Arrivata all'improvviso sulle prime pagine dei giornali grazie alle polemiche intorno al servizio offerto da Uber, in particolare a Milano, Letzgo parte in realtà da un'idea molto diversa da quella del noto servizio californiano.
Nella nostra chiacchierata Davide Ghezzi, founder e CEO di Letzgo, ci ha tenuto a sottolinearlo: "Offriamo un servizio di car pooling, rispettando le normative sui trasporti".
L'idea di Letzgo è nata molto semplicemente, guardando le macchine ferme ai semafori in viale Papiniano a Milano. Una decina di anni fa Davide ha notato che il 90% di queste macchine avevano quattro posti liberi, cioè trasportavano solo l'autista. Lui era in ritardo, aveva bisogno di andare da un posto ad un altro e si chiedeva perché non potesse chiedere un passaggio a qualcuno che andava nella sua stessa direzione.
Poi sono arrivati gli smartphone, che hanno permesso di geolocalizzare i passeggeri che vogliono salire su quelle macchine e i driver che sono disposti a cedere uno dei loro posti, condividendo la stessa direzione di marcia.
L'unione tra la frustrazione per questa mobilità urbana poco efficiente e la tecnologia, che ha reso possibile una nuova fiducia nel prossimo, ha permesso di ideare e creare Letzgo.
"L'aspetto più importante di Letzgo credo che sia proprio questo: la tecnologia e la sharing economy abilitano una fiducia verso il prossimo che abbiamo già innata in noi. Il potere delle community della sharing economy è proprio quello di far leva sulla fiducia tra le persone e sulla possibilità di selezione all'interno delle stesse community". Spiega Davide, ispirato, qualche anno dopo anche dall'esempio di Airbnb.
Le principali differenze con Uber e l'importanza dell'aspetto social di questa startup ce le ha spiegate proprio il founder di Letzgo.
Quali sono le differenze tra Letzgo e Uber? Ti aspetti le stesse reazioni controverse?
Letzgo è un servizio molto simile a Uber per quanto riguarda l'esigenza delle persone di muoversi nelle città, ma nel nostro caso tutto avviene attraverso un'app. Ci sono delle somiglianze chiare dal punto di vista dell'esperienza del passeggero, ma le vere differenze stanno nel fatto che noi ci uniformiamo alle caratteristiche del car pooling.
Letzgo, infatti, ha studiato per due anni, con un gruppo di legali esperti di digitale e di normativa sulla mobilità, una struttura che potesse essere legale. Per fare ciò abbiamo scelto di impostare il servizio sulla normativa del car pooling a livello europeo.
Una delle maggiori differenze con Uber è proprio questa: il passeggero indica il posto in cui deve andare, che è uno dei dati fondamentali per parlare di car pooling. Mentre in altri servizi è il guidatore a stabilire la destinazione e il passeggero lo segue, nel caso di Letzgo avviene il contrario: è il passeggero a dire dove deve andare e il guidatore, se e solo se sta facendo quella tratta, lo carica a bordo.
LEGGI ANCHE: Come la Sharing Economy può salvarci dalla crisi economica
La seconda vera differenza è che Letzgo nasce anche come una community di amici e quindi il pagamento della corsa è facoltativo e indicativo.
L'importo è volontario e libero, ma naturalmente Letzgo indica da subito un valore di rimborso spese che sia il passeggero che il driver condividono prima di accettare la corsa. Il passeggero, alla fine della corsa, può decidere se lasciare quell'importo, o se corrispondere di più o di meno, rispetto a quelli che crede siano stati i costi realmente sostenuti da parte del driver. In pratica, è un po' come quando si va in macchina con amici e si lascia la cifra che si ritiene sia ragionevole.
Rispetto a Uber non ci aspettiamo problemi. Senz'altro pensiamo che la mobilità negli ultimi cinquant'anni non abbia avuto nessun tipo di innovazione e vogliamo essere parte di questo cambiamento che come sempre sta arrivando dalla California, ma anche dalla Francia, e che noi vediamo come inarrestabile.
La mobilità a livello urbano avrà degli attriti, questo è fuori discussione, ma non ci aspettiamo la reazione che c'è stata per Uber, anche e soprattutto perché la nostra non è una vera e propria tariffa.
L'esigenza a cui risponde Letzgo è quella della mobilità urbana, come Uber e come altri servizi. La differenza, che viene anche indicata dall'Autorità di Regolazione dei Trasporti, che negli ultimi tre mesi si è molto battuta per innovare la mobilità urbana, è che questo tipo di servizi sono complementari rispetto alla normale mobilità, cioè soddisfano una domanda che non verrebbe soddisfatta dai normali servizi già esistenti. Si tratta di una domanda più giovane, perché i rimborsi sono più economici, e quindi va investire un'utenza che comunque non userebbe un servizio più costoso come quello dei taxi.
Questo è il motivo per cui crediamo che community come Letzgo avranno supporto da parte delle autorità che dovranno essere chiamate a gestire le aree grigie che ci sono.
Letzgo adotta la filosofia della sharing economy, ma punta anche sul suo animo social. Cosa rende vincente questa accoppiata?
Questi due concetti sono nati insieme: il fatto che le persone si incontrino sempre di più sui social, quindi senza un vero e proprio contatto umano, fa crescere un'esigenza di contatto umano in modalità nuove. BlaBlaCar, Letzgo sono tutti casi in cui per soddisfare l'esigenza di muoversi si può approfittare di un momento per conoscere qualcuno di nuovo, all'interno di una community, dunque sempre in un circuito "protetto".
Si può parlare di un vero e proprio risvolto naturale della crescita dei social online: il fatto che si sia pronti a conoscere altre persone è uno dei punti di forza di questi servizi, è quello che li fa funzionare.
Quando mi è venuta in mente l'idea di Letzgo pensavo proprio a queste necessità: muoversi e conoscere altre persone. L'unione delle due esigenze, insieme ad uno sfruttamento più conveniente delle risorse ha dato vita a questa startup.
In America ho cominciato a lavorare ad un servizio che si chiamava Ambrogio, dopo pochi mesi sono nate delle community, la più importante delle quali si chiama Lyft, che avevano come caratteristica un senso molto forte della community. Ecco, diciamo che anche quella è stata un po' un'ispirazione e una conferma dell'aspetto social così importante.
Utilizzare il car pooling per muoversi è più utile, più sostenibile o semplicemente più cool?
Secondo me utilizzare il car pooling è veramente cool! Ma soprattutto cool è come vogliamo farlo diventare.
Prima di raggiungere questo obiettivo c'è ovviamente un tema di efficienza che va affrontato, ma il vero successo di queste community sta proprio in quanto è divertente tutta l'esperienza.
Innanzitutto il servizio deve funzionare, quindi c'è un'esigenza di utilità dalla quale non si può prescindere, ma il successo è dato proprio dalla capacità di distinguersi dai mezzi di trasporto tradizionali.
LEGGI ANCHE: Sharing Economy: i trasporti costano meno grazie alle startup italiane
Siamo concentrati sull'efficienza del servizio, ma il fatto di essere un servizio divertente è quello su cui ci stiamo focalizzando ora, magari portando avanti idee provocatorie e interessanti.
I driver di Lyft, ad esempio, mettevano enormi baffi rosa sui radiatori delle loro macchine. Ora sono stati eliminati perché erano un po' troppo appariscenti, ma quei baffi hanno contribuito a creare la community. Noi siamo proprio a questo punto.
A differenza di Uber, la tariffa sulle auto in car pooling di Letzgo è su base volontaria. Il vostro business model è abbastanza forte per offrire questa possibilità agli utenti?
Io credo profondamente che la sharing economy renda possibili business model impensabili fino a qualche tempo fa.
Il comportamento opportunista all'interno della sharing economy e delle sue community non funziona a medio e lungo termine. L'esempio più calzante è proprio quello del viaggio condiviso con un amico: se il nostro amico non dividerà le spese, probabilmente dopo il primo o il secondo passaggio non sarà più preso a bordo.
Nel medio e lungo periodo questi business saranno invece sostenibili perché la community selezionerà in modo del tutto naturale le persone più corrette.
La community di passeggeri e di driver di Letzgo lo sta già facendo, selezionando chi effettivamente paga il rimborso pattuito prima della corsa.
Il nostro business model è molto stabile e testato: a partire da settembre noi prenderemo il 20% di qualsiasi rimborso. Quindi sempre proporzionale rispetto alle corse.
Davide Ghezzi, giovane ma non proprio adolescente. Letzgo un progetto che porti avanti dal 2013. Ci vuole pazienza per portare davvero una startup al successo?
Tantissima! Fortunatamente io avevo delle esperienze solide di partenza: ho lavorato prima a Londra in una Banca d'affari, poi ho fatto parte di una società di energie rinnovabili tra Londra, la Romania e l'Italia, e quindi sapevo già a cosa andavo incontro.
Un progetto di questo tipo è molto più complicato e ambizioso perché va a toccare un'innovazione che ha già avuto molto successo in città come Milano, ma che non è più stata toccata.
L'età è molto utile per l'esperienza e per imparare a non demordere, ma soprattutto per avere uno standing diverso rispetto a investitori e interlocutori. In Italia le cose stanno molto cambiando, ma è ancora importante dimostrare di aver fatto bene in passato per poter convincere un investitore a darti dei soldi e portare avanti la tua idea.
Già durante l'università, nel 1999, avevo creato una società che si chiamava Cellulari.it, ma nessuno credeva a dei ragazzini. Non c'era quella fiducia che è arrivata con l'esperienza, anche se alla fine la società è andata avanti ed è stata anche venduta.
Per questo ho cercato col tempo di fare esperienze che potessero darmi un curriculum tale da permettermi di presentarmi in modo diverso davanti a chi mi doveva aiutare a partire o a sviluppare l'idea. Parlo di stakeholder davvero molto vari, dagli investitori di diverso tipo, agli amministratori pubblici, fino ai ministri.
Oggi anche i ragazzi più giovani, per fortuna, sono più ascoltati, sintomo che qualcosa sta davvero cambiando.