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Tech

Pinkification, donne e programmazione: che cosa stiamo sbagliando?

Perché le donne capaci di programmare sono molte meno rispetto agli anni ottanta? E, soprattutto, come si fa a colmare il gap senza ricorrere necessariamente ai toni e al colore femminile per eccellenza?

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Noemi Borghese 

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Pubblicato il 04/02/2016

Probabilmente la questione di cui si parla nel pezzo di Mashable 'To let girls in, the tech industry is thinking pink. But that isn't enough' potrebbe risultare molto poco familiare in Italia, paese che non brilla, tra tutti, per le misure relative al Gender Gap, ma in molti paesi sviluppati – USA in primis – si discute da molto tempo del numero di donne che si occupano di programmazione.

Una delle questioni che salta all’occhio facilmente, è che, contrariamente a quanto potremmo pensare, la percentuale di donne che si occupano di coding non è cresciuta negli ultimi anni - al contrario.

Da metà degli anni ’80 il numero di ragazze è crollato quasi vertiginosamente, come è stato esposto in grafico in questo articolo, e molti hanno cominciato a chiedersene il motivo. Uno studio della British Columbia ha individuato, tra i diversi possibili motivi, anche quello per cui, mentre per gli uomini i computer sono giocattoli – toys – per le donne sono strumenti – tools – e che quindi le seconde non vi si dedicano con la stessa passione come i primi.

Computer: troppo noiosi - o difficili - per le ragazze?

pinkification-donne-tecnologia-cosa-stiamo-sbagliando

Ancora secondo NPR.org, parte della ragione potrebbe risiedere nel fatto che è stato proprio negli anni ’80 che le storie a cui tutti abbiamo assistito al cinema e in TV ci hanno raccontato di ragazzini fanatici della tecnologia e studenti nerd sempre e soltanto di sesso maschile – non ti dice niente War Games? E La rivincita dei nerd?

Il risultato è che, nel 2013, solo il 18% dei laureati con una laurea informatica negli Stati Uniti erano donne.

#MarkZuckerberg’s advice to girls: be nerds https://t.co/oiPW9YVFD7 #tech #gender pic.twitter.com/ve7JkUi2Gg

— World Economic Forum (@wef) 9 Gennaio 2016

Alle ragazze, dunque, si insegna sin da bambine che la matematica e la scienza sono per maschi, almeno questo è accaduto in quei decenni (80, 90 e anche primi anni del 2000) per cui succede che, a volte, quelle pochissime ragazze che impiegano gli anni degli studi al settore tech, entrano a lavorare in grandi aziende soltanto grazie alla politica delle quote rosa, quasi fosse un contentino per lo sforzo.

LEGGI ANCHE: Girls in Tech: la lista delle giovani founders italiane

Pinkification: la tecnologia si tinge di rosa

Black Girls Code / Flickr

Black Girls Code / Flickr

Una delle soluzioni più adottate, giunti a questo punto, è sicuramente la pinkification: in pratica si tratta di dedicare spazi e ambienti appositi per le ragazze e alle donne, in questo caso nella tecnologia, creando un ambiente accogliente, carino, in cui domina il colore rosa, usato per attrarre e non spaventare.

Ma ha davvero senso accogliere ed educare le donne alla programmazione a colpi di slogan carini e comunicazione sui toni del rosa?

L'idea in sé è, se non pericolosa, piuttosto stantia, e risiede nell’abitudine che abbiamo di catturare l'interesse delle donne e delle ragazze con i colori che approverebbero in casa Barbie: facendo in sostanza lo stesso errore che ha causato quel calo vertiginoso verificatosi negli ultimi decenni.

Nel film documentario CodeGirl, una delle partecipanti al Technovation Challenge, in cui diversi team di ragazze competono per creare applicazioni – dichiara: "Mi sono accorta che l’elemento su cui tendono a concentrarsi è il 'fattore grazioso' " riferendosi ad organizzazioni ed eventi creati per promuovere il ruolo delle ragazze nella tecnologia "ma in questo modo si trovano ad essere distratti da fattori esterni che distolgono l’attenzione dalla capacità e dalla abilità nella programmazione delle ragazze".

Insomma, dire "sei una ragazza che programma", non è la stessa cosa che dire "sei un programmatore”, e questo modo di affrontare la cosa non fa che rendere molte di queste iniziative dei veri e propri specchietti per le allodole.

Ovviamente, non tutti vedono che l'enfasi come una cosa negativa: Shapeways, una società che si occupa di stampa 3D, è a capo (in collaborazione con Google, dal 2014 che parte della società) di Made with Code. La partnership ha permesso a molte ragazze di scrivere codici per la progettazione di bracciali 3D stampabili online.

Nel corso della partnership di sei mesi, la società ha stampato più di 250.000 braccialetti progettati attraverso Made with Code. Mansee Muzumdar, PR di Shapeways, difende l’idea, sostenendo che abbia comunque portato alla realizzazione di prodotti tangibili e che quindi si tratti di un’iniziativa concreta e positiva.

"La ”Pinkification” non è necessariamente una cosa negativa; a me piacciono i gioielli, sono una donna femminile. Se fossi più giovane, per me questo sarebbe stata un’opportunità di entrare nel settore. E penso che, per alcune ragazze, stia funzionando."

Chiaramente la sfumatura – di rosa – sfugge: il problema non è che le ragazze non dovrebbero essere interessate a disegnare braccialetti in 3D o adorare il colore rosa. Il problema è che non dovrebbero essere intrappolate all’interno di confini rosa, come se questo fosse l'unico modo per rendere attraente il mondo del codice per le donne.

LEGGI ANCHE: You can be anything: Barbie ed il Girl Power

Basta Rosa. C’è tutto un Pantone lì fuori!

Video conference with coworkers from abroad

Video conference with coworkers from abroad

Emily Reid, direttore del programma di studi Girls Who code, sostiene che la tendenza alla pinkification nasce da un’intenzione di per sé buona, ossia andare a prendere le ragazze dove pensiamo che siano. Il problema? Spesso le ragazze non sono lì dove pensiamo - sempre nella casa di Barbie di cui sopra :) . Ma allora, quale è la strategia che può funzionare? Secondo Reid, essa passa attraverso la creazione di un ambiente inclusivo, interdisciplinare e solidale. Dopo l’esperienza in Girls Who Code, il 90% delle ragazze del programma ha continuato ad interessarsi all’informatica. E ha aggiunto:

"E non abbiamo avuto bisogno di laptop rosa di farlo."

Kimberly Bryant, fondatore di Black girls code, dice che l'organizzazione utilizza il colore rosa per comunicare e rendere unici i propri valori, le attività e gli eventi.

"Ci sono elementi che abbiamo, come le nostre camicie e il nostro logo del marchio, che sono di colore rosa>> dice Bryant <<Sono cose da ragazza, le cose che le ragazze vorrebbero, e questo è soltanto quello che serve per creare un ambiente confortevole, per sostenere un ambiente che va contro la narrazione dominante."

Dalle parole di Bryant, insomma, sembra quasi che il rosa sia un colore rivoluzionario!

Black Girls codice si è concentrata su tematiche sociali nella sua programmazione, dando spazio a quella tendenza molto femminile all’impegno sociale. In poche parole un gap c’è, e probabilmente ci sarà per molto ancora: mentre i ragazzi sono incoraggiati a codificare per la creazione di una vasta gamma di giochi e applicazioni, il ruolo delle ragazze nella tecnologia è aggravato da un peso, tutto femminile: l'onere di risolvere i problemi e prendersi cura della comunità. In questo modo, le organizzazioni provano ad avvicinarsi al genere nella speranza di catturare ragazze, dando loro la possibilità di coltivare il proprio lato altruista.

A conclusione, mi sento di dire: il problema non è che le ragazze siano disinteressate a priori nella codifica perché è una cosa da maschi. Il problema è che le ragazze non sono incoraggiate, in linea di massima, ad essere valutate come pensatori tecnici fin da quando sono bambine. Neanche da coloro che dovrebbero trattarle come tali.

E tu, che ne pensi? Cosa aiuterebbe le donne a sentirsi davvero integrate in un settore ancora così 'maschile'?

Scritto da

Noemi Borghese 

Laureata in beni culturali e consumatrice accanita di serie tv, sono approdata nel 2013 al web marketing per una naturale propensione alla rottura sistematica di scatole, atti… continua

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