La scelta del loro brand name pesa come un macigno. Gengis Khan, condottiero e sovrano mongolo nonché fondatore dell’Impero più vasto delle storia dell’uomo, è tutt’ora una leggenda asiatica, un nome che difficilmente si può scordare.
Vero anche che questo team, fatto da contemporanei Gengis Kha(Va)n, ha le idee ben chiare riguardo ai propri progetti.
Gengis Van è un team formato da Luca Marnetto, Lorenzo Monacelli, Manlio Garrone e Marco Scicchitano, che parteciperà al Mongolia Charity Rally, un incredibile viaggio a scopo benefico da compiere rigorosamente in automobile, lungo una rotta intercontinentale di circa 13.000 km che percorre più di 13 paesi attraversando catene montuose, deserti, e i luoghi più aridi e inospitali del pianeta, per concludersi nell’antica capitale della Mongolia: Ulan Bator.
Il Mongolia Charity Rally è stato ideato dalla onlus inglese Go Help con lo scopo di raccogliere fondi per sostenere i suoi progetti in Mongolia.
Ogni team iscritto ha un duplice compito: raccogliere almeno 1.300 euro da donare per sostenere i progetti della onlus e trasferire in Mongolia un veicolo da donare alla popolazione locale.
Il progetto di Gengis Van dentro il progetto di Go Help
Grazie alle competenze di Lorenzo Monacelli, fotografo e video maker professionista, e all’aiuto di Libera Università del Cinema, il team Gengis Van vorrebbe documentare la loro esperienza per diffonderla in una mostra video-fotografica per ottenere ulteriori fondi da donare in beneficenza.
A questo proposito hanno avviato una campagna di crowdfunding, attraverso la piattaforma Limoney, per coprire i costi residui del viaggio chiedendo altri 4.000 euro.
Abbiamo contattato un membro del team, Lorenzo Monacelli, per farci spiegare i motivi di questo viaggio.
Ciao Lorenzo, meritate un plauso per il vostro coraggio e per la vostra tenacia, ma ho alcune curiosità: nel vostro sito si legge: “dodici anni di amicizia”, come è nato il team Gengis Van, vi rifate a qualcuno che ha intrapreso un’impresa simile?
Grazie per il plauso, ma non parlerei di coraggio; forse più di incoscienza. Il coraggio verrà tra un po’ (si spera), quando cominceremo realmente a misurarci con le difficoltà concrete di quest’impresa, che finora possiamo solo immaginare.
Ad oggi mi limiterei alla tenacia; di quella sì ne abbiamo da vendere tutti e quattro.
Questo viaggio partirà effettivamente ad Agosto, ma è da Ottobre che pianifichiamo, raccogliamo fondi, cerchiamo contatti, sponsor, partecipiamo ad eventi e ne organizziamo di nostri, l tutto mentre portiamo avanti i nostri studi (qualcuno si è laureato), i nostri lavori e le nostre vite.
Di porte in faccia ne abbiamo prese (e ne continuiamo a prendere) un’enormità, di errori ne abbiamo fatti tanti, ma siamo sempre ripartiti dal team; da noi quattro e dagli amici che ci supportano. Ci vediamo, parliamo, cerchiamo di imparare la lezione e ripartiamo.Tutto ciò è possibile grazie soprattutto a quei famosi “12 anni di amicizia” che non avevamo neanche mai contato prima di doverlo scrivere sul sito.
Il Gengis Van nasce da lì: l’idea era di fare un lungo, avventuroso viaggio con gli amici, come ne abbiamo già fatti, spingendoci questa volta un po’ più in là.
L’idea del Mongolia Charity Rally l’ha proposta il buon Marco, quello grosso e barbuto; all’inizio il team era ben più numeroso, ma purtroppo il fatto di doversi vincolare con tanto anticipo e di doversi spendere tanto nell’organizzazione per i mesi a seguire, ha reso impossibile la partecipazione di tutti; così, al momento dell’iscrizione, eravamo noi quattro.
Il Gengis Van è quindi un piccolo nucleo di un gruppo di amici ben più esteso che collabora attivamente con noi aiutandoci ad organizzare, a coinvolgere gente, a raccogliere fondi (donandoli, spesso e volentieri) e anche nella scelta del nome. “Gengis Van” è infatti un’idea del nostro amico Niccolò Rossi, ed è stato scelto tra varie proposte coinvolgendo gli amici che ci seguono da prima che questa pazzia iniziasse.
Il richiamo è ovviamente a Gengis Khan, condottiero nonché fondatore e sovrano dell’Impero Mongolo, e al Van che speriamo di trovare presto.
Dire che il nostro viaggio è paragonabile alle sue imprese fa benissimo al nostro ego, per carità, ma ci limitiamo a dircelo tra di noi e per crederci dobbiamo essere almeno al quinto bicchiere di rosso.
Ci sono molti modi per fare beneficenza. Perché affrontare un viaggio di 13.000 km in un contesto così pericoloso, quali sono i motivi personali che vi hanno spinto ad affrontare un’avventura simile?
Questa domanda ce la fanno spesso in molti (le nostre madri ogni giorno).
Tutto parte dal desiderio di viaggiare come occasione di una duplice scoperta: quella “esterna” di una parte più o meno piccola di mondo, e quella “interiore” di una parte più o meno piccola di noi stessi.
Entrambi i tipi di scoperta pensiamo avvengano insieme e siano proporzionali a quanto si decide di faticare, sporcarsi, mettersi in discussione, rinunciando il più possibile a ciò a cui siamo abituati, incluse, oltre alle comodità, anche le nostre convinzioni e le nostre griglie di valutazione.
Avere il controllo su più cose possibili è una delle comodità a cui siamo abituati; ma più cose controlliamo, e meno spazio lasciamo all’imprevisto e quindi alla scoperta.
Il pericolo quindi, se così vogliamo chiamarlo, è incluso nel pacchetto. Ma chiamarlo pericolo è esagerato, è più una consapevole rinuncia a controllare tutto; una rinuncia a sapere quanto tempo ci metteremo, dove dormiremo, dove faremo benzina, dove e come ripareremo i guasti, come saranno le strade che percorreremo, come comunicheremo e così via. Ma rimane il fatto che si viaggia per arricchirsi, e questa ricchezza poi ce la vogliamo godere una volta tornati a casa, quindi non ci spingeremo oltre un certo limite.
L’idea di associarci la beneficenza rende sicuramente il tutto più difficile, ma siamo stati da subito tutti concordi sul fatto che cercare sponsor, organizzare eventi, raccolte fondi, creare il materiale adatto per farci apprezzare e obbligarci ad allargare le nostre conoscenze, sarebbe stata un’esperienza molto formativa che ci avrebbe arricchito come persone, ma anche – in un certo senso – professionalmente.
Non passa giorno in cui non ci chiediamo se abbiamo fatto il passo più lungo della gamba, ma rischiare fa parte del gioco; si cresce, e fallire è un’eventualità che, sebbene tolleriamo a fatica, ci spaventa relativamente.
Il progetto nel progetto. Come se non bastasse il lungo viaggio, avete in mente di documentare il viaggio e realizzare successivamente una mostra per ottenere altri fondi da destinare in beneficenza. Perché scegliere una campagna di crowdfunding con Limoney e chi l’ha seguita?
Il documentario e la mostra, come anche tutta la comunicazione che facciamo attraverso i social e durante i nostri eventi hanno alla base tre motivazioni differenti:
La prima è che queste attività costituiscono per alcuni di noi un’importante opportunità a livello lavorativo. Per quanto mi riguarda, sarebbe impensabile non documentare quest’impresa nel modo più accurato possibile. Ritengo infatti che questo viaggio possa essere un’ottima occasione per sviluppare un progetto foto e video grafico di un certo spessore, e che possa essermi estremamente utile in ambito professionale.
La seconda è che la visibilità generata da eventi, comunicazione social (prima, durante e dopo il viaggio) e la realizzazione e la diffusione del documentario, patrocinato dalla Libera Università del Cinema di Garbatella, contribuiscono a fare della nostra impresa anche un’opportunità di marketing per aziende interessate a quello che facciamo, o che vogliano farsi conoscere dalle persone che ci seguono.
La terza è dovuta alla voglia, che segue ogni viaggio degno di questo nome, di condividere il più possibile quanto di meraviglioso vedremo durante il tragitto da Roma ad Ulan Bator con tutte le persone che ci sostengono e ci supportano.
Un documentario, sebbene difficile è impegnativo da realizzare, è più adatto a ritrarre quest’esperienza nella sua interezza, che comprende anche i dialoghi, gli incontri, le persone, nonché le dinamiche che si creeranno tra noi quattro ed in ognuno di noi singolarmente.
Per finire con ciò che in questo momento ci sta più a cuore, parliamo del crowdfunding appena partito. La premessa è che i fondi per realizzare il nostro viaggio provengono ovviamente in massima parte dai componenti del team, ma anche dalla vendita di magliette, da sponsorizzazioni e dall'organizzazione di eventi di musica e teatro realizzati grazie alla partecipazione ed al sostegno di amici, musicisti, dj e attori; ma purtroppo tutto questo non basta.
Il crowdfunding serve ad arrivare dove noi da soli non riusciamo sia per mancanza di tempo che per mancanza di mezzi; i nostri eventi muovono infatti principalmente un pubblico giovane e si svolgono per lo più a Roma con cadenza mensile (non sempre). Con il crowdfunding diamo la possibilità a chiunque di darci il proprio sostegno in qualsiasi momento e da qualsiasi posto (abbiamo un gruppo abbastanza nutrito che ci segue dalla Spagna). Non tutti possono venire alle nostre feste, ma desiderano comunque darci una mano, e anche molti di coloro che vengono ci vogliono dare un ulteriore sostegno economico.
Abbiamo deciso di dedicare il crowdfunding ad uno scopo ben preciso e immediato da comunicare: l’acquisto del veicolo. La scelta è ricaduta su Limoney perché è un portale nuovo, immediato, ben fatto e fondato da ragazzi italiani poco più grandi di noi.
Ad occuparsene è stato Luca che tiene un po’ di conti e cura la comunicazione. Più che un’idea è una necessità: abbiamo bisogno del massimo sostegno da chiunque voglia darcelo. In cambio offriamo una serie di ricompense simboliche, ma molto goliardiche. Tutto ciò che possiamo fare è invitare tutti a donare e a far conoscere il nostro progetto a quanta più gente possibile.
Grazie Lorenzo, non rimane che augurarvi di ottenere quello che chiedete e soprattutto un buon viaggio.