Si chiama Watermelon, WTRMLN WTR, e il suo progetto è quello di spremere le angurie imperfette e renderle elisir di idratazione. Ma la startup statunitense in cui ha investito Beyoncé è solo l’ultima arrivata in un settore, quello del riciclo e del riutilizzo, che da qualche anno sta assumendo sempre maggiore importanza: a partire dalle startup nate all'interno di EXPO2015, fino ad aziende impegnate nel fashion consapevole, tutti sembrano puntare su un futuro green e locale, vip compresi.
Beyoncé e il suo investimento “brutto ma buono” nella startup WTRMLN WTR
Proprio la scorsa settimana l’annuncio: Beyoncé ha investito parte del suo patrimonio nella startup tutta al femminile di Jody Levy e Harlan Berger la cui mission è andare oltre le apparenze e produrre succo di anguria partendo da frutti scartati dal mercato distributivo perché imperfetti.
La star ha deciso di investire in questo progetto per supportare la startup protagonista della valorizzazione del territorio e del lavoro locale, con una particolare attenzione alla leadership femminile, all’idratazione naturale e al benessere del pianeta.
Brutti, ma buoni e salutari. È questo il valore che le fondatrici vogliono trasmettere ai loro consumatori, sempre più attenti ad un prodotto genuino e locale, composto soltanto da succo di anguria e un pizzico di limone, ma che racchiude in sé diverse sostanze nutritive e minerali necessarie ad un’alimentazione sana ed equilibrata, sia per la vita di tutti i giorni, sia per l’attività fisica.
WTRMLN WTR assorbe dal mercato tutte quelle angurie imperfette nella forma, ma che conservano i loro valori nutrizionali una volta spremute e imbottigliate in un packaging eco-friendly senza l’aggiunta di coloranti, zuccheri o conservanti.
Gli scarti di spremitura? Mangime per animali. Con un indice del 99% di utilizzo per ogni anguria assorbita dal processo produttivo.
Consumo consapevole, rispetto dell’ambiente e dell’economia locale, un prodotto buono e una leadership femminile, tutto questo è WTRMLN WTR, la startup del succo d’anguria.
Scarti alimentari? Non chiamateli sprechi
Economia circolare, è chiamata così l’economia che si basa sul riutilizzo degli scarti di lavorazione, alimentari o industriali, che permetterebbe di risparmiare circa 604 miliardi di euro alle imprese europee ogni anno. Scarti che, grazie a nuove lavorazioni, prendono nuova vita, anche in settori diversi da quelli di origine, come Polìpo che trasforma scarti di origine animale in bioplastiche, o Greenwolf in cui la lana di scarto proveniente soprattutto dall’industria di trasformazione alimentare si trasforma in concime naturale.
Importante, soprattutto nel campo dell’economia di riutilizzo degli scarti alimentari, è stata l’edizione di Expo 2015 con il motto “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”, in cui i progetti partecipanti al concorso Alimenta2Talent si sono caratterizzati proprio per la progettazione di idee di riciclo partendo dal tema dell’esposizione internazionale. Cinque vincitori (Agricoltura 2.0, Anagramma srl, NAM, Outdoors Safe Food, Quomi) che si sono contraddistinti per l’attenzione posta sul consumatore e sul pianeta, verso un’alimentazione consapevole.
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Nell'ecosistema degli orti urbani e delle coltivazioni cittadine, poi, nasce Funghi Espresso, la startup che fa crescere i funghi concimandoli con i fondi di caffè di bar e ristoranti, un potenziale finora inespresso di 300mila tonnellate di scarti. Il progetto è appena partito, ma i fondatori, Antonio di Giovanni e Vincenzo Sangiovanni, contano di fare il giro di boa vendendo kit di auto-produzione del prodotto sia in ambiente domestico che negli esercizi pubblici come bar e ristoranti, oltre a percorsi di formazione e all’esportazione del modello all’estero.
Da cibo a nuovo cibo, il progetto Save, dal sapore tutto siciliano, è nato per ritirare dal mercato lo scarto alimentare e trasformarlo in mangime per animali, ovviamente dopo essere stato opportunamente trattato e disidratato. La startup si muove da Sud a Nord con il coinvolgimento dell’Università di Parma per implementare le tecniche di lavorazione apportando benefici sia all’operatore commerciale, che agli allevamenti e ai Comuni, oltre che all’ambiente grazie ad un’importante riduzione degli sprechi.
Infine, MyFoody, la spesa del futuro, in cui, attraverso un portale, venditori ed acquirenti sono messi in contatto per transare merce sull’orlo della scadenza a prezzi scontati, per il consumatore. Il cliente può trovare il punto vendita più vicino a sé iniziando già da subito a prenotare i suoi prodotti da ritirare poi presso il negozio; l’esercente, dalla sua parte, ha il vantaggio di ricevere incassi aggiuntivi con una rete di nuovi potenziali clienti, tagliando sprechi e costi.
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Da H&M a Qmilk tutti i progetti di fashion cosciente
Si parla del riciclo anche nel fashion, e non solo perché gli anni '90 con i pantaloni a zampa sono tornati di moda, ma perché anche le fibre di cotone già filate una volta possono essere riutilizzate una seconda volta, o perché scarti alimentari possono diventare fibre tessili o accessori cool.
Il fashion consapevole colpisce sì i grandi marchi, ma favorisce anche la nascita di startup o stilisti che fanno dell’economia circolare la loro firma.
Iniziando a parlare di grandi nomi, un’iniziativa abbastanza recente è quella di H&M, in cui il progetto “H&M Conscious” si fonda su un motto ben chiarodel CEO Karl-Johan Persson: H&M ha raccolto la sfida di rendere sostenibile la moda e di rendere alla moda la sostenibilità. Sette pilastri che vogliono contribuire a rendere la moda più sostenibile da parte del brand come del consumatore finale che è invitato ad acquistare capi “conscious”, quindi creati a partire da tessuti di secondo utilizzo ed etichettati in verde, o a portare in negozio abbigliamento dismesso perché le fibre vengano riciclate. Il brand Svedese, oltre a promuovere azioni in modo diretto, assegna ogni anno il premio Globe Change Award a quel progetto in grado di creare un fashion sostenibile e consapevole. Quest’anno la vittoria è andata ad una startup in grado di trasformare il cotone di scarto in un nuovo tessuto.
Parlando invece di startup emergenti nell'ambito di nuovi tessuti riciclati, non si può non citare Orange Fiber, diventata famosa per creare un tessuto sostenibile con gli agrumi, o Bio Trimmings Project dove il fashion si fa con gli scarti alimentari domestici.
E ancora possiamo mYak, la startup dei capi e del tessile Made in Italy, ma la cui materia prima arriva direttamente dal Tibet. Il team, infatti, raccoglie il vello dei baby yak e delle capre cashmere che gli animali perdono durante la tradizionale pettinatura sugli altopiani tibetani e lo lavora ai piedi delle Alpi nelle più tradizionali tessiture italiane.
Infine troviamo Frumat e Qumilk in cui la materia prima per i tessuti è la mela ed il latte. L’italiana Frumat ci racconta della Cartamela e della Pellemela, entrambe composte in elevata percentuale da bucce e torsoli di mela. Nel primo caso si tratta di vera e propria carta utilizzata per tovagliato o carta igienica, mentre nel secondo di pelle ecologica composta al 30% di scarti di mela. Qumilk, invece, ha antenati italiani, ma è una startup tedesca in grado di trasformare gli scarti industriali del latte in caseina, una fibra simile alla lana ecologica e proteica impiegata dal campo della moda a quello medico-ospedaliero.