E voi cosa ne pensate? Avete altri suggerimenti utili per la creazione di loghi nelle campagne di social media marketing?
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.png00Kyliahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngKylia2011-10-20 14:00:002011-10-20 14:00:0012 Modi per progettare un logo nei social media
E’ strano. L’intervista ai ragazzi del Frankestein Garage è stata diversa. E’ stata più di una semplice intervista. Mi è sembrato come andare ad un concerto jazz dove tu, unico spettatore, esprimi i tuoi desideri, scegli i tuoi pezzi preferiti e loro, nel perfetto e imprevedibile stile di una jam session, interepretano in maniera eccellente ciò che tu hai desiderato ascoltare. Il Frankestein Garage nasce a Milano da 3 ragazzi con una estrazione professionale simile e con un affiatamento fuori dal comune (e voi lettori potete verificarlo dal modo in cui si alternano nel rispondere ad alcune incalzanti domande). Che cos’è, a cosa serve e come funziona il Frankestein Garage ce lo hanno spiegato ampiamente i fondatori nell’intervista che segue. Per ora ci basta sapere che il progetto nasce nell’alveo dei FabLab del Mit (si, il famoso Massachusetts Institute of Technology) ovvero una rete globale di laboratori locali nati per stimolare l’inventiva, fornendo l’accesso a strumenti per la fabbricazione digitale. Luoghi dove poter sprigionare tutta la propria creatività, luoghi dove si accorcia la distanza tra ideazione e creazione, luoghi dove la condivisione dei saperi permette di costruire cose che non avresti mai pensato di essere in grado di fare. Frankestein Garage is a places where amazing happens
Il Team
Alessandro Graps attualmente ricopre la mansione di consulente informatico presso diverse realtà tecnologiche occupandosi di progettazione e realizzazione di applicazioni per dispositivi mobile e tattili (Surface, vetrine interattive, Android e IPhone). Agile developer ed innovatore, utilizza con successo metodologie Scrum e di Extreme Programming combinate con la pratica del pensiero laterale. Si interessa di gestione aziendale e di business.
Andrea Maietta è responsabile di un piccolo team di sviluppo con esperienza di analisi, pianificazione, progettazione e implementazione di applicazioni a livello enterprise. Convinto sostenitore dei metodi agili per la gestione dei progetti e dello sviluppo software, è cofondatore di un progetto di bootstrap di nome Aeolian assieme a Paolo Aliverti. Si interessa di gestione di processi, business modeling e comunicazione. Giocatore di rugby per 15 anni, rugbysta per sempre.
Paolo Aliverti attualmente lavora come Project Manager e si occupa di progetti software in ambito web (j2ee) e mobile (Windows ed Android). E’ cofondatore di un progetto di bootstrap di nome Aeolian assieme ad Andrea Maietta. Pur non avendo nessuna ‘certificazione ufficiale’ si interessa di management e business. E’ un seguace delle scuole di Customer Development di Steve Blank. Si interessa di elettronica dall’età di 10 anni.
La Genesi
1. Perchè avete deciso di fondare il Frankestein Garage?
PA: E’ nato tutto per scherzo, fantasticando di fronte alla macchinetta del caffè. Alessandro mi raccontava del suo desiderio di aprire un laboratorio in cui inventare e costruire gli oggetti più diversi. Allora ci si è accesa una lampadina. Nel 2006 avevo letto il libro FAB di Neil Gershenfeld, fondatore del primo FabLab, e la cosa aveva parecchio emozionato anche me.
AG:Nel laboratorio volevamo sperimentare nuovi metodi di lavoro, nuove forme e nuovi materiali, oppure provare a utilizzare gli oggetti in maniera diversa, più “agile”.
PA:Poi, invece che continuare a fantasticare, abbiamo iniziato a far accadere la cosa. Il giorno stesso ho chiamato subito Andrea, con cui da tempo stavamo cercando di applicare le teorie di Steve Blank…
AM: …e naturalmente non potevo che entusiasmarmi all’idea: negli anni avrei voluto costruire un milione di cose senza sapere come, ed ecco che potevo non solo farlo, ma anche aiutare gli altri a fare lo stesso. Ma l’esigenza era solo nostra? Se ci pensiamo è assurdo che nella città del design non esistesse ancora un laboratorio per la fabbricazione personale…
PA: Infatti FrankensteinGarage è un FabLab: un laboratorio nato per stimolare l’inventiva, in cui si possono trovare macchine per la fabbricazione digitale (e non) con cui costruire (quasi) ogni cosa, dalla bicicletta fatta con materiale plastico, alla rete a maglia con cui il pastore norvegese riesce a ritrovare le pecore alla fine della stagione del pascolo, al sistema con cui grazie all’energia solare il contadino africano pompa l’acqua dal pozzo del villaggio.
AM:Però dovevamo capire come contestualizzarlo, renderlo interessante e accessibile dall’inizio anche al meno esperto.
AG:Per questo abbiamo cercato un materiale flessibile, semplice e veloce da utilizzare per gli studi di fattibilità e la prototipazione, un materiale che fosse conosciuto da tutti. E i mattoncini LEGO, tanto amati da giovani e meno giovani, rispondevano perfettamente a tutti questi requisiti. Oltre ad essere un gioco didattico utile durante la crescita, sono anche uno strumento versatile che si adatta a moltissime esigenze. Inoltre è anche un modo per lavorare ed imparare divertendosi, regola fondamentale del nostro laboratorio.
AM:In realtà dovrebbe essere una regola fondamentale in ogni ambiente di lavoro, ma spesso purtroppo non si è così fortunati.
PA:Inoltre eravamo stanchi di sentire che in Italia non si può cambiare nulla. Nel mio taccuino ho appuntato una frease di Andy Warhol: “They always say time changes things, but you actually have to change them yourself”…
AM:e siccome, per proseguire con le citazioni, “time may change me, but I can’t change time” non abbiamo perso tempo e ci siamo messi subito all’opera.
PA:Sento parecchi ragazzi che non sono contenti di come stanno le cose o di quello che fanno: bisogna iniziare e provare a cambiare le cose invece che subirle o fuggire.
AG:In effetti purtroppo in Italia è difficile essere presi seriamente, sapere con chi parlare per riuscire a concretizzare le proprie idee e realizzare i propri progetti. Ma possiamo cambiare le cose. Noi vogliamo offrire a tutti la possibilità di incontrare altre persone che come noi hanno voglia di fare e di costruire qualcosa qui, nella nostra città.
I Valori
2. Potete spiegare ai nostri lettori quali sono i valori su cui si fonda un FabLAb?
AM:Intanto non posso non ricordare che il termine FabLab viene anche usato come abbreviazione di Fabulous Laboratory, laboratorio favoloso, proprio per la possibilità di realizzare quasi tutto quello che si desidera. Il “quasi” è legato da un lato ai limiti degli strumenti e dai materiali impiegati, dall’altro a una serie di valori condivisi, appunto, con tutti gli altri FabLab.
PA:Infatti i FabLab appartengono ad una rete mondiale coordinata dal MIT…
AM:…e noi siamo i primi e unici in Italia a farne parte, almeno per ora…
PA:…che condivide uno statuto comune. La cosa più importante che si vuole ottenere è l’accesso al sapere da parte di tutti grazie alla condivisione.
AM:Infatti l’accesso al sapere è sempre stato appannaggio di pochi, anche nelle università la cultura si è sempre fatta nei chiostri e non nelle aule. Noi vogliamo che tutto questo cambi.
AG:Siamo ormai in un mondo individualista, dove le persone sono gelose del proprio sapere e la condivisione è una cosa molto rara, specialmente nel mondo lavorativo. In un FabLab invece tutti sono sia allievi sia maestri, imparano dagli altri e insegnano loro quello che sanno. Questo tipo di interazione permette anche che si imparino insieme cose che nessuno dei partecipanti prima sapeva.
PA:Esatto. Al FabLab tutti possono entrare e realizzare quello che desiderano, purché non sia offensivo.
AM:Noi non vogliamo neanche oggetti inquinanti né armi di alcun tipo, se non quelle finte da usare ad esempio come oggetti di scena. L’unica arma che costituisce un’eccezione a questa regola è la spada laser.
PA:Si impara ad usare le macchine e ci si aiuta a vicenda. In più noi forniremo servizi per stimolare l’inventiva e la fantasia: sono anni che ci studiamo Munari, DeBono, Edwards…
AM:Naturalmente entrare in un FabLab significa anche accettarne le regole: non è un negozio dove si comprano oggetti, ma un laboratorio di cui ogni utente è responsabile della propria sicurezza, di quella delle altre persone e delle macchine. Inoltre vale la regola del buon boy scout, che anche ogni buon programmatore conosce: lascia ogni cosa in una situazione migliore di come l’hai trovata.
AG:Non dimentichiamo che il FabLab, oltre a essere uno spazio per la fabbricazione personale, può anche essere la base per attività commerciali. Non è raro che il caso di giovani che non riuscivano a trovare un lavoro e che se lo sono inventato a partire dai FabLab sparsi in giro per il mondo. Naturalmente queste attività non devono intralciare le normali attività istituzionali e l’accesso al laboratorio per tutti. E’ inoltre buona norma che i vantaggi di tali attività vengano condivisi con tutte le persone che hanno contribuito alla loro riuscita.
AM: in più noi siamo molto attenti all’aspetto dell’ecosostenibilità, quindi ogni volta che possiamo utilizziamo materiali recuperati e li ricicliamo, dando loro una nuova vita. Oltretutto questo concorre anche alla sostenibilità finanziaria, che è un altro degli obiettivi di un FabLab.
3. Elettronica e informatica spariscono. La miniaturizzazione dell’elettronica rende possibile nuove interazioni. Non è necessario utilizzare mouse, tastiere e monitor. L’uomo interagisce naturalmente con nuovi paradigmi. Il computer sparisce e lascia spazio all’uomo. Usiamo metodi anticonvenzionali: i mattoncini LEGO. Ora, fermo restando la carica rivoluzionaria delle affermazioni di cui sopra, potreste spiegare ai nostri lettori come è possibile prototipare un aspirapolvere solo con i LEGO?
AM:Penso che saremmo tutti stupiti, noi compresi, di quello che è possibile fare solo con i mattoncini LEGO, basta andare a vedere le creazioni di Yoshihito Isogawa per rendersene conto. Detto questo, non è che utilizziamo indistintamente il LEGO per ogni cosa che facciamo. L’idea è quella di cercare di usare sempre lo strumento adatto al lavoro che si sta svolgendo, perché è vero che si può usare la punta di una sega per togliere una vite, ma forse non è lo strumento migliore per farlo. In un FabLab si può trovare un vasto campionario di attrezzi e macchine, e nel Frankenstein Garage anche di mattoncini LEGO, in modo da scegliere di volta in volta ciò che meglio si presta a soddisfare le nostre esigenze. D’altra parte è la stessa cosa che succede per le persone, altrimenti non si farebbero mille colloqui prima di assumere qualcuno. Si cerca sempre la persona più adatta al lavoro, e ciascuno ha le sue caratteristiche peculiari: francamente non mi ci vedo in calzamaglia aderente a ballare il lago dei cigni…
PA:Per rispondere alla tua domanda vorrei chiarire come affronteremmo il problema. E’ chiaro che non costruitrei mai un intero prototipo di aspirapolvere in LEGO (anche se qualcuno lo ha già fatto, ad esempio quello realizzato da Dave Astolfo si chiama Pulito ed è basato su Mindstorm). Al FG il LEGO interviene per sviscerare le meccaniche del dispositivo, gli azionamenti ed eventualmente il design. Sul nostro blog trovi un esempio di quello di cui ti sto parlando: una sedia pieghevole realizzata con i mattoncini. Abbiamo scelto la sedia perché è l’Hello World per un designer. Sono molti i designer e gli architetti che hanno nel loro curriculum una sedia. Cito qualche nome: Henry LLoyd Wright, Le Corbusier…
AG:Costruire un prototipo ha dei costi fissi molto alti. Questo molte volte è causa dell’abbandono o della “chiusura nel cassetto” di idee o sogni. Questo problema può essere risolto semplicemente con uno studio di fattibilità, per vedere se l’idea sta in piedi ed eventualmente migliorarla. Per fare tutto questo abbiamo bisogno di un materiale semplice, veloce e versatile: cosa meglio del LEGO può esserlo? Il LEGO dispone di tutti i meccanismi, ingranaggi e mattoncini necessari per creare un pezzo funzionante della nostra idea.
4. Ritorniamo alla carica rivoluzionaria del progetto in sè. Vorrei chiedervi, se ognuno di noi diventasse in grado di costruire un oggetto perfettamente funzionante e perfettamente corrispondente alle proprie esigenze, e quindi ai propri bisogni, cosa accadrebbe all’attuale sistema di sviluppo economico? Ovvero è possibile affermare che la diffusione di un tale movimento mina le basi della produzione industriale, delle economie di scala e del sistema capitalistico più in generale?
AM: Un economista potrebbe rispondere a questa domanda molto meglio di me; la mia idea è che le potenzialità insite nella fabbricazione personale possono aiutare le persone a dire basta al consumismo sfrenato con il quale siamo bombardati dai media fin da piccoli secondo il ben noto principio del gutta cavat lapidem. A un certo punto, e questo purtroppo accade fin troppo presto nella nostra vita, sembra che non possiamo fare a meno di cambiare cellulare ogni sei mesi: tutto ciò a mio modo di vedere è sbagliato, ma questa è una questione di mentalità, ed è indipendente dalla fabbricazione personale.
PA:E’ che siamo tutti fissati con il PIL, che deve aumentare a tutti i costi. E’ la preoccupazione di tutti i governi. Il punto è che il PIL cresce anche a fronte di fatti spiacevoli come guerre ed incidenti automobilistici: fatti non molto auspicabili. Già Kennedy negli anni 60 si era accorto di questa aberrazione: “Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.”
AM:I nostri nonni riparavano le cose, se si rompeva qualcosa si aggiustava o si riutilizzava per fare altro. Lo sviluppo economico si può verificare se le persone hanno i soldi da spendere, ma deve essere una situazione sostenibile.
PA:siamo arrivati al punto che gli oggetti sono progettati per durare poco tempo. Sono programmati per rompersi.
AM:E la durata delle garanzie è calcolata da esperti di statistica. Infatti le cose mediamente si rompono appena la garanzia scade. Non è sfortuna, è come si vuole che sia.
PA:E questo non fa che aumentare il PIL! Mi pare assurdo che un sistema debba contare su un suo effetto secondario per poter prosperare! E’ come sfruttare un cheat in un videogame. Se misuro il sistema in questo modo e so che se gli oggetti che produco durano poco e che quindi ci sarà più crescita, allora per prosperare continuerò a produrre oggetti sempre più deperibili. Per questo amo credere nella decrescita (Serge Latouche) e nel tornare a fare le cose come una volta, onestamente. Oggetti durevoli e riparabili, prodotti da un sistema più sostenibile.
AM:Comunque non prevedo che né a breve né a medio termine saremo in grado di fabbricare tutto quello che ci serve in modo autonomo. La fabbricazione personale comunque non deve essere necessariamente vista come una minaccia all’economia e alla produzione industriale, perché spesso ne è un complemento: non è detto che io voglia costruire qualcosa completamente da zero, ma potrei voler acquistare un qualcosa di già pronto e “customizzarlo” secondo le mie esigenze. Potrei volere un volante per una gaming console e portare le marce al volante invece che tenerle in una leva a parte. Potrei voler trasformare il mio computer in un oggetto d’arte in stile steampunk. Potrei voler incidere il logo del Frankenstein Garage sulle ante degli armadi del mio box. Da qui il nostro motto: “your things, reborn”. Le possibilità sono infinite, e non incidono minimamente sull’attuale meccanismo di produzione. Al contrario, la fabbricazione personale può aprire la strada a una serie di servizi di tipo “aftermarket”: non sarò certo l’unico a volere le marce al volante, quindi potrei offrire un servizio di personalizzazione a chi non è in grado (o non è interessato) ad effettuare le modifiche personalmente. Non è niente di nuovo, alla fine stiamo parlando di quello che è il main revenue stream di una qualsiasi officina che si occupi di tuning, ma con una richiesta di investimento iniziale molto minore.
Il movimento e le sue potenzialità
5. Quanto il movimento del FabLab è diffuso nel mondo? Quali miglioramenti ha apportato alla vita della persone e se esistono quali sono i limiti alla sua diffusione capillare?
AM:Il movimento è molto diffuso negli Stati Uniti, dove ha avuto origine, e in Europa, ma non mancano laboratori in altre parti del mondo. Però siamo ancora agli inizi, la fabbricazione personale non è ancora abbastanza diffusa. Per assurdo lo era una volta, quando i nostri nonni e i loro nonni prima di loro si facevano tutte le cose da soli, anche se senza le macchine sofisticate che abbiamo a disposizione oggi, e con tempi molto più lunghi. Non vorrei tornare agli estremi de “La casa nella prateria”, ma secondo me avevano ragione loro…
PA:e così torniamo a Latouche! Il movimento ha creato molte opportunità con valenza sociale. Sono stati aperti laboratori in India, Africa, perfino in Afghanistan, in posti in cui a stento arriva la corrente elettrica. In situazioni del genere le tecnologie per noi “quotidiane” sono ancora miracolose, un pannello solare per alimentare un pozzo è una meraviglia. Le persone realizzano pompe, strumenti agricoli o macchinari con l’aiuto dei FabLab. Creano oggetti nuovi con le poche materie che hanno a disposizione: non hanno un centro commerciale a 2 passi dal villaggio!
AG:Infatti il movimento è nato principalmente per migliorare la vita delle persone. Basti pensare ai lavori e brevetti creati ed utilizzati nei Paesi in via di sviluppo. Gershenfeld e il FabLab del MIT sono molto attivi nei paesi in via di sviluppo. In India hanno collaborato con HoneyBee Network di Anil Gupta (un’associazione simile ai FabLab che raccoglie ed aiuta a sviluppare le idee degli inventori amatoriali). I contadini non potevano permettersi un trattore da 2500$ e il FabLab ha creato un kit per motociclette da 400$ per creare un trattore a tre ruote. Il costo totale del mezzo è di 1600$ e oltretutto il kit è rimovibile. Molti avevano necessità di un sistema controllabile per fertilizzare i campi: un semplice kit per bicicletta risolve il problema distribuendo le quantità corrette di prodotto. Ci sono villaggi senza elettricità, ecco allora un kit con una dinamo da far azionare da un toro: produce 1Kwh di energia, più che sufficiente per un piccolo agglomerato di capanne. Ci sono stati molti altri interventi, anche a Bombay, nel Ghana…Sui nostri siti compaiono invenzioni che fanno sorridere o che possono avere scarsa utilità. Sono sempre comunque dimostrazioni della potenza dei FabLab: questi laboratori risolvono problemi e diffondono la conoscenza per rendere la vita più agevole. Un po’ come succede per le auto con la F1, dove si provano tecnologie che magari nel giro di qualche anno arrivano anche sulle utilitarie.
6. Una volta realizzato un qualsiasi prodotto è possibile commercializzarlo su larga scala? In che modo il FabLab ne disciplina la commercializzazione?
AM:In effetti lo statuto del FabLab non solo prevede ma addirittura disciplina questa possibilità. Citando testualmente: “Il FabLab può incubare attività commerciali, ma queste non possono entrare in conflitto con le attività e il libero accesso al laboratorio; le attività dovrebbero svilupparsi all’esterno, piuttosto che all’interno del laboratorio, e si prevede che siano a beneficio degli inventori, dei laboratori, e della rete che ha contribuito al loro successo.” Utilizzare un FabLab per la produzione di scala sarebbe poco opportuno, sia perché interferirebbe con le normali attività del laboratorio, sia perché non è detto che il laboratorio stesso sia attrezzato per una produzione di ingenti volumi. L’attività di produzione massiva potrebbe benissimo essere delegata ad aziende specializzate, favorendo così quella produzione industriale che temevi potesse essere ostacolata dai FabLab. In effetti questo è proprio uno dei quattro modelli di business evidenziati da Peter Troxler, segretario della FabLab International Association.
PA:Se vuoi il FabLab può essere visto da un’impresa come il suo laboratorio di R&S in outsourcing. Le nostre competenze, e quelle che trovi nei FabLab in generale, coprono vari campi tra cui elettronica, la fabbricazione digitale, informatica nonché metodi e tecniche per generare innovazione. Se questo non bastasse, aderendo alla rete mondiale dei FabLab si gode del privilegio di poter richiedere assistenza all’intera rete. Avere un consiglio da parte del MIT non è certo poca cosa!
AM:Conque noi offriamo anche alle aziende la possibilità di finanziare i loro progetti di prototipazione tramite crowdfunding, poi la produzione passa a loro. E torniamo a parlare di come un FabLab può aiutare l’economia…
AG: Il FG mette anche a disposizione una vetrina digitale per poter commercializzare i prodotti creati; in questo modo possiamo seguire i clienti dall’inizio alla fine, aiutandoli anche nella vendita e fornendo un servizio completo “chiavi in mano”. Le chiavi del laboratorio, ovviamente!
Per chi volesse avvicinarsi al mondo del Frankestein Garage ricordiamo tre eventi in programma nei prossimi giorni: 1. “L’elettronica della sciura Maria” – microcorso pratico per curiosi – 27 ottobre 2011; 2. “L’ABC di Arduino” – programmazione di un microcontrollore – 3 novembre 2011 3. “Arduino: verso l’infinito ed oltre” – alternative ad Arduino – 10 novembre 2011 Il Frankestein Garage sarà inoltre presente con tre talk all’Agile Day che si terrà a Roma il 19 novembre 2011.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2011/10/frankestein_garage.jpg542846Shuriken Strikehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngShuriken Strike2011-10-20 13:30:222011-10-20 13:30:22Frankestein Garage. Where amazing happens!
Alzi la mano chi non ha mai sbagliato nella vita ad inviare un sms. Un errore che spesso può costare amicizie e incidenti diplomatici. Cercate di ricordare come vi siete sentiti dopo un sms inviato alla persona sbagliato e moltiplicate la sensazione per 13.0oo. E capirete, forse, come si è sentito Eric Besson, il ministro francese dell’Industria, quando ha capito di aver inviato come tweet pubblico un direct message destinato ad una donna (che i maligni dicano non essere sua moglie, visto che la signora Besson non ha un profilo Twitter).
10:59 – “Quando torno a casa vado a letto. Troppo stanco. Con te?” Eccolo, il tweet incriminato che è rimasto online per un po’, finché il ministro, una decina di minuti dopo, non si è accorto della cosa e ha provato a sdrammatizzare con un altro tweet che suonava più o meno così “Lol! Mi scuso, così imparo a non toccare la lista delle bozze e a premere per sbaglio sul tasto invio. Non vado a letto…».
Ovviamente su Twitter si è scatenata l’ironia e i RT non si contano, tanto che Besson ha presto smesso di “Lollare” e ha definito “deliri” gli inevitabili sfottò che la rete non smette di indirizzargli.
Del resto, essere personaggi pubblici comporta da sempre questi inconvenienti e la rete non perdona. Di sicuro, adesso sappiamo che è Besson in persona a gestire il suo account Twitter e questo non può fargli che onore. Account che a 24 ore “dall’incidente” ha guadagnato 1.300 follower, come twitta lo stesso ministro.
L’unico dubbio è: non sarebbe stato meglio “investire” 15 cent in un caro vecchio sms? Il ministro avrà inviato un tweet per arginare i costi della politica?
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.png00Kahimi Shimahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngKahimi Shima2011-10-20 13:00:332011-10-20 13:00:33Il ministro francese Besson e il suo tweet hot
In questo video Nestlè organizza un’azione di Guerrilla per promuovere Contrex, un’acqua arricchita con Calcio e Magnesio e che, proprio per queste sue caratteristiche, aiuterebbe a perdere peso.
Si sa, i tempi sono cambiati e il sesso femminile è decisamente più intraprendente, quindi come fare per motivare 10 donne a pedalare energicamente su una noiosissima cyclette? La risposta è semplice: cosa di più adatto di uno spogliarello maschile? L’energia cinetica, ottenuta attraverso le pedalate, serve ad alimentare i cavi al neon e una postazione Dj, nonchè il sexy spettacolo di un gigantesco spogliarellista. … e non appena le volontarie protagoniste si accorgono che il tutto dipende dall’intensità delle pedalate, eccole prontissime a metterci tutto l’impegno necessario per godere appieno della bella visuale! Proprio al momento clou dello spogliarello, l’omino sexy le informa che, grazie all’attività fisica svolta, hanno appena perso ben 2000Kcal.
Se l’acqua Contrex sia o meno in grado di far perdere peso, non sta a noi stabilirlo, ma se anche nel quotidiano riuscisse a fornire, come in questo caso, la giusta motivazione … beh, probabilmente saremmo tutte delle alici! 😉
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.png00Tomokohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngTomoko2011-10-20 12:06:002011-10-20 12:06:00Nestlé vi invita a vivere la Contrexexpérience [VIRAL VIDEO]
LifE in frame è una nuova applicazione gratuita per iPhone e iPad (scaricala GRATIS in AppStore)ideata da Eridania, il noto brand di zucchero che gode di un’elevatissima awareness. L’obiettivo comunicativo dell’app è quello di ringiovanire e rivitalizzare l’immagine di Eridania, ancora fortemente connotata e stratificata da elementi della tradizione. Come? Proponendo una corporate image più moderna, coinvolgente e vitale, attraverso la presenza sui new media per stimolare l’engagement tramite facebook, twitter, il mondo apple-centrico ed ambienti digitali creati ad hoc. La logica è quella di consolidare, soprattutto per un target più giovane, i valori di Eridania: vitalità, energia, innovazione e dinamicità.
E va sottolineata l’attenzione ai dettagli di questo progetto digitale non convenzionale: il suo saper cogliere il ritmo di ciò che è attuale. Dal photo/video sharing all’integrazione – come vedremo – con altre app o strumentazioni già popolari tra amanti della fotografia. Dall’intuizione di solleticare l’ego offrendo uno strumento facile ed accattivante per produrre life movies esperienziali ed altamente personalizzati (ricordate il Google Search Stories Video Creator?) In ogni caso, le attività di comunicazione a supporto della release dell’app aggiungono completezza alla campagna: i futuri contest legati alla community potrebbero dar vita ad una tribù di dolci video-amatori desiderosi di condividere contenuti video più poetici, più evocativi e suggestivi rispetto alle potenzialità offerte da altre piattaforme simili!
Come funziona l’app
Ai possessori di iPhone dunque è offerta un’app divertente per creare piccole opere d’arte e liberare la propria creatività. La particolarità del funzionamento dell’app è quella di aver scelto una tecnica fotografica e cinematografica raffinata come lo stop motion, in italiano passo uno. (Per chi non la conoscesse, è quella tecnica che consente di muovere oggetti inanimati fotografandoli frame dopo frame in una posizione sempre leggermente diversa. L’effetto è leggero ed affascinante al contempo: vedere uno dei più celebri corti mai realizzati in stop motion, Teclopolis). L’applicazione consente quindi di scattare le proprie fotografie ad una ad una – o in sequenza – e conservarle come frame di un film, per poi montarle in un unico video e creare un’animazione a diverse velocità. Per rendere “LifE in frame” ancora più interattiva ed incantevole, sono stati creati dei filtri colore ispirati all’anima dei prodotti Eridania:
Azzurro ispirato al soffio di Zefiro, lo zucchero che si scioglie istantaneamente, spesso usato a livello professionale nelle pasticcerie italiane. Seppia, un colore capace di riscaldare qualsiasi scatto, proprio come la varietà di zucchero Tropical che evoca climi caldi e luoghi esotici. Un lilla pastello per la lente di Essenza di Natura, capace di dare alle immagini un aspetto naturale (l’avrete immaginato, come 100% di origine naturale è questo prodotto di Eridania.
Leggermente desaturato per Classico Eridania, da 110 anni sinonimo di zucchero per il consumatore italiano, il prototipo della categoria. Inoltre sarà anche possibile ambientare i propri scatti all’interno di scene preimpostate, con dei filtri effetto “face in hole”, per creare storie legate ai prodotti Eridania. Con queste lenti la presenza del brand risulta, rispetto agli altri ambienti all’interno dell’app, più evidente rispetto ai filtri di cui sopra. Saranno queste storie ad essere, successivamente, poste al centro dei sovramenzionati contestfuturi che Eridania sta per allestire.
“LifE in frame” permette infine di inserire icone e testi all’interno dei propri stream di fotogrammi, una funzionalità basilare per arricchire le potenzialità espressive e di personalizzazione dell’app. Ma non finisce qui: grazie alla possibilità di caricare le fotografie realizzate con altre applicazioni e device, come ad esempio Instagram o una reflex, e montarle in un filmato utilizzando le “features” proposte, l’applicazione diventa al contempo anche un sofisticato strumento di montaggio e postproduzione. “LifE in frame” ha una sua community dedicata attraverso la quale è possibile postare video e condividerli con gli amici. Non mancheranno poi uno spazio anche su facebook ed il canale twitter dedicato. Stay tuned! Pronti a condividere la vostra vita in stop motion? 🙂
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.png00Aikohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAiko2011-10-20 11:00:492011-10-20 11:00:49LifE in frame di Eridania, l'app per vedere la tua vita in stop motion
I nostri ricordi legati a quegli anni passano per i giochi che ci hanno fatto divertire di più. '>
Nella nostra sezione raccontiamo dei gadget e dei video games più recenti, magari parlando di una super grafica e di una tecnologia innovativa. E se tornassimo qualche anno indietro?
Eccoun video nostalgia che ripercorre molti dei giochi più usati negli anni ’80. Li ricordate tutti?
Il cubo di Rubik, i Transformers, i Lego, i floppy, le biglie, la consolle Nintendo: quali altri aggiungereste?
Eccovi il video in stop motion, scovato dalla nostra sezione viral video:
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.png00Simosokehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngSimosoke2011-10-20 10:30:472011-10-20 10:30:47I giocattoli degli anni '80 in due minuti
Durante il web 2.0 summit di San Francisco, è stato lanciato il nuovo progetto di UberMedia, l’azienda di UberSocial: Chime.in è un social network per i dispositivi mobili concepito per pagare gli utenti iscritti. In che modo? Retribuendo le persone con gli introiti pubblicitari o l’auto-promozione, grazie alla formula del revenue sharing.
Come tutti i social network, Chime.in, proposto dal Ceo di Ubermedia Bill Gross, è “un interest network , where people share, connect with others, and built communities around their favorite topics”. Da la possibilità di condividere foto, link, video ma anche il 50% delle entrate date dai click ai banner pubblicitari.
Una maniera per guadagnare e condividere veramente tutti gli interessi con i brand che si seguono e che non sono, forse, ancora riusciti a sfruttare l’elevato numero di fans su Facebook o di followers su Twitter. Una sfida al social network blu, in primis, che nonostante gli oltre 800 milioni di utenti, non è riuscito a integrare un metodo di guadagno per le visite alle proprie pagine, e anche alle altre reti sociali che attirano persone promettendo nuove e innovative funzioni, ma mai entrate monetarie.
Una piattaforma di social networking che permetterà di selezionare le proprie aree di interesse e di orientare le proprie ricerche e anche la condivisione dei ricavi pubblicitari fra l’azienda americana e l’utente. Una formula fra l’altro già utilizzata da YouTube per incrementare la creatività dei propri utenti premiando chi pubblica video virali e popolari.
L’Uber Media è l’azienda già nota per l’acquisizione e il lancio di applicazioni come Twitter Echofon e Twidroyd, e prevede con Chime.in, inoltre, delle applicazioni per Android e BlackBerry più un sito web sul desktop.
Un social network basato sul pay-you-to-post che permetterà guadagni dall’advertising. Ma, è questa la giusta strada che si vuole percorrere? Si vuole veramente trarre profitto dal social networking?
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.png00Leikahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngLeika2011-10-20 10:00:482011-10-20 10:00:48Chime.in, l'interest network che fa guadagnare
eBay e Facebook stanno per dare vita ad una partnership che vuole rivoluzionare il mondo del social commerce. Riusciranno i due colossi a far diventare lo shopping online realmente un'esperienza più social?
La settimana scorsa a San Francisco si è svolta Innovate, una nuova conferenza degli sviluppatori di eBay, dove il CEO della più nota piattaforma di commercio online, John Donahoe, ha annunciato un’imminente svolta per l’azienda, una svolta che, secondo quanto ha dichiarato a TechCrunch (vedi anche Facebook And eBay Team Up To Breathe New Life Into Social Commerce) nei prossimi 3 anni porterà ad un maggior cambiamento nel modo in cui i consumatori acquistano e pagano online. Nel corso della conferenza, infatti, è stata lanciata X.Commerce, una nuova piattaforma che, oltre a eBay, raggrupperà anche PayPal, Magento e GSI. L’obiettivo di X.Commerce è ambizioso: dar vita ad una soluzione ecommerce aperta, che mira a diventare il principale servizio di social commerce.
X.Commerce sembra essere il primo vero tentativo di eBay di creare un business che si rivolge davvero agli sviluppatori, che ora infatti potranno avere in un unico spazio con tutte le tecnologie per poter creare “nuove esperienze di shopping ed ecommerce basate su un insieme di tools integrati tra loro”.
Sempre a Innovate è stata annunciata una partnership tra Facebook ed eBay, che vedrà l’integrazione dell’Open Graph di Facebook (l’albero delle connessioni che permette di condividere contenuti e interagire con gli amici) con le piattaforme di commerce di GSI e Magento. Questo darà agli sviluppatori la possibilità di costruire nuove esperienze di shopping per consumatori e retailer, condividere idee, creare app personalizzate per comprare, vendere e condividere su Facebook.
La verità è che non si può dire che il social commerce abbia preso piede più di tanto l’anno scorso tra i consumatori. E’ vero che i commercianti hanno avuto l’opportunità di vendere attraverso le loro brand page su Facebook, ma finora le vendite sul social network non hanno fatto grandi numeri. I consumatori, del resto, non sono stati particolarmente conquistati dallo shopping su Facebook probabilmente per la loro riluttanza nell’acquistare attraverso una piattaforma originariamente usata per condividere immagini e link. La preoccupazione che Facebook s’impossessi dei loro dati sensibili, come ad esempio quelli sulla carta di credito, è il principale freno al far diventare quello su Facebook uno shopping “compulsivo” come quello dei portali aggregatori di sconti e coupon.
Come ha sottolineato il VP e General Manager di X.Commerce Matthew Mengerink “lo shopping online rimane un’esperienza molto individualistica e solitaria. Ma lo shopping di per sè è un’attività sociale e questo apre a infinite possibilità per il social commerce.”
Con la nuova integrazione tra eBay e Facebook, gli sviluppatori saranno ora in grado di costruire app di social commerce che consentiranno agli utenti di condividere quali sono i prodotti che comprano, che desiderano o che consigliano.
Mengerink spiega che quello che la nuova partnership sta cercando di incoraggiare è l’esperienza di pre-shopping. Il processo attraverso cui i nostri amici scelgono un negozio e un prodotto online genera conversazione e condivisione di idee e opinioni. E tutto questo è un modo per incoraggiare il riconoscimento del marchio, per aumentare la familiarità con i prodotti attraverso il word of mouth, ed è essenziale per trasformare lo shopping online in un’esperienza più social e, quindi, più simile allo shopping tradizionale.
Indubbiamente il passaparola e l’opinione degli amici su un prodotto ha molto peso sulla decisione di acquisto da parte di un consumatore, soprattutto nell’era “webcentrica”. La domanda di fondo, però, è se navigare nel profilo degli amici e vedere che parlano di un prodotto che hanno appena acquistato sia effettivamente un modo per rendere lo shopping online un’esperienza più sociale e, soprattutto, se queste novità sono davvero in grado di rivoluzionare il social commerce.
Nell’attesa che la partnership diventi concreta, voi cosa ne pensate?
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.png00Eukikohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngEukiko2011-10-20 09:30:422011-10-20 09:30:42Facebook e eBay insieme per una nuova era del social shopping
Se è vero che gli annunci pubblicitari ci sommergono, se da tempo i creativi cercano di coinvolgere i cinque sensi per rendere indelebili ed indimenticabili gli annunci commerciali, l’homo sapiens tecnologico tende sempre più a spegnere il cervello sottoposto ai bombardamenti costanti degli annunci promozionali.
L’idea allora è stata quella di intervenire, diciamo così, sul “sesto” dei sensi, o meglio di sfruttare tecnologie fantascientifiche per agire sui sensi ed arrivare al profondo, alla parte più nascosta che influenza il comportamento dei consumatori.
Ecco, a seguire, una top 5 – tradotta da Cracked – delle tecniche di fantascienza più o meno già disponibili, da utilizzare per stupire i consumatori del futuro.
5 – Gli annunci che sussurravano agli uomini
Se si sta passeggiando per strada, assorti nei propri affari e casualmente si oltrepassa un cartellone pubblicitario, la risposta media è di bassa attenzione. Ma a questo punto scatta la novità: una voce femminile (o maschile) che ci chiama bisbigliando nell’orecchio! Non è l’immaginazione e non c’è nessuno nei dintorni: è solo un dispositivo che utilizza una tecnica chiamata suono ad ultrasuoni, che consente fondamentalmente di sparare il suono a grosse distanze, come una voce fantasma, diritto nell’orecchio.
Una società chiamata Holosonics ha sviluppato un dispositivo che chiama “riflettori audio” strumento che permette di raggiungere a grandi distanze il destinatario dell’annuncio commerciale senza che questi percepisca la presenza di alcunché nei paraggi. Si tratta fondamentalmente di un LRAD (dispositivo acustico a lungo raggio), tecnologia di applicazione militare ora prestata al marketing. Insomma, una sorta di Grande Fratello acustico.
Tecnica 4 – Cartelloni e manifesti che ti guardano”
E’ così che viene rivitalizzato anche il vecchio e sempreverde cartellone pubblicitario. Probabilmente una delle forme comunicative più antiche, presente anche nell’antica Pompei, come testimoniano i resti visibili negli scavi, ma anche una forma di comunicazione molto spesso eliminata automaticamente dalla vista del passante distratto. L’idea rivoluzionaria in questo caso è quella di utilizzare un manifesto che è esso stesso in grado di osservare chi guarda e attraverso dei parametri di razza, età, sesso ed informazioni preimpostate, essere in grado di trasmettere un messaggio personalizzato.
Nel 2010, la società giapponese di elettronica NEC ha installato pannelli digitali che utilizzano la tecnologia di riconoscimento facciale nei centri commerciali giapponesi. Sono cartelloni in grado di guardare i passanti, scansire i loro volti con una fotocamera integrata e distribuire annunci adatti al destinatario (sperando che l’errore normale statistico non generi annunci involontariamente imbarazzanti!)
E addirittura questa tecnologia è stata utilizzata per distributori automatici che tengono conto del cliente, del tempo atmosferico e possono così consigliare bevande e snack adatti al momento, al clima ed all’acquirente.
E non è solo in Giappone o per motivi profit che si utilizzano queste tecnologie: ad esempio nel mondo della pubblicità sociale, è apparso un cartellone di Amnesty International che mostra una coppia felice mentre si sta guardando, ma non appena chi è davanti al manifesto distoglie lo sguardo, lo scanner collegato fa cambiare improvvisamente il poster in una scena di violenza domestica, a testimoniare che basta pochissimo per comprendere che la realtà non è come appare.
3 – Il Product Placement digitale.
Il product placement non è una cosa nuova, anzi diciamo che in TV è stata una delle prime tecniche utilizzate e odiate dai telespettatori che vedevano piazzati nei momenti più interessanti dei propri telefilm preferiti prodotti a bella posta e senza neanche tanta discrezione. Ora si è andati oltre: immaginate di tornare a guardare una vecchia replica di un telefilm anni ’70 oggi di nuovo di moda, visto una dozzina di volte, ma ora il protagonista ha improvvisamente un iPod in mano o qualcos’altro che non esisteva in quel momento. Questo è il product placement digitale.
Una società chiamata SeamBI ha inserito digitalmente un product placement in 20 repliche per la televisione, in spettacoli come How I Met Your Mother e My Name Is Earl , molto popolari negli USA. Così appare un iPod nel 1995: pubblicità via shock da anacronismo. SeamBI è in grado non solo di cambiare cartelloni pubblicitari sullo sfondo, ma anche oggetti, auto, bevande e chi più ne ha più ne metta.
2 – Intercettazioni attraverso il computer
Le intercettazioni ambientali avvengono attraverso il microfono del pc. Basta immaginare di essere al computer, in chat e mentre viene citata una necessità appare proprio un pop up che pubblicizza qualcosa per soddisfare quel bisogno.
Google ad esempio ha già sviluppato la tecnologia per ascoltare le sonorità ambient intorno alle case: possono essere ascoltati i contenuti delle trasmissioni TV e proposti contenuti pubblicitari di conseguenza.
1 – Intercettazione delle chiamate telefoniche
Media Pudding, una società di marketing sta facendo qualcosa di molto simile a come funziona un account Gmail per carpire i contenuti rilevanti per gli annunci che appaiono nella testata del browser mentre si guarda la posta. Il telefono multimediale Pudding in cambio della propria tecnologia a disposizione intercetta le chiamate telefoniche tramite software di riconoscimento vocale al fine di mostrare in navigazione gli annunci che si collegano a quello che si sta dicendo.
La privacy è, naturalmente, un problema enorme in queste tecniche e sembrano tutti strumenti da Big Brother. Probabilmente molti sono inutilizzabili in Europa con standard di gestione dati a maggiore protezione, tuttavia come spesso accade con le novità, le idee sono potenti e non mancheranno di far discutere!
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.png00Stefania Melehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngStefania Mele2011-10-20 09:00:182011-10-20 09:00:185 tecniche di fantascienza per l'advertising del futuro
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