È il 2016 e i numeri parlano chiaro: Domino’s supera Google sul mercato azionario per valore di ogni singola azione e rendimento per gli investitori.
Semplice fortuna? No!
Dal 2010 ad oggi, il secondo brand al mondo di pizza a domicilio ha fatto grossi passi avanti, da una pizza dal sapore "di cartone" fino a diventare uno dei prodotti più consumati al mondo: ordine online e consegna a domicilio nel più breve tempo possibile come punti di forza.
Una crisis communication iniziata con l’ammissione dei propri errori è finita per diventare il moto di differenziazione di Domino’s.
Domino’s e Google a confronto sul mercato azionario: un risultato inaspettato
Due brand diversi e di settori non esattamente concorrenti, ma che fanno della componente tecnologia un punto di forza: una risiede in Silicon Valley ed è il motore di ricerca più conosciuto ed utilizzato al mondo, l’altra, invece, è del settore food, ma metà dei suoi impiegati lavora per migliorare la customer experience in ambito ordini e consegna per rendere il tutto tecnologicamente avanzato.
Una è Google, l’altra è Domino’s, non più Domino’s Pizza dopo l’introduzione di un menù variegato oltre la pizza.
Perché li mettiamo a confronto? Perché il 2016 ha segnato un risultato unico nel suo genere: le azioni di Domino’s hanno portato agli investitori un ritorno del 2.400%, a differenza di quelle di Google che hanno registrato solo un 1.554%, permettendo così un sorpasso proporzionalmente inaspettato della catena di fast food al king della tecnologia.
Andando nel profondo, comunque, Google non se la cava male con una capitalizzazione di oltre 500 miliardi a confronto degli 8 miliardi di Domino’s.
Quello che è davvero da evidenziare, è la crescita che dal 2010 ha registrato la catena di pizzerie, eletta tra i primi cinque eCommerce al mondo e con un fatturato che ha raggiunto 2,3 miliardi e ricavi per circa 200 milioni.
Il segreto di Domino’s è stato differenziarsi come il fast food della pizza e non come pizzeria napoletana, puntando quindi tutto sulla velocità, un po' come fu per gli hamburger di McDonald's: ordine e consegna, una scelta che ha ripagato in soli sei anni di crescita e dall’avvento di Doyle, CEO della compagnia.
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Domino’s: il fast food della pizza, ordine smart e consegna rapida
Differenziarsi è tutto per chi si lancia nel settore del food, soprattutto se il piatto preso in considerazione è la pizza, il cibo più conosciuto, mangiato, giudicato al mondo.
Proprio sul fare la differenza punta tutto Domino’s imponendosi nel mercato come fast food della pizza e quindi facendo della consegna a domicilio e del sistema di ordine customer friendly il suo punto di forza.
Tutto iniziò con la creazione di una macchina DXP pensata per le consegne a domicilio, cool e colorata: una monoposto per il trasporto di fino ad 80 pizze, mantenute al caldo e fragranti per il cliente che le ha ordinate, per poi passare agli ordini via emoji e alle consegne con i droni.
L’ordine via emoji è il secondo passo, preceduto dalla possibilità di ordinazione via app o con un tweet. Per ordinare 2.0 basterà preimpostare un proprio profilo all’interno della community della pizza, che verrà rispettato nel momento in cui si chiederà una consegna a domicilio attraverso l’emoticon della pizza; nulla vieterà di variare il proprio ordine, basterà farlo aggiungendo qualche parola in più e abbandonando per quella volta l’immagine.
La consegna via drone è un’opzione possibile se abiti in Nuova Zelanda, almeno per ora, e non cambierà nulla che riceverla a bordo di un pizza pony, solo che viaggerà in aria e non via terra e che atterrerà nel bel mezzo del cortile; il pizza robot è in via di lavorazione.
Ma il successo di Domino’s è dovuto solo alla sua differenziazione? Non solo, il punto di partenza è stato sicuramente quello di ammettere che il sapore della pizza non fosse esattamete gradevole e migliorare, quindi, ingredienti e sapori, accompagnando il tutto ad un restyling dei punti vendita, veri e propri luoghi in cui il cliente può vedere dal vivo come viene prodotta la sua pizza, immergendosi in un clima gioviale ed ospitale. composto da uno staff motivato e professionale. Insomma un’esperienza unica che ha aperto le porte al colosso mondiale allo sbarco in Italia.
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Crisis Communication: chi ce l’ha fatta e chi no
I social media si sono trasformati contemporaneamente in opportunità e minacce per le aziende, in particolare con riferimento alla relazione con utenti e clienti, liberi di dire quello che vogliono e quando vogliono, trasformando un piccolo errore in un vero e proprio caso di Crisis Communication.
Anche Domino’s è stata protagonista di un caso di Crisis Communication, quando i suoi clienti hanno iniziato a definire la sua pizza come un cartonato dal sapore di mozzarella e pomodoro. Patrick Doyle, però, non si è perso d’animo e, anzi, ha dato spazio ai suoi interlocutori, ascoltando le loro opinioni e realizzando così un prodotto nuovo e gustoso, tra i più mangiati al mondo.
Tre esempi della nostra storia recente ci dimostrano che da una crisi, anche internazionale, si può uscire grazie ad un’elevata reattività ed onestà e che “scaricare” le responsabilità non ripaga, mai.
Partiamo da chi ne è uscito felicemente citando il caso ENI e Moncler, brand internazionali che si sono trovati al centro di veri e propri scandali legati al loro business, ma che hanno salvato le penne grazie ad un team anti crisi pronto e a dare risposte che hanno tranquillizzato l’utente.
Nel primo caso è scesa in campo la Social TV, un servizio di Report sulla petrolificazione dei fondali da parte di ENI aggiunto al profilo Twitter delle controparti ha prodotto una lunga discussione, in cui ENI è stata più presente e reattiva, tanto da smentire le accuse mosse dalla trasmissione nei suoi confronti, con il risultato di portare in salvo la brand reputation aziendale.
Moncler - sempre protagonista di un servizio della trasmissione TV - è stata accusata di maltrattamento agli animali e delocalizzazione produttiva. Il brand si è dimostrato pronto a contrastare l’attacco pubblicando documenti ufficiali e coinvolgendo gli utenti su ogni mezzo di comunicazione a loro disposizione, facendo, quindi, della sinergia comunicativa il punto di forza.
Per Melegatti, invece, la situazione non si è risolta in modo ottimale, anzi: da una gaffe social ad un caso di omofobia il passo è stato rapido, ancor di più quando Melegatti ha cancellato il post e accusato la sua agenzia di comunicazione dell’accaduto. La lezione? Chiedere scusa in primis e prendersi le proprie responsabilità ripaga sempre.
Quello che abbiamo imparato? Puntare sui punti di forza e prendersi le proprie responsabilità ti porta a raggiungere obiettivi prima impensabili, anche se non sei Domino’s.