Il 26 maggio Google ha lanciato la notizia della sua nuova applicazione per il Mobile Payment: Google Wallet. In attesa di poterlo testare un giorno di persona, abbiamo raccolto i rumours, le informazioni, i video ufficiali e le dichiarazioni più importanti a riguardo, inclusa la vicenda della denuncia di Paypal per violazione dei segreti commerciali.
Come funziona
“Tap, pay, and save with Google Wallet”: niente di più facile, sembra dire Google. In effetti il portafoglio elettronico di Google non è nulla di nuovo, perché usa una tecnologia che molte delle carte di credito più famose già sfruttano, la NFC, Near Field Communication: la Mastercard ad esempio ha al suo interno la circuiteria NFC che è in grado di rispondere al wireless di appositi POS abilitati, permettendo in totale sicurezza i pagamenti.
Al momento dunque l’app Google Wallet funziona su un solo tipo di dispositivo mobile, il Nexus S 4G grazie al provider Sprint e per la sola carta di credito Mastercard Citi, anche se sono già stati presi gli accordi con le compagnie First Data, Subway, Macy’s, Walgreens e Toys ‘R Us. La promessa è che presto sarà possibile far funzionare l’app anche sugli altri dispositivi Android.
A questo punto mano al portafoglio, ehm al cellulare, e vediamo cosa fare. Primo passo: dopo aver scaricato l’app, bisogna impostare l’account della carta di credito. Visto che per ora l’unica disponibile è la Mastercard Citi, occorrerà accedere alle proprie credenziali, se la si possiede già, altrimenti attivarla dalla pagina web dedicata di Citi, scegliendo tra diverse modalità di credito. Potete anche attivare la Google Paipad Card, una carta prepagata che può attingere anche dalle proprie carte di credito già esistenti e che nel momento in cui viene attivata ha già a disposizione 10$ gentilmente regalati da Google (!).
Secondo passo: individuare gli esercizi commerciali che espongono l’adesivo che vedete nella figura sopra. Saranno circa 120mila punti vendita negli USA, da cui partirà questa estate l’iniziativa. A quel punto, con il prodotto scelto, dirigiamoci alla cassa e con un touch e la digitazione del nostro pin, porteremo a casa il nostro acquisto.
Come se non bastasse, a Mountain View hanno pensato di far guerra anche ai siti deal-of-the-day come Groupon con Google Offers, il sistema di sconti e offerte last minute legate anche al territorio. Sfruttando il modulo GPS dello smartphone si riceve la promozione del giorno più vicina a dove ci troviamo, da riscuotere alla cassa. Un motivo in più per gli esercenti di aderire all’iniziativa, che inoltre grazie a Google Offers accedono anche ai dati degli acquirenti utili ai fini commerciali.
Sicurezza e Mobile Payment
Oltre alla concorrenza che si è fatta già sentire, il primo ostacolo per Google Wallet è la diffidenza degli utenti: è davvero sicuro mettere nel proprio cellulare tutte queste informazioni? Google dichiara che Wallet è anche più sicuro dei tradizionali metodi di pagamento con carta e contante. Intanto per accedere all’app bisogna digitare un pin: le credenziali della carta sono criptate su un chip del device chiamato Secure Element. L’elemento Secure è separato dalla memoria del telefono Android. Il chip è progettato per permettere solo a determinate applicazioni di accedere alle credenziali delle pagamento in esso memorizzati. La tecnologia di cifratura sicura di MasterCard PayPass protegge le credenziali di carte di pagamento quando vengono trasferiti dal telefono cellulare al lettore POS. Nel caso di furto o smarrimento del cellulare, Google ricorda comunque che è possibile bloccare la Mastercard così come le carte di credito a cui si appoggia la carta prepagata, attraverso le banche di riferimento.
Paypal vs Google
A poche ore dal lancio di Google Wallet, ci si aspettava la reazione dei colossi dei circuiti di pagamento, in particolare dalla rivale per eccellenza di Mastercard, ovvero Visa, la quale si è messa subito in moto rispondendo con ugual moneta a Big G: un sistema di pagamento mobile basato anch’esso su NFC che sarà supportato da Bank of America, Chase, Us Bank e Wells Fargo, disponibile da autunno negli USA e in Canada.
Ma la reazione più decisa e inaspettata arriva da eBay, la piattaforma del commercio consumer to consumer che possiede il sistema di pagamento Paypal. Come nella trama dei migliori racconti di spionaggio industriale, due dipendenti di Google, Osama Bedier e Stéphanie Tilenius, avrebbero rubato l’idea di Google Wallet dal loro precedente posto di lavoro, appunto Paypal, dove ricoprivano ruoli chiave proprio all’interno del settore mobility. Nel blog ufficiale di Paypal, la compagnia ci tiene a specificare che non ama “frequentare” i tribunali ma che per questa vicenda ne vale la pena:
La risposta di Google al momento arriva dalla notizia lanciata da Techcrunch: difendendo i propri dipendenti, Big G. afferma la libertà degli individui di portare le proprie competenze nel loro posto di lavoro, anche se queste arrivano da una precedente esperienza professionale. Staremo a vedere l’evoluzione della questione. Nel frattempo scommettiamo che questo è solo l’inizio della competizione nel business dei pagamenti mobile…
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2011/05/googlewallet3.png500600Naokohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNaoko2011-05-31 13:07:352011-05-31 13:07:35Google Wallet: il servizio di pagamento mobile firmato Android!
Ad Aprile è uscito Nessun Segreto, edito da Mimesis per la collana “Il caffè dei filosofi”.
Il saggio ricostruisce gli eventi salienti della biografia di Julian Assange e il contenuto dei “cable” pubblicati finora, fino ad arrivare alla questione più spinosa e dibattuta: che cosa vuole ottenere Julian Assange? Rimandiamo la risposta alla lettura del libro. A Fabio Chiusi abbiamo invece voluto chiedere qualche dettaglio in più sulla figura di Assange e su cosa ne sarà di WikiLeaks.
Che fine ha fatto Julian Assange?
Assange è ai domiciliari in una residenza nel Norfolk, nell’est dell’Inghilterra. Qui attende di conoscere l’esito dell’appello, presentato dal suo avvocato, alla sentenza di estradizione in Svezia pronunciata dalla corte di Belmarsh per le accuse a sfondo sessuale che lo vedono coinvolto nel Paese scandinavo. L’udienza è fissata per il 12 luglio.
Quali fonti ha utilizzato per il suo libro e con quale il criterio le ha selezionate?
Ho utilizzato principalmente le testimonianze di prima mano contenute in alcuni libri, come quelli dell’ex numero due di Assange, Daniel Domscheit-Berg e dei giornalisti del Guardian, David Leigh e Luke Harding, che hanno lavorato a stretto contatto con Julian. Per la sua biografia mi sono servito del racconto, anch’esso preso in prima persona, di Raffi Khatchadourian per il New Yorker, oltre agli scritti dello stesso Assange e ai racconti fatti in svariate interviste. Quando possibile, ho sempre cercato di risalire ai documenti originali. Per la parte più «filosofica», invece, il lavoro è stato principalmente di ricostruzione del dibattito apparso in rete su siti e blog più o meno conosciuti. Ma ho anche intervistato due «guru» del settore, Micah Sifry, ideatore del Personal Democracy Forum, e Gabriella Coleman, forse la maggiore esperta di antropologia hacker. Un lavoro non semplice, dato che su molti aspetti del suo «pensiero», Assange è criptico, frammentario o, più semplicemente, non ha mai scritto o detto nulla. E che parlare direttamente con Assange, come è facile immaginare, mi è stato impossibile. Quanto al criterio di scelta, ho dato la priorità alla solidità delle argomentazioni.
Cultura hacker, metodo giornalistico, filosofia cyberpunk, ideologia anarchica. In che modo tutto questo si fonde nella figura di Julian Assange?
Si fonde grazie alla sua biografia. E grazie alla tecnologia attuale, che permette di mettere in discussione molte barriere un tempo ritenute inscalfibili. Che differenza c’è, infatti, tra il giornalismo tradizionale d’inchiesta e l’idea, hacker, di usare l’ingegno e la creatività per promuovere e tutelare la libertà di espressione e la conoscenza? Allo stesso tempo, in che modo gli strumenti concettuali adottati da Assange sono diversi da quelli di un attivista per i diritti umani? E ancora: cosa impedisce a un sito come WikiLeaks di pubblicare rivelazioni che, sia questo o meno il fine esplicito dell’organizzazione, rischiano di alterare profondamente le istituzioni per come le conosciamo, oltre al rapporto tra cittadini e autorità? Per ora WikiLeaks ha prodotto tanto buon giornalismo, e in pochissimo tempo, ma non ha portato alla luce fatti gravi al punto da suscitare cambiamenti profondi nell’atteggiamento dell’opinione pubblica o nei comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei governi. Tuttavia ha mostrato che esiste un metodo per farlo, e in modo sicuro. Questo può avere conseguenze davvero devastanti.
Bruce Sterling, padre della letteratura cyber-punk, considera Assange “uno su un milione”, perché?
Perché a suo dire è espressione di un mondo che non ha mai saputo esercitare un’influenza così plateale, mediatica, globale. E tuttavia lo rappresenta profondamente. È il mondo che abita il sottobosco della rete, se così si può dire, e che fin dai primi anni 90 si spende, per esempio, per l’utilizzo della crittografia al fine di tutelare la privacy degli individui e la libertà di espressione. Assange, tuttavia, ci ha messo la faccia in un modo inedito, unico, trasformando azioni individuali e movimenti sotterranei in una sfida al sistema politico internazionale e in una mobilitazione che ha coinvolto milioni di persone.
Quali sono le ricadute del cablegate nell’attuale scenario politico internazionale?
È presto per dirlo. Solo una piccola percentuale dei circa 250 mila cablo in possesso di WikiLeaks e di alcuni suoi media partner, infatti, sono stati pubblicati. E non è trascorso abbastanza tempo per poter valutare con serenità e correttezza la loro influenza sullo scacchiere geopolitico. Eppure in Italia si è parlato di «tempesta sul mondo», «11 settembre della democrazia» o, al contrario, «gossip scadente». Il nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha addirittura detto che Assange vuole «distruggere il mondo»: un obiettivo stravagante per chi continua a collezionare riconoscimenti per le sue battaglie in favore dei diritti umani. Stando a quanto pubblicato, comunque, si può dire che i cablo hanno avuto maggiore risonanza effettiva in India, Paraguay, dove hanno comportato sconvolgimenti politici, e in Tunisia, dove potrebbero avere aiutato a scatenare la miccia della rivolta popolare, che negli Stati Uniti.
WikiLeaks ha inaugurato un nuovo modo di fare giornalismo?
Non credo. Credo invece abbia ricordato a certi giornalisti come si fa il proprio mestiere. Certo, lo strumento utilizzato da WikiLeaks è sostanzialmente nuovo, ma ciò che consente di fare è tutto sommato giornalismo tradizionale: protezione della propria fonte, scrutinio della validità dei documenti, analisi del loro significato, contestualizzazione, traduzione in una storia comprensibile ai lettori. Con una differenza: WikiLeaks consente a chiunque ne abbia tempo, voglia e capacità di diventare a sua volta un buon giornalista d’inchiesta. Perché il materiale è lì, a disposizione di tutti.
Lei sostiene che c’è qualcosa Julian Assange potrebbe aver “appreso a sproposito”, ci vuol spiegare cosa significa?
È quanto sostiene il suo ex numero due, Domscheit-Berg. Nel racconto della sua esperienza lavorativa, ma anche umana, con Assange, Domscheit-Berg accusa Julian di aver interiorizzato i difetti di alcune delle organizzazioni finite nel mirino di WikiLeaks. È un’accusa pesante, perché comporta che Assange sia diventato una sorta di «mostro finale» che racchiude in sé tutte le insidie rappresentate da quelli affrontati in precedenza. Difficile, naturalmente, provare una affermazione di questo tipo. Quel che è certo, tuttavia, è che il rapporto tra Assange e molti dei suoi più stretti collaboratori è stato problematico e si è interrotto proprio a causa del suo stile di leaderhip autoritario e della sua insofferenza alle critiche.
Julian Assange è WikiLeaks?
In un certo senso sì, senza dubbio. È lui l’ideatore, lui la mente, lui ad accentrare in sé il potere decisionale sulle pubblicazioni e sulle strategie di comunicazione. Tuttavia, in un altro senso non lo è. Prima di tutto perché Assange è di certo un genio tuttofare, ma non può addossarsi tutte le responsabilità derivanti dalla gestione di un’organizzazione nell’occhio del ciclone come WikiLeaks. In secondo luogo, perché l’idea e il modello WikiLeaks sopravviveranno, e si evolveranno, indipendentemente dalle sorti di Assange e perfino della sua organizzazione. Questo è forse il motivo di maggiore preoccupazione per i suoi detrattori: sradicate le radici, i rami non muoiono. Anzi.
Come giudica il modo in cui il caso wikileaks è stato trattato dalla stampa italiana?
Pessimo. Ampia e urlatissima copertura per i «festini selvaggi» di Berlusconi di cui si parla nel Cablegate, e di cui sappiamo tutto; due colonne striminzite per i Guantanamo Files, che rivelano dettagli inediti e terribili, come l’incarcerazione di 150 innocenti, compresi vecchi e adolescenti, anche se mentalmente disagiati o a rischio suicidio. Per non parlare del silenzio quasi tombale sul caso Bradley Manning, l’analista dell’intelligence che avrebbe fornito centinaia di migliaia di documenti ad Assange, in carcere da un anno in assenza di un processo. Fino alle pure e semplici bugie raccontate, per esempio, dal Foglio qualche giorno fa. In un pezzo in cui il quotidiano di Giuliano Ferrara sosteneva che Assange e la sua superbia fossero la «causa» della morte di «molti» collaboratori afgani degli Stati Uniti. Circostanza addirittura smentita dalle stesse autorità statunitensi. Del resto, siamo nel Paese in cui, a Porta a Porta, a commentare il caso WikiLeaks è stata chiamata la conduttrice Mara Venier.
Ha provato a mettersi in contatto Assange?
Certo. Ma non mi è stato possibile raggiungere né lui né i suoi collaboratori.
Come giudica l’esperimento de L’Espresso di creare un canale di comunicazione con Assange?
Un’ottima idea. Non inedita, del resto: se non sbaglio lo stesso sta avvenendo con un totale di 70 media partner in tutto il mondo. È il modo migliore per pubblicare i cablo giusti al momento giusto, contestualizzarli al meglio, garantire l’obiettivo del «massimo impatto politico». Che è quanto Assange si prefigge.
Recentemente Assange ha dichiarato che Facebook è uno strumento in mano alle intelligence, si trova d’accordo con questa affermazione?
Non so di che informazioni disponga Assange per giustificare una simile affermazione. Di certo, io non ne possiedo. Quindi un conto è lamentare, giustamente, la scarsa trasparenza nella gestione del social network e in particolare nelle modalità di attuazione delle sue condizioni di utilizzo; un altro ipotizzare legami con l’intelligence. Onestamente penso che pensieri come questi riflettano più il carattere paranoico di Assange che un dato su cui riflettere. A meno che Julian sia a conoscenza di fatti che ignoro, o di documenti che, ribadisco, non possiedo.
Molti dicono che Barrett Brown, ex portavoce di Anonymous, sia il nuovo Assange, lei cosa ne pensa?
Già il fatto che si definisca portavoce di un movimento che, per sua natura, non ha un portavoce me lo fa dubitare. Quanto al suo legame concettuale, non mi sembra si tratti di soggetti comparabili: Brown afferma candidamente di voler violare server, per esempio quelli di Hb Gary, mentre Assange con WikiLeaks non ha alcun bisogno né alcuna intenzione di farlo. Forse il paragone è sorto perché entrambi, agli occhi dei media, possono sembrare soggetti in cerca di visibilità e disposti a giocare al limite delle regole. Ma io non credo ci sia bisogno per forza di un «nuovo Assange». La postfazione al mio libro, di Guido Scorza, lo spiega molto bene: potrebbe esserci, ma non avere un volto, e non agire dietro a un brand come WikiLeaks.
Sentiremo ancora parlare di WikiLeaks con lo stesso fragore dello scorso anno?
Possibile, dipende tutto dalle sue fonti. E dal ripristino della piena funzionalità del sito, il cui sistema di ricezione dei documenti, per quanto ne so, è ancora fuori uso. Bisogna poi considerare che se è vero quanto sostiene l’accusa su Bradley Manning, WikiLeaks ha vissuto un anno eccezionale nel senso proprio del termine. Non capita spesso di avere un’unica fonte che riesca a trafugare così tanti documenti, e così tanto importanti. In seconda battuta, dipende dalle vicende giudiziarie di Assange. Se dovesse essere estradato negli Stati Uniti e incriminato per spionaggio, le pubblicazioni potrebbero passare in secondo piano. Io credo che di WikiLeaks sentiremo ancora parlare, a ogni modo. Julian ha ripetutamente annunciato di essere in possesso di documenti scottanti «in grado di far crollare una banca», e pare si tratti di Bank of America. E poi c’è quel file da 1,4 gigabyte, insurance.aes, di cui nessuno conosce il contenuto. Chissà.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2011/05/nessun_segreto.jpg583395VideogirlKittyhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngVideogirlKitty2011-05-31 12:00:382011-05-31 12:00:38Fabio Chiusi, ilNichilista scrive di WikiLeaks [INTERVISTA]
Alzi la mano chi non pensa anche a questa “mecca dorata del consumismo moderno” appena sente nominare Londra. Il grande magazzino di lusso più importante al mondo, con 5000 dipendenti, che accoglie punte di 250.000 visitatori al giorno, in cui si vendono i sandali più costosi al mondo… non poteva non avere una propria app. Una fantastica app! '>
Arriva direttamente da Knightsbridge nel quartiere di South Kensigton, una delle zone più ricche ed esclusive di Londra, una spettacolare novità: l’applicazione ufficiale di Harrods.
Alzi la mano chi non pensa anche a questa “mecca dorata del consumismo moderno” (cit. Wikpedia) appena sente nominare Londra. Il grande magazzino di lusso più importante al mondo, con 5000 dipendenti, che accoglie punte di 250.000 visitatori al giorno, in cui si vendono i sandali più costosi al mondo… non poteva non avere una propria app! Questo il video di lancio.
In perfetto stile Harrods, l’app è un vero gioiellino, un tantino pesante da gestire ma di sicuro effetto. Il layout grafico centrale è impostato su una prima schermata dedicata alle news, organizzata con finestre a scorrimento orizzontale che informano l’utente su News, Upcoming Events e Must-Have & Most desired. Basta un clic sull’immagine e si va all’articolo in modo inaspettatamente veloce.,
Il secondo menu è Store, in cui è presente una pianta completa di tutto l’edificio. In basso alla mappa infatti è possibile selezionare il piano e cliccando su ogni POI, una schermata in pop-up informa sui negozi presenti. Si può decidere di “essere portati lì” oppure annullare e tornare indietro. Ovviamente, la posizione dell’utente sarà geolocalizzata e ciò permetterà all’app di individuare in che piano dell’edificio si trova e guidarlo fino a destinazione.
Terzo menù è dedicato alla Storia dei grandi magazzini Harrods, a partire dal “chi era mr.Harrods?” fino ad arrivare alla conquista egiziana ad opera di Al Fayed di metà anni ’80. Pezzo forte di questa sezione, altrimenti molto riempitiva, è l’Audio Tour della struttura. Si torna infatti alla mappa, e selezionando gli stessi punti di interesse di cui già accennato, si può ascoltare una breve narrazione dei reparti.
La sezione Harrods, dove si trovano i settings, le informazioni per raggiungere lo store, un breve about Harrods un po’ ridondante a causa della sezione storia dedicata, e una My Shopping List. Questa si arricchisce grazie agli articoli che vengono promossi nella schermata principale. I post su abbigliamento, accessori, o quant’altro ci sia di desiderabile, recano in calce un ADD TO SHOPPING LIST.
Infine, un po’ nascosta, c’è la riproduzione 3D dell’edificio. Navigabile però soltanto lungo l’asse orizzontale per un angolo di 180°, non un granché in verità. Vi si accede premendo sul logo Harrods in qualsiasi delle sezioni in cui ci si trova.
Per i patiti dello shoppingcompulsivo, ecco dove scaricarla gratuitamente, procedendo a fare acquisti senza volare nella capitale britannica:
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.png00Kato Sushihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngKato Sushi2011-05-31 11:58:372011-05-31 11:58:37Harrods lo store di lusso più famoso al mondo arriva nell'App Store di Apple
People of Walmart è un sito americano dove i clienti della famosa catena possono postare le foto scattate ai personaggi più strani incontrati tra le corsie del negozio. E sembra proprio che queste persone che, diciamo, non passano inosservate, siano tante davvero! Questo è ciò che leggiamo nella pagina “About” del sito:
Let’s face it; we all have seen the people who obviously don’t have mirrors and/or family and friends to lock them in a basement, and they all seem to congregate at Walmart.
Dunque, la filosofia degli ideatori e degli utenti è ben chiara. E da qualche giorno, tutte queste persone sono diventate il soggetto di una canzone, a loro dedicata, “People of Walmart”, appunto, scritta e interpretata dalla cantante Jessica Flech. Il video è realizzato con alcune delle foto visualizzabili sul sito…e credete, ne potete trovare di migliori (o peggiori, a seconda del punto di vista)! Sul sito potete visitare anche la sezione “Storie” e “Video”, tutte rigorosamente nate attorno al mondo WalMart…una vera fucina di talenti! 😉
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.png00Elena Silvi Marchinihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngElena Silvi Marchini2011-05-31 11:00:132011-05-31 11:00:13People of WalMart diventa una canzone [VIRAL VIDEO]
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.png00Alberto Maestrihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAlberto Maestri2011-05-31 10:00:462011-05-31 10:00:46Take Mokum, la campagna Nike che fa venire voglia di correre [SPECIALE WEBBY AWARDS]
Il termine “grafica” indica il settore della produzione artistica orientato alla progettazione e realizzazione di prodotti di comunicazione visiva. “Il designer grafico è un comunicatore: qualcuno che conferisce alle idee una forma visiva che sia comprensibile per gli altri. Il designer utilizza immagini, simboli, caratteri, colori e materiali di ogni tipo – tangibili come la stampa o immateriali come i pixel di un monitor o la luce di un video – allo scopo di tradurre idee in forma visiva e organizzarle in un messaggio integrato. […] Il design grafico è parente prossimo della pubblicità e condividono un obiettivo specifico: comunicare l’esistenza di beni, servizi, eventi o idee a un determinato pubblico, ma ciò che li differenzia è il fine ultimo. La pubblicità che fornisce informazioni su prodotti o eventi induce il proprio pubblico a spendere. Il designer grafico, invece, si limita a chiarire il messaggio e a trasformarlo in un’esperienza emotiva.” – Timothy Samara –
Oggi vi vogliamo far fare un viaggio nel passato, osservando come e quanto la grafica sia cambiata nel corso del tempo, abbiamo infatti raccolto poster, pubblicità e manifesti, di origine italiana e non, per capire l’evoluzione del graphic design nelle diverse epoche del 1900 fino ad arrivare agli anni 90, un decennio che ci precede di poco. Buona visione 🙂
Gli anni ’20
Gli anni ’30
Gli anni ’40
Gli anni ’50
Gli anni ’60
Gli anni ’70
Gli anni ’80
Gli anni ’90
{FOTOLIA}
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.png00Kyliahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngKylia2011-05-30 17:30:592011-05-30 17:30:59L'evoluzione dello stile grafico dagli anni '20 agli anni '90
Un blog chiuso per stampa clandestina. Non è l’ennesima storia che viene dalla Cina o dalla Birmania. Il caso, questa volta, è tutto italiano. Siciliano, per la precisione. E, anche se ufficialmente si parla di violazione della legge sulla stampa del 1948, la maggior parte dei blogger ritiene che siano stati i contenuti “scottanti” a far scattare l’allarme tra i poteri forti. Chi non conoscesse “Accade in Sicilia“, il blog dello storico Carlo Ruta, può farsi un’idea dei contenuti su Webarchive.org: in sintesi, si trattava di un blog a forte contenuto storico, focalizzato sui grandi misteri di Sicilia. Perché in Sicilia, molte vicende sono dei veri e propri misteri. Come la strage di Portella della Ginestra, o l’omicidio di Spampinato, giornalista de L’unità e de L’Ora. Tutte vicende di cui Ruta si era occupato sul blog. Ma su Accade in Sicilia facevano capolino – e davano fastidio – post come quello sulla situazione delle banche nell’isola.
Nel 2004 il blog viene oscurato su denuncia del procuratore di Ragusa – [lo stesso che si era occupato del caso Spampinato n.d.r.], nel 2008 la condanna per stampa clandestina, una condanna che per Ruta non ha motivo di esistere perché, come lui stesso sostiene, il suo era “un normale blog personale” con le sue “riflessioni su eventi storici e di attualità, senza alcuna periodicità regolare”.
La corte d’Appello di Catania ha confermato il giudizio di merito sulla condanna emessa dal Tribunale di Modica. Stampa clandestina. Il reato sarebbe in prescrizione ma Ruta ha deciso di non avvalersi di questo strumento perché “una sentenza della corte d’Appello fa giurisprudenza e accettare la prescrizione sarebbe come avallare la sentenza stessa”. Lo storico farà ricorso in Cassazione, ma, al netto della vicenda giudiziaria del singolo, la faccenda ha risvolti inquietanti per tutti i blogger. Basterà ancora il famoso disclaimer “Questo sito/blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto non viene aggiornato con cadenza periodica né è da considerarsi un mezzo di informazione o un prodotto editoriale ai sensi della legge n.62/2001“?
I blogger e la libertà d’espressione
Questo caso può costituire un precedente davvero pericoloso per i migliaia di blog attivi in Italia? Ma soprattutto chi difende la libertà di espressione di un blogger, che non ha alle spalle né ordini professionali né poteri forti? Ruta traccia la sua analisi e fa rientrare la vicenda nel problema di libertà di espressione del nostro paese.
Secondo la classifica ufficiale di Freedom House, che monitora annualmente la situazione della libertà di stampa nel mondo, l’Italia si trova tra quelli “parzialmente liberi” e occupa la 75esima posizione, superati, rispetto all’anno scorso, anche dallo stato africano del Benin. Lasciamo a voi il compito di tirare le somme.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.png00Kahimi Shimahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngKahimi Shima2011-05-30 16:41:052011-05-30 16:41:05Blogger di Accade in Sicilia condannato per stampa clandestina
La rapida e universale diffusione di Wikipedia, l’enciclopedia online a cui tutti possono accedere e collaborare liberamente, è diventata la metafora di un nuovo modo di concepire l’economia e il business: la wikinomics. È il mondo della collaborazione, della comunità, dell’auto-organizzazione che si trasformano in forza economica collettiva di dimensioni globali. È il luogo in cui consumatori, lavoratori, fornitori, business partner e anche concorrenti sfruttano la tecnologia per innovare insieme. Questa nuova partecipazione “peer production” – sta cambiando il modo in cui beni e servizi vengono inventati, prodotti, commercializzati e distribuiti su scala globale. La “wikinomics”, come la rete, è in espansione continua. Per questo questa seconda edizione è stata aggiornata con una prefazione che dà conto di quanto accaduto dall’uscita della prima, un capitolo dedicato alle critiche rivolte alla wikinomics e al suo “lato oscuro” e un nuovo capitolo, scritto in collaborazione con i lettori, che analizza gli strumenti e le strategie che le aziende devono adottare per approfittare delle opportunità offerte dalla collaborazione di massa. Perché la wikinomics non si ferma mai.
Autore: Don Tapscott, Anthony D. Williams, M. Vegetti (Traduttore) Brossura: 547 pagine Editore: BUR Biblioteca Univ. Rizzoli (10 febbraio 2010) Collana: Next Lingua: Italiano ISBN-10: 8817038946 ISBN-13: 978-8817038942 Peso di spedizione: 481 g
Perché compriamo una cosa invece di un’altra? Che cosa influenza veramente le nostre decisioni, in mezzo alla valanga di messaggi che ci raggiungono ogni giorno? Una pubblicità che cattura l’occhio, uno slogan curioso, un jingle che non possiamo fare a meno di canticchiare? Oppure le decisioni di acquisto avvengono sotto la superficie, così in profondità nel nostro subconscio che non ne siamo coscienti se non in qualche raro caso? Martin Lindstrom presenta in questo libro i risultati di una ricerca originale, durata tre anni e costata sette milioni di dollari, un esperimento d’avanguardia che ha frugato nei cervelli di duemila volontari in tutto il mondo, di cui sono state analizzate le reazioni davanti a pubblicità, marchi, spot commerciali, prodotti. I risultati sconvolgono molto di quel che si credeva su ciò che ci seduce e ci spinge a un acquisto.
Autore: Martin Lindstrom, V. B. Sala (Traduttore) Brossura: 256 pagine Editore: Apogeo (2 ottobre 2009) Lingua: Italiano ISBN-10: 885032734X ISBN-13: 978-8850327348 Peso di spedizione: 322 g