Tutti sappiamo quanto il monitoraggio sia alla base di qualsiasi strategia di marketing e quanto la selezione dei giusti KPI costituisca un passaggio fondamentale al fine di valutare il comportamento dei consumatori (e le sue variazioni).
Questo è ancora più vero quando le aziende si immergono nel digitale, un universo nel quale è sempre più importante tracciare e dare un senso ai dati accumulati.
Cerchiamo ora di dare una definizione di KPI per orientarci meglio nel discorso: i KPI (Key Performance Indicator) sono indicatori legati ad obiettivi che si vogliono raggiungere, devono quindi essere definiti precedentemente all’avvio di qualsivoglia operazione e devono essere misurabili. Devono essere necessariamente quantificabili poiché a volte è utile creare combinazioni di dati che consentano un’analisi più accurata e in profondità.
Dominare i dati con i KPI, non esserne dominati
Ecco gli errori principali che commettono molti brand utilizzando un monitoraggio obsoleto, per intenderci, un monitoraggio pre-digital-era. Entriamo nel merito della questione.
È spesso necessario cambiare un determinato numero di attributi dopo un certo periodo di tempo, periodo che dipende dal tipo di obiettivi e/o dalla tipologia di prodotto. A partita in corso si deve capire se la strategia decisa in partenza sia effettivamente quella giusta o se ci sia bisogno di un'attenta revisione delle nostre scelte: bisogna valutare l'opzione di scendere a compromessi e prendere nette decisioni sui cambiamenti da apportare. Non tenere conto in corso d'opera delle prestazioni negative può portare ad una successiva distorsione dell’analisi e ad una valutazione totalmente errata della percezione che i clienti hanno del brand una volta arrivati alla fine della campagna.
I numeri servono, fino a un certo punto
Un altro passo falso è fermarsi all’analisi quantitativa dei dati: siamo tutti bravissimi ad accumulare informazioni su informazioni, il mestiere realmente difficile non è accumulare dati ma interpretarli. È di fondamentale importanza capire e fornire una spiegazione qualitativa dell’informazione (preziosa se decifrata in maniera corretta) ottenuta dagli utenti. Per esempio, è utile chiedersi il motivo per cui persone di una determinata fascia demografica si comportano in modi diametralmente opposti o anche per quale motivo un device converte più in una città e meno in un'altra.
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Un’analisi esclusivamente quantitativa non sempre può darci delle risposte mentre se, oltre ai numeri, riusciamo a compiere un’analisi di tipo qualitativo possiamo anticipare le tendenze (soprattutto sui social media) e possiamo attribuire ai feedback dei nostri clienti un maggior valore.
I social media offrono un'ampia panoramica sui consumatori facendoci capire cosa il futuro può avere in serbo per il nostro brand: è necessario potere e sapere ascoltare gli utenti implementando sondaggi brevi e cercando di comprendere se la risposta dell'utente è indirizzata alla descrizione delle caratteristiche del prodotto o se tende a descrivere le proprie emozioni (positive o negative) nell'esperienza di utilizzo.
Stabilendo i giusti KPI abbiamo la possibilità quindi di capire il tone of voice generale, analizzare il contesto e anticipare i tempi, apportando modifiche che ci porteranno alla diminuzione degli attriti nel funnel, con un conseguente aumento del ROI (Return on Investment).
Per concludere
A noi marketer piacciono i dati (a dire la verità anche i grafici colorati!) ma non dimentichiamoci che siamo entrati già da un po' di tempo in una nuova era del monitoraggio, che ci permette (e ci permetterà sempre di più) di indirizzare ogni giorno più persone verso il nostro brand, così da conoscere in maniera più approfondita chi ci segue e farci conoscere meglio da chi condivide la mission del nostro brand.