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  • La rivoluzione dello street style ha contagiato tutti (e alcuni brand hanno sfruttato bene il trend)

    Un viaggio nelle tendenze metropolitane moderne per capire da dove arrivano

    4 Dicembre 2018

    Il modello di uomo di successo è molto cambiato negli ultimi anni: sulle spalle degli uomini d’affari di oggi, t-shirt sdrucite e cappucci hanno sostituito abiti gessati e cravatte troppo strette. Possiamo parlare di una “rivincita” della strada, dell’uomo comune e del suo modo di vestire? Difficile dare una risposta netta. Quello che è certo è che, dopo tanti anni passati a selezionare le location più esclusive, oggi ci accorgiamo che è la città a costituire il palcoscenico più bello. Il testimone attendibile di questo cambio di veduta è certamente il feed Instagram, luogo incantato in cui uno scatto davanti allo skyline metropolitano giusto otterrà probabilmente più like di un evergreen del tipo “tramonto sul mare”.

    By Acharles – {ARTIST Andre’ Charles}, CC BY-SA 3.0
    Ci appassionano i murales e gli spazi industriali, i punti più belli (e spesso) deturpati delle nostre città, che improvvisamente ci conquistano con il fascino di una fruizione libera, democratica e anticonformista. Stiamo parlando di una tendenza estemporanea e destinata ad esaurirsi, o c’è qualcosa di più radicato? Proviamo a scoprirlo.

    Dal graffitismo alla street art

    Per cercare di dare una risposta adeguata alla domanda, è necessario fare qualche passo indietro. Cominciamo dalle radici del movimento urban e dai divulgatori del suo verbo: i writers.

    via GIPHY I writers agitano le prime bombolette spray negli anni ’70 inoltrati, in città come Los Angeles e New York e, poco dopo, nelle più grandi capitali europee, su tutte Londra. Si respira ancora l’aria della contestazione sessantottina e anche la loro forma di espressione creativa ha un tono politico. Si contesta la società e lo si fa “deturpando” direttamente lo scheletro della società stessa: le mura che costituiscono la garanzia fisica del concetto di proprietà privata. Insomma i writers americani hanno il merito di essere stati i primi a vedere il contesto urbano come fonte di ispirazione ed espressione. Il momento davvero cruciale è però costituito dalla trasformazione, soprattutto concettuale, del graffitismo in street art. Formalmente, l’evoluzione è molto semplice: mentre i graffitari si esprimevano quasi esclusivamente tramite lettering (tag, generalmente riferito al proprio nome), gli street artist decidono di andare oltre, superano il lettering e dedicandosi all’arte figurativa.

    via GIPHY Soprattutto, gli street artist finiscono per diventare POP: le opere di personaggi come Banksy, O’Bey o l’italianissimo Blue, per quanto ancora avvinghiate ad un concetto di anticonformismo e subculutra, non sono più di nicchia, e conquistano il grande pubblico. LEGGI ANCHE: Abbiamo visto (e vi raccontiamo) la mostra di Banksy a Firenze

    L’industria musicale, dal rap alla trap

    Un riferimento all’industria musicale è doveroso. Perché la musica non sta a guardare, ma intuisce, ingurgita e rielabora, come ogni espressione artistica. Per questo, anche il lifestyle da strada ha avuto la sua colonna sonora: il rap, che attinge a piene mani dallo stile street. Non poteva essere altrimenti, se consideriamo che si è sviluppato in un contesto parallelo a quello della street art. Anche il rap ha fatto leva sulla forza della denuncia politica della società, seppur rifacendosi ad una subcultura differente, la popolazione afro degli Usa, che almeno in origine ha costituito il riferimento stabile. Un fenomeno che in Italia abbiamo vissuto soltanto di riflesso. Con gli anni ’80 le radio hanno iniziato a diffondere queste sonorità sincopate, e la TV, in particolare MTV coi primi videoclip, ci ha proiettato in quelle dinamiche.

    via GIPHY Musicalmente non abbiamo mai raggiunto i livelli dei grandi come Tupac, Snoop Dog o 50 cent, ma i loro jeans larghi, le loro sneackers, l’attenzione agli accessori quasi parossistica e la dimensione urbana all’interno della quale si muovevano, hanno iniziato a stimolare il nostro immaginario collettivo.

    Facciamo adesso un balzo notevole per arrivare fino ad oggi, fino al fenomeno trap, che vede invece noi italiani tra i primissimi posti. La trap attinge moltissimo dal rap (quasi tutto), e soprattutto ne riprende la predilezione per la strada come ambientazione ideale, di conseguenza uno stile di abbigliamento molto simile. In realtà la trap esaspera molti elementi stilistici che furono del rap. Ma compie un’attività importantissima: li attualizza.
    Opera propria, Pubblico dominio
    I trapper riportano il focus dell’attenzione su di noi –qui e ora– e così, come i disagi italiani meritano di essere cantati, e le nostre città e i loro ambienti metropolitani acquistano “dignità artistica”. Le periferie milanesi a romane iniziano ad essere i contesti ideali di artisti come Sfera Ebbasta, Gue Pequeno e Dark Polo Gang. Un famoso trapper partenopeo, Enzo Dong, addirittura, ambienta il videoclip di Higuain nel degrado urbano della terra dei fuochi, tra mucchi di immondizia e cassonetti debordanti (guardare per credere).

    I trapper si identificano così tanto con le loro città che si allontanano dall’inglese e si spingono verso il dialetto, e a questo proposito meriterebbe un approfondimento a parte il “capitolo Liberato”, che stupisce tutti iniziando a trappare in napoletano. LEGGI ANCHE: Liberato, chi è e che fa il nuovo fenomeno di Napoli, e dei social

    La fortuna dello streetwear

    Tornando a oggi possiamo dire che la lungimiranza dei writers e la forza comunicativa degli street artist hanno dato i loro frutti, tramandandoci uno sguardo attento al fascino urbano. Poi il rap, ed oggi la trap, hanno confezionato per bene il prodotto, rendendolo mainstreem. Il risultato è che oggi siamo in molti ad atteggiarci graffitari underground anche se non abbiamo mai preso una bomboletta in mano. In realtà, si è perso quasi del tutto il riferimento ad una subcultura e la spinta della critica sociale non è che un vago ricordo. Rimane però la rivincita della strada, il cui fascino è diventato pop e attira proprio tutti, senza particolari distinzioni di appartenenza sociale.

    I brand dello street style

    Rimane più di tutto la fortuna di alcuni brand che stanno dettando i gusti di una generazione. Sono i brand che hanno letto e interpretato il tutto con anticipo, lanciandosi su linee di abbigliamento streetwear che stanno spopolando: dalle sneakers da skate (volutamente vintage), a felpe di ogni tipo, per arrivare ad accessori e berretti. Stiamo parlando di Adidas, Obey, Vans, dei redivivi Fila e Reebok, e perché no, dei nuovi ed italianissimi Iuter e Octopus, le cui felpe costituiscono un fiore all’occhiello per gli appassionati del genere. ___ Questo articolo è stato scritto da Renzo Occhiuto