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  • Come scegliere il chatbot giusto (perché i chatbot non sono tutti uguali)

    Basati su regole o su intelligenza artificiale, i chatbot devono essere progettati attentamente e senza confonderli con una comune app

    13 Marzo 2018

    Si fa presto a dire chatbot. Prendete un servizio di messaggistica, create un programmino che risponda ai messaggi e il gioco è fatto. Ne avrete subito uno, funzionante, al servizio dei vostri utenti e clienti. Ma davvero è così semplice?

    I chatbot non sono tutti uguali

    Senza tener conto degli strumenti ideati per crearli o delle piattaforme su cui ospitarli, né dei canali di messaggistica in cui agiscono, potremmo dividere i chatbot in due grandi famiglie: i chatbot basati su regole e quelli basati sull’intelligenza artificiale. I chatbot basati su basati su regole sono progettati per seguire una programmazione ben precisa, lineare, di domande e risposte. Non è possibile per l’utente (ma neppure per il bot) uscire da questi binari di conversazione predeterminati. Possono essere sviluppati in maniera relativamente economica e rapida: sono molte le piattaforme in cui è possibile crearne uno rapidamente e con poco sforzo. Questa facilità nello svilupparli e la loro rigidità li rende una soluzione efficace in molti casi, ma a spese di una esperienza utente ripetitiva e potenzialmente frustrante. Possono essere utilizzati per ottenere rapidamente un prototipo funzionante (una specie di versione demo) di un chatbot più complesso o crearne uno per scopi relativamente semplici, come inviare dei messaggi con informazioni specifiche. LEGGI ANCHE: Creare chatbot senza dover scrivere una riga di codice tipi di chatbot Ci sono poi i chatbot che utilizzano l’intelligenza artificiale. Non sono tutti uguali, i più evoluti sfruttano processi di deep learning per evolvere e diventare sempre più efficaci e intelligenti, fino a riuscire a comprendere le intenzioni e il contesto delle domande sottoposte; quelli meno evoluti hanno comunque l’abilità di elaborare il linguaggio umano (NLP, Natural Language Processing). Anche se sviluppati con queste tecniche, possono seguire le stesse indicazioni dei chatbot basati su regole, ma anche (se ben progettati e implementati) uscire dai binari preconfigurati di una conversazione e prendere decisioni o fornire informazioni aggiuntive e in maniera più ricca. L’esperienza utente può risultare più positiva, divertente e invitante.

    Scegliere il chatbot giusto

    Ve lo diciamo subito: non esiste una ricetta unica e universale. La scelta dipende da fattori quasi ovvi, come gli obiettivi che si pongono, il canale in cui il chatbot dovrà funzionare e il budget a disposizione, ma anche da altri meno evidenti, come il pubblico con cui il chatbot interagirà, la frequenza con cui lo farà, il genere di informazioni che dovrà dare. I chatbot sono quasi diventati un must e, nella corsa ad averli o venderli, molti hanno fatto la scelta più ovvia e semplice, creando chatbot basati su regole che riproducono più o meno efficacemente le funzionalità dei risponditori automatici telefonici. L’unica differenza è che, invece di ascoltare le possibili scelte e di essere invitato e premere 1, 2 o 3 (seguito dal tasto cancelletto!), l’utente riceverà dei messaggi con delle scelte da fare su un touchscreen. Se ben costruiti, questi sistemi di interazione automatica possono essere delle soluzioni solide ed efficaci. Un sistema che permetta di prenotare un servizio, per esempio, potrebbe essere gestito da un chatbot di questo genere. Se però il chatbot deve sostituire in tutto o in parte un operatore umano per rispondere a messaggi di supporto tecnico su un prodotto acquistato o un servizio da ricevere, è il caso di orientarsi su chatbot che sfruttino l’IA. Non esiste una scelta migliore di un’altra o una giusta e una sbagliata, purché non si creino false aspettative negli utenti. tipi di chatbot

    Non confondere un chatbot con una app

    Il momento d’oro dei chatbot è arrivato col successo delle app di messaggistica e con la disaffezione degli utenti alle app da installare sul proprio smartphone. Secondo alcuni report la maggior parte degli utenti installa (e usa regolarmente) poche applicazioni, non più di 20, e tra queste, la parte del leone la fanno quelle che permettono di inviare e ricevere messaggi, appunto. I chatbot sostituiranno le app, si sente proclamare, e sarà probabilmente così, ma la loro progettazione può essere più complessa e richiedere competenze diverse da quelle necessarie per sviluppare una applicazione. Sia che debba interagire via messaggi di testo o che invece reagisca a comandi vocali, chiunque voglia cimentarsi seriamente nello sviluppo di chatbot dovrà anche cimentarsi con l’arte della conversazione. Non si tratta solo di saper gestire le ambiguità del linguaggio umano (compito che può essere delegato alle IA) ma anche la psicologia degli utenti, affrontando le obiezioni, stimolando le risposte o riportando la conversazioni nei binari e nella direzione opportuna. Per creare un buon chatbot occorre quindi avere competenze nelle piattaforme che ne permettono la creazione  (in alcuni casi conoscenze di programmazione non guasterebbero) ma anche su design della user experience, di conversation design e, perché no, di psicologia.