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  • Romantic Italia. Un disco per amarti, uno per dimenticarti

    L'amore è sporcarsi le mani e accettare limiti e fallimenti. Il tempo non guarisce le ferite. Il corteggiamento è roba da resistenti romantici. Ecco cosa succede se anche i sentimenti cadono nel sogno distopico di una vita a rischio zero

    7 Novembre 2020

    Il chili nella pentola sta iniziando a brontolare, lo copro e decido di lasciarlo al suo piccante destino. Il canale 400 di SKY fa da sottofondo alla serata, stappo un lambrusco ghiacciato mentre una musica attira la mia attenzione: “Il mondo non si è fermato mai un momento”. Certo, la canticchio. Mi aspetto un documentario sulla vita di Jimmy Fontana, invece una ragazza dalla voce precisa mi spiega il testo di quel brano, in un modo che mi ricorda tanto le vecchie, care, lezioni di semiotica all’Università di Siena: «All’improvviso il mondo rinasce davanti ai nostri occhi, all’improvviso la realtà quotidiana ci spinge a dire addio anche all’addio». La puntata di “Romantic Italia”, dedicata al tema dell’addio, valeva la pena di essere vista senza cucinare nel frattempo. Giulia Cavaliere è brava, la trasmissione finisce ma io vorrei vederne un’altra e soprattutto avrei delle cose da dire e, al limite, da dirle. Le twitto, poi le scrivo, poi la chiamo. Prendiamo un appuntamento virtuale, come si usa di questi tempi. La “call”, come dicono quelli fighi, durerà per due ore: questa è la storia di una delle mie chiacchierate più felici del 2020.

    2 discoteche 106 farmacie

    Giulia Cavaliere è una mia coetanea e viene come me dal mondo della comunicazione: «Puoi scrivere che ho una formazione umanistica declinata al POP». Negli anni la critica musicale è diventato il suo mestiere e adesso Giulia collabora con il Corriere della Sera e altre testate. Il suo libro “Romantic Italia” è diventato anche una trasmissione televisiva su SKY Arte. «Volevo restituire lo spirito del libro: mantenere la dimensione letteraria e allo stesso tempo parlare di musica». L’idea alla base del progetto è semplice ed efficace: riascoltare col lettore delle hit famose, riflettendo sul significato dei testi. L’appuntamento con Giulia è a colazione. Appena so che è di Pavia scatta la battuta di repertorio su Max Pezzali: «Dove ci sono 2 discoteche e 106 farmacie?». Giulia la capisce e ride. «Le due discoteche hanno chiuso e adesso ci sono un sacco di negozi di ottica». «Dici per gli anziani?», «Non ci avevo pensato, pensavo più che gli occhiali sono quel genere di cosa che non ti compri online, che te li devi provare. O forse no?». Giulia mi dice che non serve abbassare il registro linguistico per parlare di POP, che in Italia la critica snobba le “canzonette”, che «All’estero è diverso: gli ABBA in Svezia, ad esempio, sono considerati un patrimonio nazionale». La vecchia questione tra musica fatta e musica recepita, il flirt semiotico tra emittente e ricevente che esplode in un ritornello e se ne va in loop. «È necessario andare oltre l’orecchiabilità: come ti è capitato con Jimmy Fontana, spesso andiamo col pilota automatico nel cantare le canzoni più famose, tutto bene ma così non ci soffermiamo nei dettagli, che spesso sono meravigliosi». Dicono che in Italia ci sia una nuova primavera della scrittura, grazie alla musica Indie ma Giulia è indie-scettica: «Leggo tanti testi brutti. Non basta usare parole a caso, di uso comune, per rendere un testo intelligente». «Ci saranno autori che ami». «Certo, molti e ti cito Dente, Andrea Laszlo De Simone, Colapesce, Delmoro, Lucio Corsi…». Vasco Brondi? «Il suo ultimo disco  (Terra n.d.r) è bellissimo. C’è un brano che mi ha fatto piangere, si chiama Coprifuoco». Piace molto anche a me, e fa così: “E dove c’era un minareto o un campanile/ C’è un albero in fiore tra le rovine  / Ci siamo noi due accecati dal sole / Mentre cerchi di spiegare / Cos’è che ci ha fatto inventare / La torre Eiffel, le guerre di religione / La stazione spaziale internazionale”. Al nuovo cantautorato italiano piace riprendere i temi della vita di ogni giorno, i momenti che tendiamo a dare per scontato ma che rappresentano un po’ il tesoretto dei ricordi del quotidiano.  Come quando Franco 126 e Tommaso Paradiso, in “Stanza Singola”, ci raccontano la vita dopo la fine di una storia, in un appartamento da studente o lavoratore fuori sede, quando anche solo un semplice caffè diventa un ricordo ingombrante: “E quando metto il caffè sopra al fuoco / Faccio ancora la moka per due”. «Mi piacque tanto quel disco che fece insieme a Carl Brave», mi confessa Giulia «Il disco si chiamava Polaroid. C’era un periodo che canticchiavo sempre un pezzo che faceva… Tararì Tararà!».

    Bruciare di doglie blu, nel 2020

    C’è una cosa che mi vorrebbe spontaneo chiedere a una ragazza che scrive un libro che si chiama “Romantic Italia”, ed è questa: «Prima eravamo più romantici?». Evito di porre la domanda perché ho già la risposta, ed è una risposta razionale: non faccio parte dell’esercito dei complottisti del tempo, di quelli del “si stava meglio quando si stava peggio” e dei fan de “i tempi sono cambiati”. Insomma, ci si innamora, ci si lascia, si ricomincia e si costruisce su macerie esattamente come prima. Vero, sono cambiate tantissime cose, specialmente nella comunicazione (a livello di emittente e di mezzi, soprattutto), ma non si è mai smesso di tremare di “doglie blu”, come cantavano i Baustelle nel “Sussidiario Illustrato della giovinezza”. «Che botta quel disco! Me lo regalò al primo appuntamento un fidanzato, era un CD masterizzato; io lo volevo originale, così raccolsi i soldi della paghetta per comprarlo alla FNAC». Giulia ci pensa un attimo e mi dà ragione: «Avere venti anni è sempre quella cosa lì. Io e te David siamo poco credibili a commentare gli amori dei ventenni di oggi». Passano gli anni e ti ritrovi concentrato sulle cose che hai fatto e quelle che non stai più facendo (o non puoi più fare) diventano improvvisamente attraenti, come in quel meme in cui il ragazzo si volta a guardare una tipa, mentre passeggia con la fidanzata. «Diciamo che oggi è più facile trovare una persona che ci fa tremare di doglie blu che un disco». Francesco Bianconi ha sposato il lavoro di Giulia Cavaliere sia sul libro che sul programma TV. Sono passati esattamente 20 anni dall’uscita del “Sussidiario” e quella copertina mi ricorda sempre due studenti, sdraiati nel letto del loro appartamento in affitto, nel mezzo al caldo di un’estate, dopo aver fatto l’amore. Il tempo è sospeso, la lezione di domani chissenefrega e loro sembrano guardarti e pensare: ma davvero ti importa qualcosa del futuro?

    Il prossimo weekend sarà migliore

    “Andiamo in centro a fare un giro a piedi / a guardare le ragazze degli altri”. Giulia mi chiede se mi ricordo il verso di questa canzone. Non solo me la ricordo bene, ma nelle parole di Max Pezzali c’era già dentro tutto: la gioventù (analogica), le uscite con gli amici, il sabato in centro, le compagnie, le tipe che non ci stavano, le tipe che forse ci stavano e le tipe che sicuramente ci stavano (quelle degli altri). «Quelle parole hanno una grande forza emotiva nel raccontare la privazione». Quale privazione è sottinteso: sfigato con la s-privativa, l’assenza di “figa” genera poesia. La mia non era una battuta e infatti Giulia la prende seriamente:  «La figa era l’espressione della libertà e del successo, evadere da se stessi per conquistare qualcosa di più grande: un amore, anche, da sfoggiare il sabato in centro». Ma non è un mondo tramontato, quello di cui parla Pezzali in “Weekend”, se escludiamo le radioline con cui si ascoltavano le partite, quelle proprio non ci sono più. Sul rimorchio avremmo tanto da dire, ma non è ancora il momento. Giulia mi ha citato una delle canzoni della mia gioventù, io rilancio con “Molliamo tutto e ce ne andiamo a New York”. Che ne pensi? Non ti ricorda un po’ tutte le volte che Tommaso Paradiso rammenta New York? Alzi la mano chi non ha mai pensato di lasciare tutto e ricominciare altrove, lontano. New York era dunque un modo di dire, ma forse lo è tuttora.  Un discorso che parte dalle priorità? Quali sono quelle dei ventenni attuali? Andarsene o restare? Uscire dalla famiglia e rischiare tutto o seguire la tendenza della vita a rischio zero? Prima si parlava tanto di andarsene, di emigrare, ma adesso si fa sul serio: negli ultimi 20 anni gli italiani all’estero sono passati dai 2.3 milioni del 2000 agli oltre 5 milioni attuali, il 56% degli espatriati ha tra i 18 e i 44 anni. Ancora gli strascichi degli anni ’90, chi non ha retto alla fine di quella spensieratezza se ne è andato o coltiva ancora in cameretta l’orto della sua nostalgia. «Forse è anche per questo che le canzoni d’amore contemporanee sono piene di insoddisfazione e di desiderio».

    Il gioco del corteggiamento

    Il gelato che cola, protagonista della copertina di Romantic Italia, ci riporta alla dimensione dell’amore come desiderio fugace, da vivere prima che si sciolga. Ma conquistare la persona che si desidera non è così semplice, e il processo di rimorchio ha molto a che fare con la dedizione e la creatività. «Due cose che mancano molto nelle nuove generazioni», brontolo come un vecchio. Giulia mi fa eco: «La dedizione che i ragazzi più giovani hanno per le ragazze, e il loro relazionarsi alla conquista, è completamente diverso dall’idea di un 35 o 40enne. Oggi il rimorchio è quella parte del viaggio che deve essere subito e ora». «E la musica ne risente». «Eccome: la musica in quel viaggio ha un ruolo, è una cartina tornasole. Chi non ha mai pensato: quella canzone sembra scritta per me». La musica, come l’arte, ci aiuta a chiarire i nostri sentimenti, è rivelatoria. Traduce qualcosa che era profondo e da soli non riuscivamo a visualizzare con nitidezza. «La canzone funziona proprio così: io sto dicendo una cosa a te e il modo in cui ti rimane dentro coincide con il modo in cui te l’ho detta». «Romantic Italia voleva essere un modo di scandagliare i momenti di una relazione, da quando ci si incontra fino a quando ci si lascia». Chiedo a Giulia quale sia la parte più lunga, tra tutte le fasi dell’amore, ma so già che ogni risposta non potrà che prescindere da una nota autobiografica. «The long and winding road: per ogni momento ricordiamo baci, sguardi, mancati appuntamenti, l’idea dell’attesa che diventa parte essa stessa di una relazione». “Many times I’ve been alone / And many times I’ve cried / Anyway, you’ll never know /The many ways I’ve tried”. Tutto subito e tutto facile, con una scadenza precisa, come lo yogurt. La narrazione di questi anni cupi propone l’idea della vita a rischio zero, e il rimorchio ne fa parte. Perché ci provi con una ragazza ti metti in gioco, rischi figuracce, rischi un rifiuto, può anche andarti male. Ed è così che il corteggiamento, che per secoli ha ispirato letteratura, musica e arte, viene messo nel dimenticatoio. Giulia è tranchant: «Non è più centrale la figa, perché conquistarla significa, a volte, perdere dell’orgoglio, e la ferita narcisistica non è più tollerabile. I ragazzi più giovani non vogliono vivere una vita in cui non si sentono al centro di tutto. David, la verità è che la gente ormai si scopa da sola». Si guarda, si piace e si compiace, come in un selfie su Instagram, mentre la centralità della conquista non esiste più. Un vero peccato: «La mia idea di conquista diventa centrale nella vita nel momento in cui voglio conquistare te e nessun altro: esiste idea più romantica?».

    L’amore negativo

    «L’amore è negativo, scrive Bianconi, riprendendo un concetto del filosofo sud-coreano Byung-chul Han. L’amore non è piacersi, non è coccolare il proprio ego, ma è accettare anche di fare un po’ schifo, è perdersi, è rischio». “Perché l’amore è negativo / Perché la pace un giorno finirà / Il nostro cuore sporco e cattivo / Il vero amore ci distruggerà /Mi manchi, davvero, lo sai”. A proposito di pensiero orientale, dico a Giulia come ormai non sia più molto cool l’idea del tempo circolare: non nel senso delle cose che ritornano, ma nell’abitudine a guardarci intorno, a soffermarci, a gustare il piacere dell’attesa. Cosa ne è stato del riprovarci e riprovarci ancora? Eppure “eroi romantici” si diventa, con tanto impegno, tanto lavoro “sul campo”, non certo solo nei locali della movida ma ovunque la vita ti porti all’incontro con l’altra/o. «Cosa resta di me, delle bocche che ho baciato in discoteca?», chiedo citando “L’aeroplano” dei Baustelle. Ho colpito nel segno, e non capisco più chi stia intervistando chi. «Come faccio a raccontarti un bacio rubato quando lo sono tutti?», mi risponde Giulia. La narrazione attuale sta provando a far saltare la gerarchia degli amori, degli incontri, delle doglie blu. Nella relativizzazione dei sentimenti, chiunque (o quasi) è sostituibile dal prossimo, a patto che colmi quel vuoto (di affetto e compagnia) che ci portiamo tatuato sulla pelle come il vaccino del vaiolo. Insomma, è tutta una fake news: sarebbe proprio da mettere un bottone di fact-checking sotto ad ogni nuovo incontro, un po’ come fa Twitter e Instagram con i contenuti più delicati. Cliccandoci sopra potremmo andare a rammentare la scala del valore e per comprendere che accontentarsi di una vita a rischio prossimo allo zero va bene ma è pur sempre un accontentarsi. «Già. Che gusto ha un bacio rubato se prima non è anche un bacio sudato?».

    Dire addio all’addio

    La storia è all’ultimo capitolo, l’addio, “Farewell” per dirla alla Guccini: «Quando una storia è finita rimangono le sensazioni, i ricordi, le atmosfere ma paradossalmente finiscono proprio le canzoni che l’hanno accompagnata». «Ma come, proprio le canzoni finiscono per prime? Non sarebbe meglio dire che fanno giri immensi…». «Stefano Benni diceva: scusami se ho usato la nostra canzone per una nuova relazione». «Sei spietata. Eppure Jimmy Fontana diceva che il mondo riprende a girare intorno a noi, quando meno te lo aspetti. Tanto basta per dire che Sì, una digestione dell’addio è possibile». «Oh David, niente aiuta a digerire l’addio». «Nemmeno le canzoni». «No, nemmeno quelle. Rimane quel senso di fallimento, di quello che poteva essere e invece non è stato».
    Giulia Cavaliere, durante una puntata di Romantic Italia su SKY Arte
    Che poi comunque la vita riprende davvero, l’addio è tangibile, è vivo, esiste ma la vita prevale: “Ho aperto gli occhi / Per guardare intorno a me / E intorno a me girava il mondo come sempre”. L’addio resta, ma diventa più dolce. Come quei ragazzi nella copertina del disco dei Baustelle. Giulia è un fiume in piena di citazioni: “Un’ora, un giorno, una vita / Che cosa vuoi che sia, restia mia”. «Celeste Nostalgia è l’idea stessa che il momento da bruciare non valga lo struggimento di una vita, la nostalgia può essere, appunto, piacevole». Ma lo sappiamo entrambi che questa paura viene da lontano, come quella del buio o dei precipizi. «Siamo vittime dell’idea dell’eterno, vittime della monogamia che deve pervadere tutto. Abbiamo una mono-vita: un lavoro, una casa, un amore». Il per sempre ci spaventa tutti un po’, aggiungo, ma fa parte delle fasi della vita. A 20 anni è tutto per sempre. Forse anche a 30, in certi casi. Forse ogni stagione della vita ha il suo per sempre. La monogamia può essere anche un pensiero liquido, da applicare di volta in volta sulle persone diverse che la vita ci pone innanzi: una “monogamia seriale”, in cui ogni incontro deve essere quello giusto, ma giusto per cosa poi? Perché la vita non è sempre bella ma il secolo è stato davvero breve e il romanticismo da molti viene vissuto solo nelle serie TV, per poi affrontare la propria realtà in un costante downgrade emozionale; perché si sa, meglio non prendere troppi rischi e andare sul sicuro. La visione romantica, mi confida Giulia, alla fine è una scelta sociale. Come cantava Serge Gainsbourg, in Couleur Café:  «L’amour sans philosopher, c’est comme le café». L’amore senza farci della filosofia è come il caffè: veloce, banale, distratto e forse un po’ amaro.   *Illustrazione di copertina di Silvia Camerani, graphic designer @ Venice Bay