Nemmeno se sei a capo di una grande azienda come CEO o Amministratore Delegato puoi considerarti arrivato: la richiesta di abbandonare la tua posizione lavorativa in favore di un altro è sempre in agguato.
E così, si mormorano cambi al vertice per Twitter, PizzaBo e Ferragamo, mentre per Starbucks le cose sono state più semplici: l’attuale CEO Howard Schultz ha deciso di dimettersi volontariamente, non perché stesse facendo male il proprio lavoro.
Al contrario, Schultz ha preferito lasciare la poltrona al suo successore per potersi dedicare a pieno al nuovo piano di sviluppo del brand luxury cafè per una nuova fascia di clienti.
Le dimissioni del CEO di Starbucks e la strategia per l’espansione del mercato
L’azienda eletta tra le più profittevoli del 2016 sul mercato americano, con oltre 25.000 caffetterie in 75 Paesi del mondo, diversi progetti avviati nel campo del welfare sociale e un campus dedicato ai futuri baristi. Questo lo scenario che Howard Schultz ha deciso di abbandonare, lasciando il suo posto a Kevin Johnson, attuale direttore operativo di Starbucks.
Abbandonare, però, non è il termine più corretto per descrivere quello che il quasi-ex-CEO ha annunciato: non lascerà la compagnia, semplicemente lascerà il posto di leadership, per ritornare a sporcarsi le mani con il nuovo progetto che Starbucks ha in cantiere per il 2017.
Il brand aprirà store in grado di fornire un’esperienza di lusso ai clienti che potranno degustare un caffè riserva, ad un prezzo superiore, in un ambiente unico ed accogliente che li spinga a lasciare la cucina di casa per assaporare un caffè unico al bar.
Il progetto rappresenterà per il colosso del caffè internazionale un nuovo sbocco di mercato sia per i 1.000 negozi che intende aprire, sia per diversi corner che verranno installati negli store già presenti sul territorio.
Insomma niente licenziamento per il boss del caffè, solo un cambio di ruolo e nuovi colleghi.
LEGGI ANCHE: Prove di futuro da Pizza Hut a Shanghai con il robot cameriere
Retail, social e compagnie assicurative: tutti i cambi al vertice
Se in Starbucks le dimissioni di Schultz sono state volontarie, in alcuni casi è necessario correre ai ripari. A volte infatti il CEO può non essere la persona più adatta a portare al successo l’azienda.
Nessun settore escluso, ecco alcuni esempi del mondo nel campo retail, social e compagnie assicurative.
I primi due esempi che riportiamo riguardano aziende per le quali era necessario un ringiovanimento del business oppure un semplice cambio al vertice, nonostante l’andamento positivo: Sears Holdings Corp. e Ferragamo.
Sears Holdings Corp. è una realtà americana nata dalla fusione dei brand Sears e Kmart, una company leader nel settore outlet, spacci, negozi di bricolage, grandi magazzini che ha chiesto al suo CEO Eddie Lampert di dimettersi per la sopravvivenza dell’attività, dato che ormai i punti vendita vecchio stampo e poche nuove promozioni stanno portando l’azienda al declino.
Il secondo citato, il gruppo italiano Ferragamo, ha optato per un cambio in favore di Eraldo Poletto che ha preso il posto dell’uscente Michele Norsa.
Il gruppo che registra una posizione netta positiva di 15 milioni nonostante un fatturato in calo nei primi mesi del 2016 è in continua crescita soprattutto in riferimento al travel retail e ai ricavi da licenze.
Sui social è Twitter il grande protagonista guidato da Jack Dorsey, accusato di tenere un piede in due scarpe a causa del suo doppio ruolo di CEO sia in Twitter che in Square; la questione non riguarda tanto il presiedere due società, ma il fatto che questa situazione non permetta a Dorsey di fare bene il suo lavoro né in una né nell’altra compagnia.
Le cose per Twitter si stanno mettendo male: pochi nuovi utenti e pochi sponsor che fanno pensare ad una ristrutturazione aziendale o ad un cambio di rotta sulla gratuità del servizio con l’ipotesi di far pagare alle aziende che usano il social network come servizio Customer Care.
Nessuna decisione è stata ancora presa, ma il momento delle scelte per Dorsey sembra essere vicino.
Il terzo protagonista di un cambio di vertici è Admiral, grande gruppo assicurativo gallese, che ha visto arrivarsi le dimissioni del suo CEO Henry Engelhardt nel 2016. La vera notizia è che l’ex CEO e consorte, per premiare gli 8.000 dipendenti della compagnia hanno voluto donare 7 milioni di sterline con il risultato di un aumento in busta paga di 1.000 sterline ciascuno.
Filantropia? Quasi. Henry ha sempre deciso di investire nel capitale umano dell’azienda e questo è stato l’ultimo grande gesto per ringraziare chi ha lavorato per il gruppo nei suoi anni di carica.
Comparto Food, le dimissioni che lasciano l’amaro in bocca
Chipotle Mexican Grill, Whole Foods Market e PizzaBo gli altri nomi del cambio CEO nel settore food oltre a Starbucks.
Per Chipotle Mexican Grill e Whole Foods Market i problemi che hanno portato le dimissioni dei CEO in carica riguardano il peggioramento della qualità del cibo servito presso i locali della catena.
Per il primo sono stati registrati casi di cibo avvelenato che hanno portato accuse al consiglio direttivo della società: i clienti sostenevano, infatti, che la proprietà non annoverasse la sicurezza alimentare come un valore fondante.
Per quanto riguarda Whole Foods Market - la società che punta tutto sul cibo salutare fondata da Mackey nel 1980 - le accuse non si sono mosse nel campo dei prodotti in commercio, ma sul rapporto che la società instaura con i fornitori, estremizzato a favore di prodotti completamente incontaminati.
In casa PizzaBo non c’entra il prodotto o il rapporto con clienti e fornitori, ma Christian Sarcuni, fondatore e CEO della startup italiana, ha consegnato le sue dimissioni quando la sua azienda è stata venduta al colosso Just Eat. I motivi, in questo caso, sembrerebbero essere più ideologici che economici, dato che il torinese non ha mai voluto che la sua creatura venisse snaturata dal suo territorio italiano di nascita, compromettendo immagine e futuro dei lavoratori.
La risposta di Just Eat rassicura su questi ultimi due punti, ma il dato di fatto è che non troveremo più Sarcuni nell’organigramma societario.
Insomma lasciare la poltrona di CEO può essere una scelta a favore di nuovi progetti, come per Starbucks, oppure una necessità per non far fallire la società. Nessuno comunque è al sicuro, anche un CEO può essere messo alla porta.