In una storia il protagonista è solitamente l’eroe, il personaggio che affronta le situazioni per uscirne vittorioso. Libri, film e serie televisive ci insegnano però che talvolta il protagonista non vince, o che può addirittura trasformarsi in un antieroe.
A rendere preziose e interessanti queste storie sono i tentativi fatti dal protagonista per "vincere": è questo che ritroviamo in "Un barlume di speranza", web serie italiana di cui vi parliamo oggi assieme al suo creatore Manuel Grieco.
Assieme ad Alessandro Lazzi, Martino Castellani, Luca Migliorucci, Manuel ha dato vita ad un progetto davvero interessante, ritratto della nostra società e di un’Italia che si racconta sorridendo.
UBdS mantiene l’ironia della commedia italiana ma allo stesso tempo strizza l’occhio alla comedy statunitense. Come siete riusciti a unire due stili apparentemente così differenti tra loro?
Hai usato la parola giusta: "apparentemente". Perché in realtà non sono poi così tanto diversi come stili. O almeno per quanto riguarda il tipo di comedy americana a cui mi sono ispirato. Da una parte c'è la comicità tipica delle sitcom classiche, in cui è solitamente presente la "laugh track" che porta alla risata in modo più diretto ed esplicito.
Poi c'è la comicità politicamente scorretta più implicita e riflessiva e che, al contrario, non è una comicità passiva e tende a far ragionare lo spettatore su quello che sta vedendo. Quindi, con "Un Barlume di Speranza", io mi ispiro ovviamente alla seconda tipologia, che non è poi così diversa, secondo me, dalla commedia all'italiana di un tempo.
Lo stile americano ha un ritmo leggermente differente, più forte e serrato, e spesso esaspera molto di più determinate situazioni (basti vedere la comicità di Louis C.K.). Non sono ovviamente uguali, insomma, ma hanno molti fattori in comune. Per questo non è stato molto complicato far convivere i due stili. Essendo la mia una serie di stampo americano (anche perché ispirata dichiaratamente a una serie oltreoceano, conosciuta davvero da pochi, che si chiama It's Always Sunny in Philadelphia) ho cercato di dare alla struttura quel tipo di ritmo.
Ma avendo poi, in fin dei conti, un'identità italiana, ho cercato di identificarla inevitabilmente nella commedia all'italiana, uno stile che, purtroppo, il nostro cinema ha perso da tempo. Una delle opere di questa corrente a cui faccio maggior riferimento probabilmente è "I Soliti Ignoti". Ho sempre visto i nostri personaggi un po' come la banda di pseudodelinquenti di Monicelli. Vorrebbero scegliere la via più breve, aggirare il sistema, non hanno all'apparenza problemi ad infrangere la legge. Poi, in fin dei conti, sono troppo tonti e "buoni" per riuscirci.
Manuel Grieco, Alessandro Lazzi, Martino Castellani, Luca Migliorucci
La serie ha ricevuto un riconoscimento ufficiale dal Rome Web Awards per la Best comedy scene. Secondo te perché proprio quella scena?
Non so, effettivamente anche io l'ho sempre considerata una delle scene più divertenti della serie. Penso che in quel momento si capisca realmente, per la prima volta, quanto i personaggi di questa serie siano senza scrupoli e completamente estranei alla realtà che li circonda. Hanno in testa un mondo tutto loro, in cui i piani che escogitano funzionano sempre nonostante abbiano basi inconsistenti. E quando poi alla fine affrontano la realtà dei fatti, si accorgono di aver sbagliato tutto. Probabilmente è anche per questo che ha vinto un premio. Perché individua molto bene l'atmosfera generale della serie e il carattere dei personaggi.
In quella scena è nata la musica della serie. Anche per questo è stata importantissima. Perché, io non l'ho mai detto, ma l'idea per la melodia della colonna sonora è nata completamente a caso. Quando abbiamo girato quella scena uno dei ragazzi della troupe e il nostro Martino Castellani si sono messi a fischiettare un motivetto blues battendo le mani sul tavolo. Tutto questo mentre erano ripresi dal direttore della fotografia, senza saperlo.
Fatto sta che, ignaro di tutto, in montaggio mi sono trovato questa clip divertentissima dove loro facevano i cretini fischiettando. E, a parte le risate, quel motivetto che "cantavano" mi è piaciuto talmente tanto che non me lo sono tolto dalla testa per settimane. Finché non ho dato il video al nostro grandissimo compositore Pierluigi Pietroniro, che lo ha trasformato nel sottofondo che ora sentite durante tutte le puntate.
Che dire… Queste sono le cose belle e inaspettate questo lavoro regala.
In un periodo dove si vorrebbe meritocrazia "Un Barlume di speranza" racconta di quattro ragazzi disorganizzati e simpatici, con molte idee ma molto confuse: alla fine anche loro ce la faranno?
Assolutamente no. Loro falliranno sempre. Possiamo dire che sia praticamente una costante. La necessità di meritocrazia non è certo qualcosa che loro quattro possono rivendicare. Anzi, loro agiscono sempre in modo sbagliato, se prendiamo come misura la meritocrazia. Cercano sempre la via più furba, più semplice, più contestabile. Sono degli antieroi a tutti gli effetti. E per questo motivo falliranno sempre. Ma nonostante questo, continueranno a provarci.
La serie vuole anche implicitamente criticare, per certi aspetti, lo stile di vita che contraddistingue i protagonisti. Rappresentano in qualche modo anche gran parte degli italiani, ma allo stesso tempo quasi lo giustifica all'occhio esterno. Mi spiego meglio: riprendendo come esempio "I Soliti Ignoti", i protagonisti erano dei ladri, quindi convenzionalmente personaggi negativi. Erano dei ladri creati dalla povertà, quindi inevitabilmente dalla società di quel momento, e facevano quel che facevano per necessità. Ed ecco la giustificazione di tale comportamento. Anche loro alla fine del film, infatti, non vincono. Perdono miseramente. Così anche i nostri personaggi.
Perché poi è vero, hanno molte idee, spesso anche apparentemente geniali, ma la domanda che ti poni è: lo sono davvero? Sono davvero dei geni o è la necessità che li spinge ad usare il cervello? Ecco, a me piace proprio giocare su questa ambiguità, che dà anche la possibilità al pubblico di immedesimarsi nei personaggi.
Manuel tu hai scritto, diretto e sei uno degli interpreti. Quale è stato il percorso che ti ha portato a Un barlume di speranza?
A livello didattico ho sempre fatto solo recitazione. Per il resto mi sono un po' improvvisato. Mi sono avvicinato prima di tutto al montaggio, negli ultimi anni. Il resto l'ho costruito con la passione e l'interesse verso questo mondo. Quello di fare un po' tutto in questa serie è stato più che altro un fatto di necessità.
Prima che l'idea prendesse piede, avevo appena finito il liceo e provato ad entrare in una scuola di cinema a Roma, la "Gian Maria Volonté". Quindi mi sono rimboccato le maniche e ho deciso di arrangiarmi da solo. Così, da lì, piano piano, anche dal fatto che sono un grande appassionato di serie tv americane, è nata l'idea di UBdS. La sceneggiatura poi è venuta da sé.
Mi sono buttato. E ho finito per pensare un pochino a tutto, persino alla scenografia. Il bancone del bar l'ho comprato su Ebay, altre cose in negozi d'usato.
Ovviamente, non sono da solo. Ho comunque altre persone che mi aiutano sul set. Persone senza le quali non avrei fatto nulla di tutto questo e che non smetterò mai di ringraziare. Perché questo è un lavoro che si fa soltanto in gruppo. Se avessi realizzato la serie per conto mio, sicuramente sarebbe venuta fuori una schifezza.
Quando uscirà la prossima puntata?
Con i fondi, i mezzi e la forza lavoro che abbiamo, è inevitabile essere un po' lenti. Le puntate sono abbastanza complesse per molti aspetti, a partire dalla durata; sono mediamente più lunghe rispetto all'abitudine dei prodotti visibili su YouTube. Tutti noi lavoriamo, al di fuori della serie, e viviamo pure sparsi, in posti diversi, quindi non riusciamo sempre ad organizzarci bene.
Intanto voi utenti cercate di diffondere la serie più che potete, che maggiore è la partecipazione e più ci spingete a continuare.