Simboli emozionali, strumenti di disambiguazione, rafforzativi e, soprattutto, un nuovo linguaggio: sono le emoji, il nuovo codice linguistico nato dall'esigenza di avere una comunicazione sempre più veloce, immediata e visiva.
Emoji ed Emoticon
Innanzitutto, vale la pena ribadire che “emoji” non è un sinonimo di “emoticon”.
Le emoji nascono in Giappone negli anni Novanta, dalla commistione delle parole giapponesi “immagine” e “carattere scritto”, e possono essere tradotte in “pittogrammi”. La prima emoji venne creata da Shigetaka Kurita, ispirato da manga, segnali stradali e caratteri cinesi. È interessante sapere che queste immagini vengono processate dai software non in quanto simboli grafici, ma come lettere di una lingua non occidentale: non vi è mai capitato di ricevere delle email con delle J al posto di uno smile?
Le emoticons, invece, fanno la loro prima apparizione il 19 settembre del 1982, all'interno di un BBS – Bullettin Board System, un lontano antenato dei forum – della Carnegie Mellon University di Pittsburgh (Pennsylvania, Stati Uniti) da Scott E. Fahlman, docente di informatica.
Quello che sarebbe diventato il sorriso più famoso del mondo nacque da un'esigenza primordiale: esprimersi. Spesso gli utenti del BBS non riuscivano a cogliere il giusto tono dei messaggi e questo dava luogo a frequenti fraintendimenti e litigi.
Quel giorno un partecipante creò una nuova discussione, il cui tema era proprio la necessità di trovare un simbolo condiviso che potesse affermare indiscutibilmente il tono sarcastico di una risposta. Alcuni utenti proposero di utilizzare dei simboli che – senza alcun fondamento logico – venivano reputati divertenti, come %, * o #. Qualcuno propose di utilizzare &, paragonandolo, con molta fantasia, a un corpulento e ilare giullare. Fu così che Fahlman digitò una combinazione di simboli: aveva inventato lo smile.
Propongo che la seguente serie di caratteri sia usata come indicatore di una battuta:
:-)
Va letta di lato. In realtà, visto l'andazzo dell'ultimo periodo, sarebbe più economico segnalare le cose che NON sono battute. Per questo uso:
:-(
Emoji is the new English
Le emoji rappresentano una vera e propria rivoluzione della comunicazione online – e non solo.
Pinocchio e persino la Bibbia sono stati tradotti in emoticons. In particolare, quest'ultima è frutto del lavoro di un certo “ragazzo con gli occhiali da sole”, attualmente anonimo, che ha virato le Sacre Scritture in “Le Scritture per i Millenials”, un ebook di 3300 pagine.
✌ philippians 4:19 but my ? shall supply all ur need according 2... pic.twitter.com/PopnwpHiTD
— Bible Emoji (@BibleEmoji) 1 febbraio 2017
Quello delle emoji è diventato un linguaggio (davvero) universale, condiviso da ogni abitante del mondo. L'esigenza di trovare un traduttore di emoji potrebbe essere una delle richieste contenute in un prossimo brief: all'agenzia londinese Today Translation è già successo.
Un linguaggio a metà tra verbale e non verbale, che risponde alla crescente esigenza di distinguersi, di non essere una voce indistinta nel coro. Inoltre, sembra che l'uso di emoji abbia ridotto al 25% la possibilità che ci siano dei fraintendimenti tra gli interolocutori. Da una ricerca della psicologa Linda Kaye sembra che quello che influenza maggiormente l'uso di alcune emoji piuttosto che di altre è proprio la nostra personalità.
Poiché siamo chiamati a interagire con persone che rivestono ruoli diversi nella nostra vita – dal datore di lavoro all'amica del cuore – dobbiamo differenziarne l'uso e, talvolta, anche far ricorso a una vera e propria strategia di comunicazione. Sicuramente una regola basilare è quella di inserire le emoji solo alla fine di una frase, per evitare di frammentarla a tal punto da renderla poco intelligibile e funzionale. Un'altra best practice è quella di non far abbinare simboli a caso, ma dargli una consequenzialità logica, proprio come si farebbe per la costruzione di una frase di senso compiuto. Infine, il consiglio è quello di limitare l'uso di emoji con persone con le quali non abbiamo avuto ancora modo di confrontarci face to face.
Le parole non servono più
Il linguaggio delle emoji è quello cresciuto più velocemente nella storia: siamo partiti da un semplice, anonimo, simbolo stilizzato di un sorriso e siamo arrivati ad avere tantissime immagini tra cui scegliere, sempre più caratterizzate, ricche di personalità e di tratti somatici (a partire dal colore della pelle fino ad arrivare alla scelta dei capelli rossi). Un sorriso non è più solo un sorriso: c'è quello con le gote arrossate, quello malizioso, quello a denti stretti e quello fino alle lacrime.
Il Face with tears of joy è stato addirittura eletti come parola dell'anno 2015 dall'Oxford Dictionary. Gli studiosi britannici l'hanno definito un “aspetto centrale della vita digitale di un individuo, che deve essere basata su contenuti visivi emotivamente espressivi e ossessivamente immediata”.
Se pensiamo che solo 10 anni prima era stata “Sudoku” ad essere eletta parola dell'anno...
Le emoji sono ormai diventate, a pieno titolo, il linguaggio del futuro. Nate dall'esigenza di chiarire il tono di una frase o rafforzarne il concetto, oggi sembrano poter addirittura avere vita propria – e sicuramente ne avranno in The Emoji Movie. Il film che si propone come un esilarante viaggio dentro Textopolis – esattamente dietro le quinte dei nostri smartphone – dove le faccine più famose di sempre prendono vita, si confrontano tra loro e incarnano stereotipi o li dissacrano. Il film approderà nelle sale cinematografiche statunitensi il 4 agosto di quest'anno e, la notizia che Patrick Stewart doppierà Poo, la celebre “cacchina” sorridente, vale di per sé l'acquisto del biglietto!
LEGGI ANCHE: Influencer Marketing: la strategia vincente del 2017