Lei è Paola Barbato, sceneggiatrice di fumetti che tutti ricordano come l'unica donna nello staff di Dylan Dog e scrittrice di romanzi (ha pubblicato tre thriller per Rizzoli vincendo con Mani Nude, il Premio Scerbanenco 2008).
Il 7 novembre 2011 ha lanciato al pubblico della rete la sua scommessa con il progetto "DAVVERO": un fumetto seriale online, gratuito e distribuito in creative commons, che sfida l'idea preconcetta - portata avanti da vari editori che aveva provato a contattare - che il genere di fumetto intimista e romantico non abbia possibilità di successo oggi in Italia.
Un fumetto in creative commons. Cosa significa per te pubblicare online, in modo così indipendente? E' stata una scelta obbligata o credi nel potere della rete?
La risposta parte da lontano. Il tema del fumetto romantico, di formazione e intimista ce l'avevo da un bel po'. Piegando la mia idea di "realismo" alle esigenze del mercato italiano avevo confezionato un prodotto che sposava gli aspetti romantici con una trama noir e d'azione.
Questo pacchetto è stato proposto a tutti gli editori italiani eccezion fatta per la Sergio Bonelli Editore (per ovvie ragioni). E tutti gli editori italiani mi hanno risposto che il tema non aveva, secondo loro, un pubblico, un bacino di utenza. Una cosa assurda, se valutiamo la vendita di manga e soprattutto di shojomanga in Italia.
Così ho deciso di creare un prodotto nuovo, questa volta senza filtri, gravido di tutte le controindicazioni che mi erano state sciorinate dagli editori: ambientato in Italia, ai giorni nostri, con una protagonista "normale" e una totale aderenza alla realtà. Non ho pensato a guadagnarci, la mia era una questione di principio, volevo vedere se il bacino d'utenza esisteva, se i potenziali lettori, o lettrici, esistevano.
Per questo ho scelto il web e ho scelto di mettere in piedi una serie che offrivo gratuitamente al pubblico: se una cosa è gratis la segui solo se ti interessa, giusto? Io odio gli scampi, e anche se mi dessero un cocktail di scampi gratis al giorno non li mangerei comunque. La rete mi consentiva di offrire e di vedere quanta gente era interessata. Senza costrizioni, senza imposizioni, con ritmi nuovi rispetto a quelli che caratterizzano molti prodotti italiani. Cioè, senza correre, senza ammiccare, senza cercare di essere facilmente accattivante, politicamente scorretta in maniera forzata o altre stupidaggini. E' un fumetto biologico.
Come hai attirato l'attenzione dei lettori sul vostro progetto? Che tipo di comunicazione hai sviluppato? Anticonvenzionale anche questa? E quale è stata la risposta di pubblico in questi primi giorni?
C'è una cosa che mi ha sempre molto infastidita, una caratteristica di alcuni autori di fumetti: voler mantenere le distanze dal pubblico. Scelta lecita, soprattutto quando con il pubblico si hanno pochi contatti o non se ne hanno affatto, se non attraverso le proprie opere. Ma nel momento in cui si apre un canale diretto, come quello di Facebook, mantenere le distanze mi sembra quanto meno una contraddizione. O non accetti nessun fan nelle tue amicizie oppure sai che la gente ti contatterà non per la persona che sei, ma per il lavoro che fai. E che ci saranno domande, entusiasmi, qualche invadenza di troppo. Seccarsene e inalberarsi mi sembra sciocco e inutile. Da parte mia ho lasciato che il pubblico si avvicinasse moltissimo, la mia vita professionale e privata sono entrambe presenti nei miei status.
Ho avuto modo di capire e apprezzare quanto il pubblico partecipasse emotivamente al mio lavoro. E di conseguenza alla nascita di "DAVVERO". Quindi perchè non coinvolgere proprio il pubblico? Perchè non chiedere loro di partecipare nel modo che più gli piaceva, sia parlando del progetto che cambiando il proprio avatar con il post-it/icona della nostra storia, o addirittura come amanuensi, scrivendo rigorosamente a mano la data d'uscita, il titolo e il sito di "DAVVERO" che abbiamo poi distribuito insieme per Lucca. La mia campagna è stata questa: semplice. Ne ho parlato con i lettori che a loro volta ne hanno parlato con altri lettori, mi sono consultata con loro, ho collaborato con loro, ci siamo incontrati e abbiamo lavorato insieme. E' stato molto bello, gratificante, importante al di là del risultato. Sia sulla pagina di Facebook dedicata a "DAVVERO" che sul sito, aperto al pubblico da lunedì 7 novembre, c'è stata un'affluenza che non mi aspettavo, un migliaio di persone sulla pagina (il conteggio si basa sui "like", potrebbero anche essere di più), almeno il doppio sul sito.
Certamente è stato importante l'apporto di alcuni giornalisti di settore che ne hanno parlato, creando curiosità, ma la parte del leone l'ha fatta proprio il pubblico. Che, intendiamoci, è un pubblico che mi legge per le cose scritte finora, ma non necessariamente è il pubblico a cui "DAVVERO" si rivolge. Ma parola dopo parola stiamo stendendo un ponte tibetano tra i lettori a cui corremmo rivolgerci (in percentuale crediamo molto presenti su Facebook) e un modo di leggere fumetti che non appartiene loro (il webfumetto). A volte una corda basta, staremo a vedere.
DAVVERO, come dicevi prima anche tu, è stato definito anche come il primo "shojomanga" italiano. Proviamo a spiegare a tutti cosa è esattamente uno "shojomanga". E poi, secondo te perché questo genere di storie ha così tanto successo?
Sulla terminologia non vorrei fare passi falsi, ma credo che "shojo" significhi "ragazza", e che quindi si tratti di fumetti giapponesi dedicati alle ragazze. E' una po' limitativa come definizione, perchè alcuni shojomanga, uno su tutti "Orange Road", hanno avuto una diffusione generale, non solo nel pubblico femminile.
Sono storie legate alla quotidianità, ai sommovimenti dell'animo che proviamo in situazioni riconoscibili, in cui identificarsi, con cui empatizzare. Anche se condite di situazioni buffe o sopra le righe, seguono i protagonisti lungo il loro percorso emotivo, di crescita, di formazione. "Accorciare le distanze" secondo me può essere la chiave del successo di molti fumetti. Quando l'identificazione con i protagonisti è quasi completa il coinvolgimento e di conseguenza il piacere della lettura sono tali da far sentire il lettore personalmente e intimamente legato al fumetto. E questo è un obiettivo molto difficile da raggiungere.
Parlami di Martina, la protagonista. Da quello che ho letto mi è sembrato il tentativo di creare un modello femminile nuovo, più contemporaneo, cercando di bypassare i classici stereotipi...ne sentivi l'esigenza come lettrice o come sceneggiatrice...o semplicemente come donna?
Invece il modello è vecchio, Martina è la summa di molte mie coetanee di quando avevo 19 anni. A queste si aggiungono figlie di amiche, ora che ho 40 anni, che sono la perfetta copia di quelle ragazze di allora. Annoiate, viziate, coccolate troppo, con pretese da donne ma ragionamenti da bambine, che seguono quello che i genitori decidono per loro, pur senza condividerlo. E' la fotografia di una percentuale notevole di ragazze di quell'età, che non fanno che lamentarsi, avere il broncio, mettere il muso, essere scontente di quello che hanno. Ma non è colpa loro, non del tutto. Certe volte non fanno nemmeno in tempo a desiderare le cose che subito le ottengono. E alla fine anche le voglie si assopiscono. Martina è così, un ragazza scontenta di quello che ha ma non di quello che è, perché in effetti chi sia veramente non lo sa nemmeno lei, e non le interessa scoprirlo. E' una base neutra. E da una base neutra può venire sviluppato un mondo intero, che esiste già, in potenza.
Sfido chiunque a negare di aver mai visto una di queste famiglie benestanti, magari in vacanza da qualche parte, con i genitori tutti soddisfatti e dietro una figlia come Martina. Nella sua evoluzione in un anno di Vita Vera, anno in cui si troverà scaraventata fuori dalla bambagia e dovrà imparare ogni cosa, non ci sarà posto per una Cenerentola al contrario, per improvvise fioriture di melassa interiore, per vocazioni improvvise alla santità. Martina cambia, si evolve, impara, ma resta Martina. Piena di difetti come anche di pregi, esattamente come ciascuno di noi. Un dettaglio a cui tengo: Martina non è bella, ma nemmeno è brutta. Non è magra ma nemmeno è grassa. Non è affascinante ma nemmeno è una maschera di gesso. E' una persona, questo sì. Ed è fatta a modo suo. Volevo raccontare qualcosa di vero, che si trattasse di una donna o di un uomo non era importante (ci sono almeno un paio di comprimari maschi che sono fenomenali).
Come hai creato il gruppo di lavoro intorno a questo progetto? Chi sono tutti quelli che danno vita alla storia di Martina in DAVVERO?
Ho proposto pubblicamente un baratto: sei tavole disegnate per una vetrina che avrebbe dato una buona visibilità. A chiunque ha risposto ho descritto nei dettagli il progetto, chi lo abbracciava doveva crederci. Infatti delle quasi 200 proposte ricevute sono stati presi solo quelli che avevano capito lo spirito della serie. Non si trattava solo di disegnare bene, ma anche di aver voglia di raccontare qualcosa. Ai ragazzi esordienti o semiprofessionisti si sono affiancati alcuni professionisti navigati, perfino dei mostri sacri. Poi si sono offerti dei coloristi, dei letteristi, dei grafici... Tutte persone che hanno abbracciato il progetto, l'idea che c'era dietro. Gente che ama il suo lavoro e che pensa che sei pagine disegnate con passione non siano tempo buttato. Ci conosciamo tutti, ci siamo visti, incontrati, chiamati, collegati su Skype. Siamo una squadra, all'americana. E il progetto è importante per tutti. Perchè sia chiaro che potevo avere sei tavole solo da professionisti ultra-affermati, se lo avessi chiesto in nome dell'amicizia. Sei perfette tavole svogliate. Non era questo che mi interessava.
Per saperne di più su questo progetto, su tutti quelli che ci collaborano (Matteo Bussola, Oscar Celestini), compresi i disegnatori (le immagini tratte qui sono di Walter Baiamonte e Matteo Bussola) ma soprattuto per leggere la storia di Martina, l'indirizzo è www.davvero.org.
Buona lettura e in bocca al lupo a tutti!