C’è una volta la campagna. Non si tratta di un refuso grammaticale.
Tecniche millenarie abbandonate a colpi di tecnologia, sementi tradizionali al bando in nome della certificabilità imposta dall’Unione Europea. Ed ancora, condomini a schiera e palazzine che inghiottono vigne ed oliveti, edificate proprio di fronte a borgate e casali nobiliari in rovina,. Ci sono intere zone d’Italia dove la campagna c’è ancora, ma non è più in vita, assediata da edilizia ed ignoranza.
Che ci sia qualcosa di sbagliato in questo sistema è sotto l’occhio di tutti. E mentre tanti si lamentano dello scempio, del degrado, dell’abbandono, e di quanto sia stressante la vita moderna, in pochi, illuminati, agiscono, dando vita a progetti concreti per il recupero e la valorizzazione del patrimonio rurale.
Gli eco-villaggi
L’eco-villaggio è un approccio culturale al vivere basato sui principi della comunità e dell’autosufficienza. Si tratta di piccoli nuclei di persone che condividono un progetto di sostenibilità, riducendo l’impatto ambientale, puntando all’autoproduzione, al riuso delle risorse, alla scelta dei materiali a chilometro zero.
Promuovono il baratto, utilizzando la parte sana della tecnologia, legata alla produzione di energia rinnovabile ed alla condivisione dei beni tecnologici (es. car ed internet pooling).
Ricettività verde
La ricettività è spesso un elemento collante deglii Ecovillaggii:
Piccole strutture in località bucoliche offrono ai turisti una rigenerante esperienza a contatto con la natura. Comunità di cittadini che decidono di cambiare vita ritrovando il rapporto con la madre terra, aprendo le porte delle proprie case ai visitatori, se non altro per fare quadrare il bilancio di un modello che può diventare problematico dal punto di vista finanziario, per quanto sostenibile sotto la prospettiva ambientale.
Dalla città alla campagna: una storia italiana
In Italia, RIVE (Rete Italiana Ecovillaggi), è una delle organizzazioni di riferimento per i progetti comunitari di eco villaggio.
Vicino Valmozzola, in provincia di Parma, l’Ecovillaggio Granara consiste di otto case in pietra recuperate e restaurate all’interno di una proprietà di oltre 100 ettari composto da boschi, radure ed un piccolo orto per l’autoproduzione. I gabinetti sono a compostaggio secco, il riscaldamento a legna, e la tecnologia è vista con favore, fin quando è a misura d’uomo.
Partito negli anni ’80 dal fermento creativo di un gruppo di ventenni milanesi desiderosi di trapiantarsi dalla grande città ad un contesto rurale, l’ecovillaggio oggi ha uno “zoccolo duro” di residenti stabili, con una “nuvola” di membri che non vi risiede stabilmente, contribuendo in maniera diversa al progetto.
Forestieri illuminati
Fare comunità e vivere in armonia con la natura non è solo rigenerante e sostenibile, può essere anche fonte di impresa e musa ispiratrice di progetti, talvolta grandiosi, che dimostrano come sostenibilità, impresa, e profitto siano perfettamente compatibili, soprattutto cavalcando l’onda verde. Ed in questo alcuni imprenditori, soprattutto stranieri, hanno visto lungo.
Chiedere a Daniele Kihlgren, rampollo di una ricca famiglia di industriali svedesi, che ha investito tutto quello che aveva (e fortuna sua, non poco!) nell’acquisto di un’intera borgata abbandonata, in provincia de L’Aquila: Santo Stefano di Sessanio. Il borgo medioevale è oggi un albergo diffuso con 300 posti letto ed un flusso di visitatori da tutto il mondo, dove panorami, mobili, e ricette riportano indietro ad atmosfere perdute, un salto nel tempo di 50-100 anni che piace enormemente ai turisti.
In un’intervista a “Repubblica” Kihlgren afferma che:
“Quest’integrazione perfetta fra case storiche e paesaggio, questi borghi costruiti sulla sommità delle colline nell’epoca dei castelli, questo senso straordinario di equilibrio e armonia […] Questo è il vero patrimonio italiano tanto seduttivo quanto sistematicamente compromesso. […] E’ un patrimonio che grida vendetta, ce l’avete messa tutta per massacrarlo”.
Come dargli torto?
Cambio di mentalità
Cosa ci sta insegnando il Signor Kihlgren? Quali sono gli spunti imprenditoriali da cogliere oltre la sostenibilità e la nobiltà di queste cause? Come può un paese come l’Italia, invidiato dal resto del mondo per il territorio, le tradizioni e la storia, calpestare ed umiliare il proprio patrimonio rurale come avvenuto negli ultimi 30 anni di folle sviluppo edilizio?
In un paese che dovrà necessariamente passare dal “Made in Italy” al “Designed in Italy” in quanto incapace di competere produttivamente con la concorrenza mondiale, sarà anche necessario passare dalla cultura del costruire a quella del restaurare. In Italia non dovrebbe essere più necessario appoggiare alcun nuovo mattone, ma semplicemente rimettere pietre centenarie al loro posto recuperando quello che abbiamo già.
Non tutti avranno certo le risorse finanziarie del Signor Kihlgrem ma ci voleva uno svedese per insegnarcelo?