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  • Employer Branding: come attirare talenti in azienda attraverso il marketing

    Le best practice per migliorare la reputazione del datore di lavoro

    22 Febbraio 2023

    Siamo abituati a pensare al marketing come quell’insieme di tecniche che aiutano l’azienda a vendere i propri prodotti attraverso i brand. Ma, prima ancora di vendere i prodotti, l’azienda deve saper fare Employer Branding, ossia saper vendere se stessa ai potenziali candidati. Le risorse umane sono un patrimonio intangibile, e attirare o trattenere i talenti non è così semplice come sembra, soprattutto in una contingenza lavorativa complicata come quella attuale. Ma facciamo dei passi indietro per capire meglio il fenomeno.

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    Che cos’è l’employer branding?

    Il termine employer brand, oggi tra i principali trend del mercato del lavoro, è stato introdotto sul finire del secolo precedente, esattamente nel 1990, da Simon Barrow, presidente di People in Business. L’intento dell’employer branding è quello di applicare le tecniche di marketing e del brand management alla gestione delle risorse umane, con il fine di migliorare la reputazione dell’azienda in quanto datore di lavoro, rappresentando di fatto il modo in cui l’azienda si vende ai potenziali dipendenti. Rappresenta a tutti gli effetti un’attività di marketing che considera il luogo del lavoro esattamente come un brand, con l’obiettivo di valorizzare l’identità aziendale per attrarre e mantenere nel tempo le risorse umane, che in questo caso costituiscono il target di riferimento. È un’attività che lega la comunicazione al marketing e alle risorse umane, con lo scopo di mostrare l’azienda come la migliore a cui aspirare nell’ambito lavorativo (best employement of choice).

    Perché è importante la reputazione del datore di lavoro

    Le aziende con una buona reputazione sul mercato del lavoro hanno più possibilità di successo nell’attirare i talenti.  Prima di inviare la candidatura per un posto di lavoro, infatti, i candidati effettuano delle ricerche mirate sul potenziale datore di lavoro: secondo un sondaggio di Talent Now l’84% degli intervistati ha affermato che la reputazione dell’azienda risulta fondamentale, a loro volta, l’80% dei responsabili ritiene che l’employer branding abbia un impatto significativo sulle assunzioni. Il coinvolgimento dei dipendenti rappresenta un buon segnale di employer branding: se i dipendenti sono soddisfatti sarà più facile fidelizzarli all’impiego e saranno più propensi a fare “passaparola”, una delle forme di pubblicità tra le più efficaci al mondo. Inoltre, il 96% delle aziende concorda sul fatto che una buona attività di employer branding possa avere un effetto positivo sui ricavi. employer branding Avere una solida reputazione permette di trattenere talenti: secondo una ricerca di CR Magazine, il 92% è disposto a considerare la possibilità di cambiare lavoro nel caso in cui ricevesse un’offerta da un’azienda con una buona reputazione. LEGGI ANCHE: Come e dove cercare lavoro nel 2023: consigli per il tuo CV

    6 best practice per creare una strategia di employer branding

    1. Il primo passo da compiere è valutare la soddisfazione dei dipendenti. Il riconoscimento è il modo migliore per motivare i dipendenti, il 50% dichiara che sentirsi apprezzati ha migliorato i rapporti con il management, e il 60% delle aziende ammette che il riconoscimento dei dipendenti è prezioso per migliorare le prestazioni aziendali. Gratificare, oltre che con lo stipendio, influisce positivamente sul benessere del dipendente e ne aumenta il senso di appartenenza, ad esempio offrendo percorsi di training per crescere, sviluppando piani di carriera personalizzati e mantenendo una comunicazione fluida con e tra i dipendenti.
    2. Definire il proprio EVP (employee value proposition), la proposta di valore dovrebbe rispondere alla domanda “che cosa offre la mia azienda come datore di lavoro e in che modo è diversa dagli altri?”. Il modo migliore per rispondere è intervistare i propri dipendenti, chiedendo cosa apprezzano, quali aspetti del lavoro li soddisfa e perché hanno scelto di lavorare per l’azienda in questione.
    3. Individua il profilo dei candidati, capire qual è il candidato-tipo aiuta a migliorarne la posizione e di conseguenza la soddisfazione individuale. Nel tracciare il profilo del lavoratore è utile porsi delle semplici domande: quali sono le principali competenze possedute, che tipo di personalità rispecchia, gli obiettivi di carriera che ritiene importanti, cosa lo frustra sul lavoro ecc.
    4. Creare delle mappe dei punti di contatto con il dipendente, risulta particolarmente strategico per non perdere i dipendenti migliori nel tempo, o, addirittura, già dopo il colloquio. Un’esperienza positiva rende infatti propensi ad accettare il posto di lavoro con maggiore serenità.
    5. Creare contenuti accattivanti, che attirino i potenziali candidati a presentarsi: post sul blog e sui social circa gli eventi aziendali, la cultura aziendale, le opportunità di crescita professionale, i futuri progetti dell’azienda, le testimonianze di dipendenti ed ex con esperienza positiva; rendere disponibili i webinar di formazione promossi in azienda.
    6. Coinvolgere i dipendenti nella diffusione dei contenuti, le aziende i cui dipendenti partecipano alla diffusione dei contenuti godono di un maggiore senso di credibilità all’esterno, che può potenzialmente condurre a maggiori domande di lavoro ricevute.

    Le difficoltà nell’employer branding

    Spesso il settore delle risorse umane non dispone di molte risorse economiche, nonostante tutto sono numerose le aziende che se ne avessero la possibilità investirebbero di più nelle attività di marketing del datore di lavoro. Di questo, poi, risente anche il coinvolgimento dei dipendenti: uno studio dimostra che 1/4 dei dipendenti intervistati dichiara di non sentirsi al corrente su informazioni da parte della direzione. Il 40% sottolinea di essere disposto a condividere più contenuti sui social se solo fosse più informato. employer branding Inoltre, è necessario tenere presente che, in particolare dopo la pandemia Covid-19, il lavoro non ha più distanze. In gran parte si svolge in remoto, tra diverse parti del mondo, quindi occorre saper assumere senza confini e avere una profonda conoscenza della cultura dei vari dipendenti. Proprio l’esperienza del Coronavirus ha fatto riflettere sulla necessità di mantenere il focus sul presente, come dimostra un seminario condotto da Jason Averbook, CEO e co-fondatore della società di consulenza per le risorse umane Leapgen.

    L’importanza di avere dipendenti amabassador

    La condivisione dei contenuti sui social, e non solo, da parte dei dipendenti, è un elemento di notevole importanza. L’ultima frontiera, in questione, è rendere il lavoratore ambassador del luogo di lavoro. Gli ambassador sono personaggi che, in virtù della propria influenza e delle capacità comunicative interpersonali, riescono ad avere un’influenza sugli altri. Rappresentano il “volto” del brand sui canali di comunicazione, dotati di una forza maggiore rispetto alla pubblicità tradizionale, consentono di aumentare la consapevolezza del brand e incrementare la fiducia nei destinatari. employer branding Così come un influencer noto, allo stesso modo il dipendente potrebbe diventare il personaggio a cui, i potenziali candidati, potrebbero prestare maggiore ascolto. Secondo i dati del sondaggio condotto da Nielsen, il 92% dei consumatori si fida di più di chi è nella propria cerchia, solo 1/3 dice di fidarsi della pubblicità tradizionale. Per la maggior parte dei soggetti, in una situazione di over information, come quella della società contemporanea, nella quale è faticoso gestire gli innumerevoli stimoli comunicativi, è necessario effettuare una selezione. In questo caso, il dipendente soddisfatto può rappresentare un’esempio da seguire.

    Curiosità in numeri

    L’86% dei professionisti delle risorse umane intervistati ha indicato che il reclutamento sta diventando sempre più simile al marketing, proprio per questo l’employer branding è ormai considerata un’attività imprescindibile per l’azienda, sotto vari aspetti. Il marketing del datore di lavoro ha un’assoluta importanza nella percezione dei candidati: il 55% delle persone in cerca di lavoro dichiara di abbandonare le domande dopo aver letto recensioni negative online, il 50% afferma che non lavorerebbe per un’azienda con una cattiva reputazione, nemmeno per un aumento di stipendio. Una reputazione negativa può costare a un’azienda fino al 10% in più per assunzione. Oltre che sulla reputazione, può influire positivamente anche sul turnover: quasi il 30% delle persone in cerca di lavoro ha lasciato l’impiego entro i primi 90 giorni dall’inizio (indicando un disallineamento tra il candidato e l’employer brand). Investendo nell’employer branding si potrebbe diminuire il turnover del 28%.  Il 96% delle aziende ritiene che l’employer branding e la reputazione possano avere un impatto positivo sui ricavi, ma meno della metà, appena il 44%, monitora tale impatto. I primi tre canali in cui le aziende intendono comunicare il proprio employer brand sono, nell’ordine, il sito Web aziendale (69%), le reti professionali online (61%), i social media (47%) LEGGI ANCHE: 8 errori sui social media che le aziende dovrebbero evitare nel 2023