Andrea Fontana, CEO presso Storyfactory e docente di Ninja Academy, ci svela alcuni segreti per fare narrazione di impresa in maniera efficace, passando da una story-telling ad una story-listening.
La dimensione della narrazione fa oramai parte del business plan delle aziende: come credi evolverà nei prossimi tre anni?
Non credo sia così. È corretto dire che la "dimensione narrativa” fa parte del business, ma non è ancora entrata in tutti i business plan aziendali. È una conoscenza estesa, ma non ancora una consapevolezza diffusa. Credo quindi che la vera evoluzione sia l’imporsi nei prossimi 3 anni della dimensione narrativa in tutti i business plan. Auspico anche, come sta iniziando ad accadere all’estero, che vi sia - organizzativamente parlando - una “direzione” o funzione specifica; cioè che possa essere creato un vero e proprio Corporate Storytelling Department, così come esiste la Funzione HR, la Funzione Marketing, la Funzione Comunicazione, etc.
Intravedo anche un’altra cosa, più problematica: a livello aziendale e/o istituzionale le organizzazioni si attrezzeranno sempre di più per fare narrazione con "scienza e competenza", mentre gli individui si preoccuperanno sempre meno di farla. O meglio a livello individuale il nostro racconto di vita sarà sempre più frantumato in un tecno-incoscio fatto di "set narrativi” (la foto del piatto, il retweet, la foto del panorama, il commento, la foto di piedi). Come si parleranno i racconti aziendali sempre più articolati e quelli individuali sempre più frammentati, sarà una grande sfida.
Infine vedo il nascere di quello che potremmo definire “Cognitive Storytelling”, ovvero le scienze narrative applicate al Cognitive Computing, alla IA e ai cosiddetti Big Data per leggere e capire quel tecno-inconscio accennato prima.
Quali sono i requisiti fondamentali per essere un narratore d'eccellenza e chi partecipa alla stesura del racconto in azienda?
Bisogna avere competenze specifiche. Articolate e rodate in anni di studio e lavoro. Un narratore eccellente scrive libri magari ma non fa Corporate Storytelling. Per fare storytelling d'impresa, innanzitutto bisogna essere strateghi aziendali e del racconto e avere competenze di direzione aziendale.
Poi bisogna saper scrivere narrativamente, inoltre occorre saper creare immaginari visivi con tutto quello che questa attività comporta, e infine bisogna avere competenze di design narrativo dei media.
Come si può capire un narratore così non esiste in una singola professionalità e non è più nemmeno un narratore, ma un esperto di scienze narrative che applica queste discipline alle diverse funzioni aziendali. Ciò significa che lo storytelling d’impresa è una attività tendenzialmente di gruppo o di team.
Non a caso, di solito, partecipano alla stesura di un racconto aziendale molte figure suddivise in due team di lavoro: interno ed esterno all'organizzazione. Nell’interno stanno coloro che hanno la ownership istituzionale del racconto: top manager, manager e professional, nell’esterno stanno le figure tecniche che si preoccupano di costruire strategie, contenuti, processi e strumenti del racconto aziendale.
Cosa dire e cosa non dire all'interno del racconto, consigli per l’uso
Cosa non dire: che si sta raccontando… Perché così si rompe la “magia". Come uno chef che spiega gli ingredienti della ricetta invece di far assaggiare il suo piatto. Cosa dire: bisogna sempre mettere in evidenza un problema, un conflitto, un dramma. Senza una criticità un racconto non esiste. E’ attraverso un problema risolto o un dramma elaborato che un racconto procede. E che diventa interessante e avvincente.
Target Audience e The Voice of Tone, come si possono individuare al meglio e in base a quali criteri?
Ecco questa è una bella domanda, peccato che sia posta secondo una logica da "marketing militarizzato". Per un esperto in narrazione d’impresa, infatti, il target non esiste più è una parola del secolo scorso, da mettere in un bel museo!
Esistono pubblici che vanno letti, compresi e rispettati. In questa logica l’unico criterio valido è la ricostruzione del racconto di vita dei propri pubblici se si vuole raccontare qualcosa di sensato a loro. Da questo punto di vista, la narrazione importate non è più la mia, ma la tua, se mi voglio raccontare a te. Ma qui sorge il problema: devo conoscere il tuo racconto di vita.
L’ossessione di uno storyteller è quindi lo story-listening cioè l’ascolto delle storie di vita delle persone a cui si vuole rivolgere. Per fare questo ci sono diversi format di analisi, che si declinano - sinteticamente - nel capire i grandi temi di vita e le grandi paure esistenziali dei propri lettori, perché è su questi che poi il racconto sarà definitivo.
Ci dai una anticipazione di uno degli aspetti cruciali che tratterai nel tuo modulo?
Ce ne sono molti.
Ne accenno tre:
- la story-ownership del racconto: di chi è? Definire questo, sopratutto nel Corporate è fondamentale
- la story-governance: per fare storytelling d’impresa ci sono processi e modelli che fanno managerialemnte governati: bisogna quindi conoscerli e saperli gestire
- lo story set-up: per costruire un racconto aziendali ci sono regole che vanno conosciute e applicate
Durante il mio modulo ci focalizzeremo in particolare su questi aspetti con casi, esempi ed esercitazioni.
Perché lo Storytelling è una scienza che diventa emozione.