Siamo saturi delle parole chiave di questa crisi economica che ci attanaglia da ormai qualche anno e non sembra avere nessuna intenzione di finire. Parole come spread, debito sovrano, spending review, downgrading, credit crunch, fiscal compact e soprattutto ripresa.
Quando si parla di crisi, quasi sempre si parla anche di ripresa economica e ognuno sembra avere la propria teoria e la propria data in cui il paese comincerà magicamente a rimettersi in moto.
La ripresa, tecnicamente, non è altro che il momento in cui il PIL inverte la tendenza attuale e ricomincia a mostrare il segno positivo in maniera continuativa.
Attualmente siamo in recessione e tutti ci chiediamo quando si verificherà un'inversione di tendenza.
La ripresa ci sarà nel ________ (riempire lo spazio vuoto)
Agli inizi della crisi si parlava di ripresa nel 2011, poi nel 2012, infine le previsioni sono slittate sul 2013 e oggi addirittura c'è chi, come il presidente di Confindustria Squinzi, ci metterebbe la firma per avere la ripresa nel 2015!
Lo scenario che emerge dal toto-ripresa è molto confusionario e l'unica certezza è che in realtà nessuno può fare una previsione accurata perché l'economia italiana è completamente fuori controllo.
Austerity, la nemica di tutte le crisi
Si può ben dire che Keynes, dopo oltre ottanta anni dalla Grande Depressione non ci ha insegnato niente e abbiamo preferito sperimentare ricette nuove impregnate di austerità.
Proprio quando il ciclo economico diventava sfavorevole l'Europa ha cominciato a chiedere agli stati membri maggiore austerità, precludendo ogni possibilità di utilizzo della spesa pubblica per stimolare la domanda interna.
Queste decisioni sono state prese principalmente a causa della febbre dello spread e della minaccia di pagare interessi altissimi sui titoli di stato collocati sul mercato.
La crisi del debito ha contribuito a rafforzare la tesi dell'austerità e gli effetti della crisi sono via via peggiorati arrivando ad essere catastrofici sia in Italia che in molti altri paesi Europei.
In ultimo il Fiscal Compact ha rappresentato la bastonata finale a una finanza pubblica già imbrigliata.
Ripresa... o Riconversione?
In questi anni un'idea me la sono fatta e penso che il paese, indipendentemente dalla crisi abbia raggiunto un suo livello di saturazione delle risorse e dei consumi tale da causare un'implosione.
In altri paesi, come la Germania, gli effetti sono mitigati da un'infrastruttura molto più solida che ha permesso di attenuare la decadenza delle grandi industrie e di controllare il crollo del potere d'acquisto.
In Italia oltre a mancare una buona struttura economica di base abbiamo anche una pressione fiscale completamente fuori controllo (fino al 71%) che ha affossato anche quel poco di buono che rimane e costringendo a chiudere anche le imprese che non versano in stato di insolvenza.
La soluzione per l'Italia, invece di aspettare un'improbabile ripresa, potrebbe essere quella di investire in un lungo e difficile percorso di riconversione, imparando a puntare sui giusti settori e valorizzando quanto di buono abbiamo. Paradossalmente l'Italia potrebbe vivere solo di turismo e Made in Italy, entrambi ambiti che versano nel degrado più assoluto.
E se la vera crescita fosse al contrario?
Ci hanno insegnato a misurare la ricchezza di un paese con il PIL, in realtà c'è chi afferma che la felicità di una popolazione non si può misurare solo con questo indicatore e che ne servano molti altri, anche non convenzionali. In particolare mi riferisco ai teorici della Decrescita Felice, un movimento che afferma che non è necessario un incremento del PIL per stare meglio.
Crescita o decrescita l'Italia deve capire che è necessario ristrutturare il paese dalle fondamenta, che è necessario programmare l'economia dei prossimi 20 anni in modo scientifico e su basi di sostenibilità e di lungimiranza e fornire ai cittadini gli strumenti per essere protagonisti di questo nuovo sistema.
Conclusioni
Insomma chi ha ragione? Coloro che aspettano la ripresa o coloro che presumono che non ci sarà mai una ripresa? Solo la storia potrà dirlo, ma è sicuro che questi anni contribuiranno a scrivere nuove pagine dei manuali di macroeconomia ed è altrettanto sicuro che al momento opportuno ce ne dimenticheremo di nuovo come è successo con Keynes.