Ne abbiamo già parlato qualche tempo fa ma ora più che mai a Menlo Park continua la battaglia contro le fake news, e più precisamente contro il proliferare di notizie false e tendenziose che ormai da anni infestano le timeline del social network e contro le quali Zuckerberg nel suo Manifesto ha deciso di combattere aspramente.
È di qualche giorno fa la notizia del primo missile lanciato dalla “nuova arma” nemica dei generatori seriali di panzane: ecco che arriva il bollino con un triangolo rosso, che indica che la notizia è “Disputed”, ovvero contestata (da uno o più testate che si occupano di fact checking per Facebook).
E manco a dirlo, di cosa potrà mai parlare la prima fake news contestata da Facebook? Ovviamente: Donald Trump, il neoeletto presidente americano già famoso per la sua controversa campagna elettorale zeppa di fake news, della quale Buzzfeed si è occupato in questo report. Quale sarebbe la fake news? Un articolo pubblicato da The Seattle Tribune ha riportato la notizia che le varie fughe di informazioni riservate sul Presidente sarebbero state causate dall'utilizzo di uno smartphone Android, il quale sarebbe stato crackato e dal quale sarebbero state prelevate informazioni top secret.
Ma, sorpresa e colpo di scena, l’articolo in realtà è stato pubblicato “ad arte” da un sito che sembra si sia sempre occupato di fare satira (una sorta di Lercio malfatto in salsa USA), il quale aveva proposto il post solo per ricevere quante più condivisioni possibili. Il "triangolo rosso", insomma, se l'è guadagnato di default.
Analizzando quindi nello specifico: come fa Facebook a scovare le fake news e ad etichettarle come inattendibili?
La piattaforma si avvale della collaborazione di numerose testate giornalistiche, tra le quali anche Snopes.com e Politifacts (le quali hanno effettivamente identificato la bufala su Trump sopra citata), che hanno il compito di scovare le fake news attraverso un minuzioso processo di fact checking che si rifà al codice etico redatto dal Poynter Institute, una famosa e prestigiosa scuola di giornalismo americana.
Tutto bello, bellissimo, tranne che per il piccolo problema: a svelare la bufala - tranne nei casi più eclatanti - deve essere prima praticamente sempre qualche utente, il quale si fa carico della segnalazione.
Il processo infatti ad oggi risulta essere il seguente:
• l’utente o gli utenti (e solo nei casi più eclatanti) segnalano il contenuto fake e lo inviano a Facebook per l’analisi;
• le segnalazioni all’articolo devono essere maggiori di un certo numero, affinché venga preso in considerazione da Facebook;
• il contenuto in questione viene sottoposto al vaglio di due società “terze”, che di fatto poi svolgono i processi di fact checking attenendosi ai processi prestabiliti dai codici etici;
• al termine di questo lavoro - che comunque richiede il suo tempo per essere svolto a regola d’arte - qualora si prefiguri la presenza di una fake news, il contenuto viene contestato e quindi bollato con il triangolo rosso.
Ovviamente il sistema è ancora allo stato embrionale, ed è solo un primo passo nell'attuazione di contromisure adeguate nel contrasto alla proliferazione e distribuzione di contenuti falsi, materiale altamente nocivo alla salute della buona informazione e che talvolta è riuscito a generare situazioni spiacevoli, come nel caso del Pizzagate. Ciò non toglie che sia perfettibile: la lentezza del sistema è ancora un problema da risolvere, e che rende i risultati ottenuti sostanzialmente inefficaci. Nel caso della notizia su Trump, ad esempio, Facebook ha impiegato cinque giorni ad applicare del bollino, arrivato quando erano già state effettuate più di 80k di condivisioni (e il danno era ormai già fatto).
Per capire se il sistema di fact checking funzionerà anche da noi, dovremmo attendere ancora un po': il sistema non è ancora disponibile in Italia.
In ogni caso, sembra che il percorso per arrivare a disporre di una serie di misure automatizzate efficaci contro il proliferare di fake news sia ancora lungo: staremo a vedere.