Davide Reina
Da Ernst Friedrich Schumacher a Konrad Lorenz, da Adriano Olivetti a Fritjof Capra, il manifesto programmatico di GreenWebEconomics mette in relazione il pensiero di personalità eterogenee ma accomunate da un unico obiettivo: una «giusta società».
E il principio di «giusta società» guida come una bussola i due autori Davide Reina e Silvia Vianello verso «un'economia il cui sogno non sia crescere all'infinito ma evolvere in armonia con l'ambiente». All'ambiente dunque il ruolo di stella polare. Al web, invece, il ruolo di strumento realizzativo.
GreenWebEconomy ha un incipit molto alto e ambizioso ma un cuore solido in cui si analizzano i limiti della "grey economy" e le opportunità che può offrire il passaggio al "Green". La parte finale è infine costituta da numerose case-history (interessantissimo il paragrafo dedicato alla rivoluzione in ambito bioedilizio in corso nel nostro Alto Adige).
Abbiamo voluto incontrare i due autori del libro, entrambi Professor presso lo SDA Bocconi e soci fondatori di Visionando, società di consulenza specializzata soprattutto nei settori Green e Web.
Perché partire da un manifesto?
Perché la GreenWebEconomics è un nuovo tipo di economia. E un nuovo tipo di economia si deve fondare su valori e regole nuove. Ecco perché un Manifesto, vale a dire una sorta di “carta dei valori” di questa economia, era necessario.
Uno dei principi fondanti del vostro manifesto è "small is beautiful", trovate che il sistema imprenditoriale italiano sia favorito in questo senso?
Non solo “small is beautiful”, ma soprattutto “small is better than big”. E questo proprio grazie al Web, che permette ad una piccola impresa fatta di dieci o venti persone ad elevate preparazione e progettualità di competere su scala mondiale, grazie alla rete globale di internet. Prima del web questo non era possibile, perché i costi di informazione e cooperazione esterna erano troppo elevati. Prima del Web “big was better than small”. Oggi vale il contrario. In questo senso, il sistema imprenditoriale italiano è favorito. Ma per sfruttare tutto il potenziale offerto dalla rete occorre che le piccole imprese italiane siano popolate da manager ad elevato grado di preparazione. E su questo fronte c’è ancora molto da fare.
Perchè il web è il grande enabler della Green Economy?
Per due ragioni. Primo, perché facilita enormemente la diffusione della sensibilità green in ciascuno di noi, attraverso innumerevoli siti che spiegano le nuove tecnologie green e, soprattutto, illustrano le ricadute positive dei comportamenti green (comprare green, guidare green, ecc) per l’ambiente. Secondo, perché il web coniugato con gli smart device e il servizio di geo-localizzazione, è in alcuni settori green addirittura una pre-condizione del loro sviluppo. Si pensi, ad esempio, ai network nascenti delle stazioni di ricarica per auto elettriche; che sarebbero difficilissimi da trovare data la loro bassa diffusione sul territorio, ma che invece grazie alla geo-localizzazione sono al contrario di facilissima individuazione: è il navigatore unito ad un’apposita applicazione “green”a portarci, letteralmente, da loro, nel caso in cui fossimo alla guida di un’auto elettrica e dovessimo ricaricare le batterie.
Silvia Vianello
Facendo riferimento al 2010, si dice che nel nostro paese gli investimenti sul potenziamento della connettività web sono azzerati, trova che una inversione di tendenza sia già in atto?
Perché ci sia una inversione di tendenza occorre che almeno ci sia stata, in principio, una tendenza e, ancora di più, una rotta. Ma purtroppo negli ultimi anni in Italia l’unica cosa certa nel mondo della connettività web è la mancanza di un progetto per il paese. Ne sono prova la serie di decisioni incerte, ondivaghe e spesso influenzate dalla contingenza, che sono state prese negli ultimi anni.
Se la crescita zero è un obiettivo a cui tendere, l'attuale momento di recessione può costituire un'opportunità o uno svantaggio?
L’uno e l’altro. E’ una opportunità perché la recessione ci costringerà a guardare le cose con verità e serietà, cercando di migliorare il PIL nella sua “qualità”, prima che nella sua quantità. E’ uno svantaggio perché il miglioramento della qualità del nostro PIL richiederebbe, in alcuni settori e in particolare nel green e nel web, investimenti pubblici importanti che una politica economica su cui attualmente pesa il giogo dell’enorme debito pubblico italiano, difficilmente prevederà.
Le città sono il luogo elettivo della GreenWebEconomics, ma sappiamo che una delle peculiarità del nostro paese è il grande concentramento di risorse imprenditoriali nelle provincie, che ruolo possono giocare queste ultime?
Il fatto che le città siano il luogo elettivo della GreenWebEconomics non esclude la provincia. Anzi, se per provincia intendiamo le cittadine medio-piccole italiane tipicamente intorno ai 50-60.000 abitanti, il loro ruolo può essere enormemente aumentato proprio dalla diffusione del Web e dal fatto che, in queste città è più probabile, data la dimensione limitata, sviluppare velocemente delle smart grid. Ma la GreenWebEconomics arriva dappertutto. Anche sulle colline delle langhe dove si producono gli eccellenti vini rossi piemontesi. Il Web con l’E-commerce, e il Green con il recupero delle coltivazioni vinicole biologiche d’eccellenza, sono alla base della straordinaria performance del comparto vino per l’Italia, in questi anni.
Nel sistema ipotizzato dalla GreenWebEconomics come viene affrontato il tema dell'impatto ambientale dei server conseguente all'espandersi della rete?
Non ne parliamo. Francamente, mi pare che sia un problema si rilevante, ma di minore importanza rispetto ad altre problematiche analizzate nel libro, come ad esempio la smart grid, e comunque trattasi di un male necessario più che compensato dalle grandi ricadute positive per l’ambiente che l’espandersi della rete rende possibile. In primis, la diffusione ubiquitaria di una coscienza green, e in secondo luogo la possibilità di diffondere rapidamente l’offerta di prodotti, servizi e processi green.
Come è possibile rendere competitivo il prodotto green?
Primo: occorre pareggiare la performance del corrispondente prodotto “grey”. Secondo, bisogna garantire al cliente la performance attraverso garanzie e clausole tipo “soddisfatti o rimborsati”. Terzo, è essenziale comunicare con precisione il risparmio di energia e di CO2 che il prodotto green permette di realizzare rispetto a quello “grey”. Infine è fondamentale evitare di prezzare il prodotto green come un prodotto premium-price e di nicchia. E’ sbagliato, con i prodotti green, cercare di massimizzare il margine unitario oggi. E’ giusto, cercare di ottimizzare il margine assoluto sul prodotto nell’arco del ciclo di vita atteso. E’ l’errore che si sta commettendo, per intenderci, al di là dei limiti attuali di network di ricarica e performance delle batterie, con l’auto elettrica.
Avete analizzato una serie di casi di mercatizzazione green, tra cui ve ne sono anche un paio italiani, ci può elencare altri casi?
Nel libro analizziamo 50 casi di aziende di successo operanti nella GreenEconomics. Di questi, la gran parte sono casi esteri. Per due ragioni: perché siamo posti l’obiettivo di portare casi nuovi e poco conosciuti, ma interessanti e utili, all’attenzione del lettore.; perché purtroppo il nostro paese non è certo all’avanguardia nella GreenWebEconomics. Però si può ben dire “pochi ma buoni” per i casi italiani. Imprese come Rubner o Wolfhaus, o iniziative come quella di Cucinella o di Kasaklima, rappresentano case-histories di assoluta eccellenza a livello mondiale, per qualità e grado di innovazione.
Parlate della mancanza di un "green marketing mix", quali sono i driver che dovrebbe seguire?
In realtà quello che manca, in Italia, è una Mercatizzazione Green lungimirante e non avversa al rischio da parte delle imprese. Nella GreenEconomics in cui stiamo vivendo, il marketing-mix è relativamente importante, dato che esso è tipicamente uno strumento di gestione. E’ la configurazione di una offerta green innovativa coraggiosa ad essere determinate. L’offerta innovativa crea la propria domanda. E’ sempre stato così per i grandi processi di trasformazione della società, non il contrario.
Che ruolo giocano i venture capitalist nel nostro paese e quale invece potrebbero giocare?
I venture capitalist in questo paese giocano un ruolo marginale. E non per colpa loro. L’Italia è un paese in cui il capitale di rischio in favore delle imprese rappresenta un’eccezione e non la regola. A questo si deve aggiungere una fiscalità incompetente e scriteriata. La verità è che non esiste una fiscalità ad hoc per le start up in questo paese, né per gli imprenditori che le avviano né per i venture capitalist che le finanziano. Ovviamente, se questo stato di cose venisse modificato con serietà e competenza, ispirandosi alla migliore case-history a livello mondiale nel venture capital che è, si badi bene, Israele e non Palo Alto, allora il ruolo che potrebbero giocare sarebbe molto rilevante e decisamente positivo, soprattutto in termini di occupazione.
Quali sono le misure che i nostri governanti dovrebbero adottare subito per essere all'avanguardia in campo green e web?
Dovrebbero definire un piano industriale per il sistema-paese Italia con un orizzonte temporale minimo di cinque anni. Il green e il web dovrebbero rappresentare due dei quattro pilastri di questi piano, insieme con un obiettivo di inversione dell’attuale brain-drain negativo del nostro paese che ci vede impoverire di giorno in giorno in termini di “capitale intelligenza e competenza”, e con una nuova fiscalità in favore del profitto d’impresa ad alto tasso di innovazione e occupazione (qualificata).