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Un comunicato stampa apparso recentemente sulla web page di un noto Gruppo di business angels italiani, Italian Angels for Growth (IAG), ha scosso il mercato dell’early stage dando il via ad un acceso dibattito che ha percorso la rete, interessando startupper ed investor in blog, forum e social network.
Si tratta dell’istituzione di una application fee di 50 euro per presentare progetti imprenditoriali al Gruppo IAG attraverso il sito web della società.
Si è sollevato un polverone. Meritato o meno?
Per capirlo, abbiamo chiesto ad un gruppo di startupper attivi nella open discussion online di scendere in campo ed esporre le loro perplessità, ed al Gruppo IAG di mettere in luce la giusta chiave di lettura dell’iniziativa, confrontandosi in un interessante faccia a faccia.
Oggi leggeremo la prima parte di questo confronto, vedendo qual è la visione, non sempre univoca, di chi vuole fare impresa. In attesa della replica degli angel investor, quattro startupper, con diversa esperienza imprenditoriale alle spalle, hanno deciso di dire la loro in questo dibattito chiarificatore.
Ascoltiamoli singolarmente.
Il parere degli startupper “indignati”
Andrea Lorini, milanese, con formazione nel marketing & advertising, founder & CEO di iWanado.it, co-founder di TrendforTrend.com, e strategic planner advisor per Jemenfous.it ed Happy Books Milano, esprime la sua opinione:
“Quante aziende di successo sono state finanziate in seguito all'invio di un power point? Ahimè, credo poche! ed il motivo è semplice da spiegare: al giorno d'oggi il numero di startup che cercano finanziatori è in costante aumento, pertanto gli investor ricevono centinaia di proposte ogni settimana e, oggettivamente, la possibiltà di conquistare l'attenzione tra questa mole di BP è un traguardo utopistico.
Con l'introduzione di una fee si può facilitare il lavoro dell’investor e dell'imprenditore? Certamente ricevendo meno BP, la vita di un investitore sarebbe più semplice, meno proposte significano più tempo per valutare i singoli progetti. Ma per lo startupper?
Per mia personale esperienza, startupper significa "budget risicato", pertanto pensare di investire del denaro in application, quando lo si potrebbe utilizzare per migliorare il proprio prodotto, è follia.Ma poi, ne vale la pena? Francamente credo di no, sono convinto infatti, che un articolo su un blog di settore, un pitch in un evento come Startuppami oppure il caro vecchio networking siano metodi più efficaci per attirare l'attenzione di angel ed investitori.
Inoltre essere notati, e quindi contattati, è sicuramente meglio che dover contattare. Credo che spendere soldi per cercare finanziamenti sia un controsenso logico, specialmente per chi, come uno startupper, deve gestire le limitate risorse in maniera più che oculata.”
Giuseppe Ciuni, in partnership con Alessandro Vitali, sviluppatore di InfoMee, un progetto in ambito mobile su piattaforme iphone e android basato su geolocalizzazione per servizi di sconti ed offerte commerciali, si unisce alla voce di Andrea e ci dice:
“Non credo la scelta di IAG sia una buona idea. E' vero che agendo in questo modo investor come IAG vedrebbero ridurre considerevolmente il numero di BP “spam”, tuttavia potrebbero rischiare di perdere BP potenzialmente validi a causa delle fee.
Dato che ogni startupper si ritrova a sottoporre centinaia di application, se per ciascuna di esse dovesse pagare una fee, non si ritroverebbe a dover affrontare un costo estremamente oneroso? Io da startupper valuterei altre strade (come già si fa), vedi contest o partecipazioni ad eventi.
Questa fee mi ha fatto venire in mente la proposta di Bill Gates per tentare di ridurre lo spam nella rete: “Che ne dite se facciamo pagare 1 centesimo per ogni mail inviata?”
In realtà, il parere di Giuseppe fa sorgere una prima riflessione in merito al punto di vista “difettoso” che a volte gli startupper si trovano ad avere. La logica non dovrebbe essere proprio quella di non inviare una miriade di proposte, con livello di affinamento medio, ma preferire di perfezionare la value proposition ed ottimizzare le application? Ovvero, poche ma buone?
Ma vediamo cosa pensa Marco Ottolini, già noto nelle nostre pagine come co-fondatore di StartuppaMi, ma anche serial entrepreneur con all’attivo funding per 8 milioni di euro, e CEO di Styloola, startup nella fashion industry:
“Premesso che ognuno è libero di perseguire i propri obiettivi come meglio crede, penso che la decisione di IAG sia controproducente.
Il loro obiettivo, come hanno dichiarato in vari post in rete, è quello di scoraggiare l'invio di mail inconsistenti, ma forse meglio avrebbero fatto a introdurre una procedura più stringente. Per esempio, richiedere di compilare in modo dettagliato una serie di campi, oppure anche la creazione di un P&L avrebbe ugualmente scoraggiato la maggior parte delle persone la cui azienda si trova ancora in uno stadio non adatto per una considerazione da parte di questo Gruppo di angel.
Così, invece, si rischia solamente di fare la parte dei "cattivi" rispetto a chi vuole provare a far finanziare la propria startup.”
Una voce fuori dal coro: un sostenitore della fee tra gli startupper
Raccolti alcuni pareri tra i “contro-fee”, c’è una voce decisamente fuori dal coro che proviene comunque da chi si trova nello stesso team nella partita startupper-investor, quella di Raffaele Rota, consulente marketing in ambito ICT e direttore marketing della startup Trillomedia, nonché membro dell’advisory board di ASSISTI. Raffaele dice:
“L’application fee può essere considerata una pratica virtuosa sia per gli investitori che per gli innovatori. Se questa è accompagnata dal rilascio di un feedback sull’idea progettuale e sul documento che viene presentato, può rappresentare un’occasione di confronto costruttivo.
I business plan dovrebbero essere un biglietto da visita completo e dettagliato del proprio progetto, spesso invece vengono presentati documenti approssimativi , senza le informazioni necessarie e con uno studio del mercato superficiale.Attualmente l’entità modesta dell’application fee non può certo rappresentare un filtro per i veri innovatori né può essere considerata uno strumento di remunerazione per l’attività di screening dell’investitore.
Una soluzione a tali problematiche potrebbe essere quella di innalzare la fee (portandola ad es. a 200/300 euro) accompagnata però da un adeguato feedback sul progetto. Un’attività di questo tipo è utile all’innovatore per avere consapevolezza delle criticità del suo progetto. Il feedback metterebbe in luce criticità riguardanti la sostenibilità del business model, le prospettive di scalabilità o i componenti del team.
L’investitore, incentivato, potrebbe fidelizzare gli innovatori instaurando un rapporto costruttivo, orientato al dialogo, piuttosto che al “silenzio” come avviene oggi e come è avvenuto in passato.”
Interessante visione quella di Raffaele, anche se forse 200-300 euro potrebbero essere troppi, ma questo punto di vista “morbido” ci consente di passare la parola agli “accusati”.
Anche se la voce di quattro non rappresenta la totalità, e’ chiaro che la fee viene percepita negativamente dai più tra le file degli aspiranti imprenditori, ma, forse, per un misunderstanding di fondo.
La prossima settimana leggeremo la replica di IAG, in modo da ottenere preziose risposte che dissolvano i dubbi sulle ragioni di questa “innovazione” nelle prassi del mercato early stage nostrano.
Restate, quindi, sintonizzati. Alla prossima puntata!