Quante volte hai gettato via un vecchio televisore, frigorifero o forno a microonde? E quanti ne hai, inutilmente accumulati in garage in attesa di prendere la via della discarica oppure appesi ad un destino di seconde linee, nel caso in cui, dovessero tornare ad utili?
Si tratta di un piccolo tesoro: questi elettrodomestici obsoleti e fuori moda contengono chili di prezioso rame, ferro, alluminio, perfettamente riutilizzabili se opportunamente recuperati.
È una delle anime del demanufacturing, articolato inglesismo per descrivere una sorta di decostruzione strutturata fine vita utile, da affiancare ai veri e propri programmi di ricondizionamento degli elettrodomestici al fine di re-immetterli nel mercato evitando così di costruirne altri da zero.
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Obsolescenza programmata
Le radici del fenomeno sono nella deriva del consumismo che ha portato a comportamenti sempre più vicini all’usa e getta per un numero crescente di beni di consumo, anche con pesanti conseguenze ambientali.
L’inizio può essere ricercato nel lontano 1920, quando diversi produttori di lampadine si riunirono per concordare una forte riduzione della vita utile dei propri prodotti, scoraggiando così i consumatori dal riparare i pezzi difettosi a favore dell’acquisto del nuovo.
Facciamola più semplice: hai mai provato a far aggiustare un lettore CD o fornetto a microonde? Ti avranno probabilmente preventivato un costo di riparazione superiore all’acquisto del nuovo.
È una pratica di obsolescenza programmata comune oggi a molte categorie merceologiche, a cui si affianca una obsolescenza psicologica o consumistica che porta all’abbandono ed oblio di oggetti perfettamente funzionanti, rimpiazzati perché fuori moda o sorpassati tecnologicamente.
Esempio tipico quello dei telefonini o dei televisori.
Un modello di economia circolare
Come funziona quindi concretamente il demanufactoring?
L’apparecchio viene smontato, i pezzi funzionanti rigenerati e riassemblati in un nuovo elettrodomestico, e quelli non funzionanti ricondotti allo stato di materie prime da riutilizzare sempre per la costruzione del nuovo. È un modello di economia circolare (simile ai modelli di cui abbiamo già parlato in questo articolo) e sostenibile basato sulla rigenerazione a ciclo continuo.
La parola d’ordine diventa quindi quella di recuperare tutto ciò che si può per dare nuova vita a qualcosa di nuovo, fino all’80% dei materiali utili: esistono sistemi automatici che consentono di separare meccanicamente e chimicamente i materiali di risulta come i telai dei grandi elettrodomestici realizzando, attraverso il demanufacturing, un cambiamento verso la sostenibilità per settori in continua evoluzione come l’elettronica.
Un caso economico di demanufacturing
I vantaggi economici del demanufacturing possono portare le aziende a considerevoli risparmi sui costi di produzione, oltre che ai vantaggi ambientali di cui sopra. Un frigorifero può donare anche 30 kg di ferro, 3 di rame ed alluminio, che possono rappresentare anche il 50-60% del costo delle materie prime normalmente utilizzabili in un nuovo pezzo.
I risparmi crescono ancora nei casi in cui il pezzo può essere “ricondizionato” e re-immesso sul mercato senza essere smontato. Una lavatrice invece è composta principalmente da acciaio e plastica, di cui conosciamo tutti il valore economico al punto che Corepla (il consorzio CONAI per il recupero della plastica) ha coniato lo slogan “troppo preziosa per diventare un rifiuto”.
Altro materiale estremamente prezioso sono i clorofluorocarburi usati per la refrigerazione del motore, riutilizzabili in svariati altri elettrodomestici come freezer e condizionatori.
Panasonic ha già fatto del demanufacturing una politica strategica aziendale, con pervasive campagne di comunicazione ed incentivi per il recupero dell’usato, garantendo un tasso di riciclo di almeno il 65% per le lavatrici.
Ma oltre ai vantaggi strettamente economici ci sono indubbi benefici di immagine e brand agli occhi dei consumatori per quelle aziende che sapientemente riescono a comunicare e raccontare, oltre che implementare, programmi di demanufacturing di successo.
Aziende pioniere ed il leasing degli elettrodomestici
Il demanufacturing è già pratica reale di in molte grandi aziende come Apple, Toshiba, Ford ed in Italia la Candy su tutte, utile soprattutto in un periodo storico dove secondo un’indagine di SWG oltre l’80% dei consumatori di grandi elettrodomestici preferisce riparare un guasto piuttosto che sostituire l’oggetto, percentuale salita di oltre 20 punti in soli 5 anni di crisi.
Un settore attivo nel demanufacturing è quello informatico: l’americana Dell ha implementato un design modulare per i propri computer in ottica di economica circolare, implementata con un programma strutturato di demanufacturing.
HP ha un programma simile per i toner delle stampanti a laser. IBM ha un programma per il recupero dei material ed il demanufacturing. Un interessante contributo in questa direzione è certamente dato dalla crescita di programmi di leasing per i grandi elettrodomestici: l'acquisrente può utilizzare un bene restituendolo al termine di un periodo di tempo concordato e prendendone uno nuovo.
Beni probabilmente destinati allo smantellamento o alla rigenerazione, più che ad un mercato di seconda mano, ma qui la somma dei componenti vale più del loro insieme in funzionamento.
Dai, corri a svuotare la cantina!