122% in più rispetto al 2014: è questa la percentuale di crescita delle startup nel panorama italiano.
Non è però tutto oro quello che luccica: secondo il rapporto del Mise sulle startup, il 95% delle imprese innovative supera i 3 anni di vita ma solo il 42% di queste è in utile e, nonostante il tempo naturale per trasformarsi da startup a PMI innovative sia ormai trascorso, le aziende innovative rimangono piccole soprattutto per questioni di budget, impedendo la crescita dal punto di vista strutturale ma anche l'aumento dell'occupazione.
L'Italia è infatti ancora fanalino di coda in Europa per gli investimenti di Venture Capital e i finanziatori delle startup nostrane sono, quasi sempre, amici, familiari e conoscenti. Rimane ancora basso (poco più di una ventina) il numero di quelle che sono riuscite a realizzare una fase di deciso consolidamento giungendo alla tanto agognata exit. Troppo poco!
Finanziamenti fatti in casa e pochi giovani
Pubblico e privato devono aprirsi e concorrere al finanziamento delle nuove realtà imprenditoriali perché il sistema dell'innovazioni diventi traino di una nuova economia.
Anche il dato relativo alla composizione dei team non è particolarmente brillante: se è vero che nel profilo dello startupper è il 56% ad aver conseguito una laurea di secondo livello o un master, non sono i giovani a investire in progetti innovativi; fra i soci, c’è un under 35 solo nel 38,2% dei casi.
In questo panorama, incoraggiante secondo alcuni punti di vista (nel primo trimestre del 2017 si sono registrati circa 185 milioni di investimenti in startup e aziende innovative e con il piano Industria 4.0 le detrazioni fiscali sono salite al 30% per chi investe nel settore) e a tratti desolante, abbiamo selezionato cinque startup italiane di cui avremmo volentieri fatto a meno.
Non parliamo solo di fatturato, ma anche di opportunità, mancanza di innovazione, scarse se non impossibili capacità di attirare finanziamenti e... idee assurde.
#5. I'm Watch, il primo smartwatch al mondo
Lo abbiamo visto tutti (forse) Ennio Doris negli spot in cui indossa un Apple Watch. Eppure è stato proprio il colosso americano a segnare la fine per la startup pioniera del settore della wearable technology, finanziata proprio da Doris, che aveva proposto la versione italiana del prodotto con due anni di anticipo rispetto all'azienda di Cupertino.
#4. Volunia, il competitor di Google
Replicare il successo di uno dei più grandi motori di ricerca è impresa ardua, specie se l'obiettivo dichiarato è quello di migliorare il servizio creando un motore di ricerca semantico basato sulle persone. A pochi mesi dal lancio, anche Massimo Marchiori, founder di Volunia, ha abbandonato il progetto.
#3. Memories, la startup per commemorare i defunti
Nata grazie a un finanziamento della Regione Puglia di 65 mila euro, la startup ideata da Raffaele Sollecito, noto al grande pubblico per eventi di cronaca nera più che per le capacità di ingegnere informatico, si propone come un servizio a metà tra social network ed eCommerce.
Se non ti spaventa l'approccio dark al tema dell'innovazione e non ti disturbano immagini a risoluzione indecente, la completa mancanza di attenzione all'UX design e uno stile grafico anni '90, puoi visitare il portale qui.
#2. StoneX, lo smartphone dello Steve Jobs italiano
Si può fare impresa innovativa con una massiccia campagna mediatica? Nel 2015 Francesco Facchinetti aveva annunciato l'ingresso sul mercato dello smartphone StoneX, un prodotto per giovani con tecnologia di serie A e al giusto prezzo. L'obiettivo era quello di sottrarre grosse fette di mercato alle concorrenti Samsung e Apple. Quanti di voi stanno leggendo questo articolo da uno StoneX One?
#1. Egomnia, la startup e il film di Matteo Achilli
Sul gradino più alto del podio non può mancare la startup di Matteo Achilli.
Ne abbiamo già parlato qui: Egomnia è stato un fenomeno mass-mediatico cresciuto sull'onda della partecipazione del suo fondatore, spesso indicato con l'altisonante titolo di Zuckerberg italiano, ad alcuni format televisivi e poi ripreso dal film The Startup, che ne ha raccontato la storia. L'intero ecosistema del web italiano si è mosso per smascherare i numeri gonfiati del social network che, nelle intenzioni del CEO, sarebbe stato l'alternativa italiana a LinkedIn.