Avete già sentito parlare di BIG JELLYFISH? No, non stiamo parlando di meduse, ma di un’agenzia tutta italiana che aiuta a rendere ancora più magico il mondo del cinema e delle serie tv.
Come? Con delle locandine a regola d’arte. BIG JELLYFISH® nasce nella camera di Daniele Moretti, oggi abile e stimato art designer che, fin dalla tenera età, ha coltivato la sua grande passione per il lavoro degli illustratori trasformandola nelle locandine dei suoi film preferiti.
"Copiavo le loro opere disegnando e appendevo i loro poster e i miei disegni sulla porta e sui muri della mia camera, non mi interessava se il film fosse bello o brutto, amavo i loro disegni. Artisti come Renato Casaro o Drew Struzan sono tutt’ora fonte d’ispirazione per me."
Un’ispirazione che, unita ad una grande esperienza nel mondo della creatività, ha portato Daniele a fondare l’agenzia che, tra i tanti lavori, si è occupata della realizzazione della locandina di "Lo chiamavano Jeeg Robot".
Abbiamo avuto il grande piacere di scambiare quattro chiacchiere con Daniele Moretti, ecco qui la nostra intervista:
Ciao Daniele, parlaci di BIG JELLYFISH. Come nasce, qual è la sua storia?
BIG JELLYFISH nasce non appena compresi che era arrivato il momento di crescere. Per molti anni ho lavorato come dipendente, finché le cose non andavano così male che il salto nel buio era l’unica soluzione possibile. Spesso per fare la scelta giusta devi essere messo alle corde.
Da "Gomorra" a "Lo chiamavano Jeeg Robot": da cosa vi lasciate ispirare per realizzare le creatività?
Inutile negarlo, il lavoro che svolgono grandi agenzie di L.A. o più vicino di Londra e Parigi sono senza dubbio un punto di riferimento, e lo sono per un motivo molto semplice: curano il loro prodotto, impiegano risorse e fanno della qualità un obiettivo. D'altronde se si fa un lavoro che sai che tutto il mondo guarderà, criticherà o amerà perché farlo male?
Sentono la responsabilità che gli è stata affidata e il livello tende sempre al massimo, arrivarci poi è un altro discorso ma non si può negare che anche per produzioni minori il gusto estetico e le capacità tecniche sono di alto livello. Questo per quanto riguarda il look generale, poi c’è la specificità del film che porta con sé idee, suggerisce la strada, ti trasmette delle emozioni e bisogna lavorare un po’ su quelle.
Cerco di lasciarmi influenzare da tutto, se trovo delle similitudini con altri film, fumetti o serie vado a vedere come sono state realizzate, come hanno risolto alcuni problemi; osservare costantemente il lavoro degli altri, in ogni campo visivo e artistico è per me un punto fondamentale e una delle parti più interessanti del mio work flow, contribuisce alla mia crescita personale e spesso ti offre delle soluzioni ponendoti di fronte ad altre domande.
LEGGI ANCHE: Jeeg Robot, tutto il marketing del supereroe
Qual è la difficoltà più grande da affrontare, da un punto di vista comunicativo?
Cosa deve raccontare una locandina? È questa la grande domanda e la risposta è 42. Una domanda a cui a cascata si aggiungono “Cosa vuole che racconti per la distribuzione” e “Cosa vuole che racconti per il regista” e la risposta è sempre 42 [fa riferimento al libro Guida galattica per autostoppisti, ndr]
Quindi la confusione è sempre molta. Un film ti lascia delle sensazioni e colpisce in maniera diversa sensibilità diverse. La difficoltà maggiore è raccogliere tanti feedback da più parti, spesso contrastanti e cercare di dare una rotta unica a tutto il progetto. All'inizio si va un po’ per tentativi perché la mia visione può essere diametralmente opposta a quella di chi ti commissiona il lavoro; cerco sempre di trovare una strada comune che non cerchi solo di mettere d'accordo tutti ma che sia anche bella. Il più delle volte ci si riesce e dalla confusione iniziale si esce con la calma dell’obiettivo raggiunto.
Quale progetto ti piacerebbe realizzare in futuro? E quale invece avreste voluto realizzare?
Mi auguro prima di tutto che i film di genere prendano nuovamente il posto che meritano nella produzione cinematografica italiana. Sarebbe come aprire le finestre in una stanza rimasta chiusa troppo al lungo. L’aria che si respirerà sarà così fresca e creativa che ogni progetto ne trarrà il suo beneficio.
Detto questo, un bel film Western mi gaserebbe da morire: mi vedo già chiuso con lo stereo a palla e Ennio Morricone nel petto. In realtà lo faccio a prescindere dal film ma con un western funzionerebbe meglio. Alla seconda domanda, giusto per sognare, Suicide Squad: stanno facendo un lavoro talmente folle che hanno tutta la mia stima e invidia.
Quella delle locandine cinematografiche nel corso della storia del cinema è diventata una vera e propria arte da collezione. Perché, secondo te?
Credo che le locandine, anzi solo le belle locandine, riescano a comunicare qualcosa che va oltre il film, un po’ come un quadro che restituisce all'osservatore molto più di quanto l’artista stesso volesse esprimere. Molte locandine sopravvivono ai film che promuovono, alcune diventano iconiche perché il film le ha rese tali, altre invece brillano di luce propria.
Dietro un artwork, passato o moderno, spesso si nascondono dei gioielli artistici. L’arte si nutre di arte e questo da sempre. Il cinema nutre la sensibilità artistica della persona che lavora dietro una locandina, e non di rado il risultato è straordinario.