Pensare che un brand riesca a risultare più "umano" sui social media perché parla con i suoi utenti con un linguaggio colloquiale, oppure perché utilizza un tono scherzoso e coinvolgente, è estremamente semplicistico e limitante.
Certamente sono elementi fondamentali per riconoscere un brand che sappia realmente dialogare con il suo audience, ma il raggiungimento di un contatto umano con i propri utenti è un percorso molto più complesso, fatto di sfumature e dettagli sui quali costruire relazioni durature.
In particolare, bisogna partire da quello che in gergo è chiamato "code-switching", ossia "commutazione di codice". E' un fenomeno che indica il passaggio da una lingua (intesa nel suo significato letterale) ad un'altra o da un dialetto ad una lingua e viceversa, da parte di soggetti che comunicano avendo più di una lingua in comune. Nel contesto dei social media, quindi, è necessario slegare il concetto di code-switching da una pura accezione linguistica elevandone il suo significato su un piano culturale e sociologico.
La maggior parte di noi, infatti, applica le dinamiche del code-switching quotidianamente: parlando con i nostri colleghi possiamo passare nella stessa conversazione da un linguaggio aziendale o tecnico ad uno fortemente confidenziale a seconda delle tematiche toccate. In ogni momento della conversazione, però, entrambe le modalità di conversazione ci appartengono in modo intrinseco: sono parte di noi.
Ecco quindi il primo requisito fondamentale che un brand deve possedere per essere più umano sui social media: la capacità di rendere impercettibile il confine tra il dialogo personale e quello professionale, facendo in modo, però, che restino sempre entrambi presenti alla natura del brand e alle sue conversazioni.
Il protagonista è il brand, non le sue risposte
L'utilizzo della commutazione di codice nel contesto dei social media, però, non solo ci consente di evidenziare aspetti diversi della personalità del brand all'interno di uno stesso contesto, ma rende anche evidente che tutti questi aspetti sono in ogni momento fondamentali per l'esistenza stessa del brand.
Quindi, quando un utente proverà a dare un'occhiata ai nostri contenuti su Facebook o Twitter, non s'imbatterà in un'azienda professionale che fornisce risposte esaurienti e tempestive su difficoltà tecniche o domande dei suoi utenti. Bensì si troverà di fronte un "personaggio" con il quale dialogare, che saprà rispondere in modo serio, professionale e - se necessario - tecnico, non facendo mancare mai la sua personalità.
In pratica, il vero protagonista della pagina è il brand e non le sue risposte. Un brand che non parla con "potenziali clienti": le sue campagne, i suoi post e le sue offerte saranno costruite per creare connessioni sul piano umano. Connessioni che, inevitabilmente, sono fatte anche di professionalità e, conseguentemente, di potenziali profitti.
L'arte dell'autenticità
La commutazione di codice, il comportamento umorale degli utenti, la necessità di collegarsi ad un livello più umano, sono tutti fattori complessi da applicare. Non è semplice, ma soprattutto non vuol dire che vanno posti davanti ai nostri obiettivi di marketing. Tutt'altro: significa ripensare la strada con cui tali obiettivi vengono raggiunti.
Se riusciamo ad arrivare ad una connessione "personale" con l'utente, egli percepirà come una personalità (quindi umana) il nostro brand. Le due parti convergeranno e avranno qualcosa in comune da condividere (valori, pensieri, idee), ossia quelle basi per una relazione duratura e fatta di scambi continui, molto più profittevole di una relazione solo professionale che porta l'utente ad avvicinarsi ai nostri social media solo perché sa che potrà risolvere un problema.
Essere un brand "umano" significa essere un brand autentico. Significa, proprio come nella vita di tutti i giorni, ottenere un maggior numero di conversazioni, perché anche noi parliamo più volentieri con persone con cui condividiamo qualcosa rispetto ad altre verso cui percepiamo "freddezza".
Quello dell'autenticità è un obiettivo perseguibile da qualsiasi società, non importo quale sia il prodotto. Essere umani sui social media significa modificare il proprio modo di conversare, non il tema del quale si conversa. E solo da questo che riuscirà a dare a quel tono colloquiale o scherzoso di cui si parlava ad inizio post un senso ed una compiutezza.
Far diventare il proprio brand più umano non è impresa facile. Non si decide improvvisamente e soprattutto non si può comprare. E' un percorso lungo, che mostra i suoi frutti solo a lungo termine, ma che sicuramente può diventare esperienza appagante e ricca di soddisfazioni. Ed i social media sono il posto perfetto da cui iniziare.