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Bad Avenue e Sunset Boulevard: cosa succede tra i Mad Men italiani

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Till Neuburg 

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Pubblicato il 16/05/2011

Se proprio devo dirla tutta, rispetto a Donald Draper il mio giudizio sulla pubblicità italiana in generale, su una parte dei creativi ma, soprattutto, sulla stragrande maggioranza dei managerazzi, è molto più duro di come la vede lui. Pertanto non lo biasimo quando sostiene:

  • che i creativi italiani si sono fatti abbindolare dai biscazzieri dei bilanci
  • che la Awardite ha eroso la nostra già difficile socialità
  • che di fronte ai licenziamenti in massa abbiamo al massimo agito (e non reagito) individualmente
  • che per il grand guignol degli stagisti ci siamo limitati a fare i portoghesi

Però…

Stracciare questo succulento menu di storture non rientra negli obiettivi di un Club. Le finalità dell’ADCI sono sostanzialmente, e storicamente, snob. Quando nel lontano 1985 una quarantina di colleghi che tifavano per i lontani/vicini idoli Bill, Leo, Charlie, Helmut, Jacques… si sono detti: “Perché non ci proviamo pure noi?”

Così era scoccata l’ora legale della nostra réclame. Tutti mettevano avanti i loro pennarelli e tastiere di almeno dieci anni. Erano tempi caotici e fortunosi. I danée, gli sghei, i verdoni, le lire, erano milioni e milioni, come le stelle del salame Negroni.

Finalmente i giri e rigiri dei maledetti jingle con le rime venivano spazzati via dal sound dei vari Van Halen, Prodigy e Midge Ure. Per girare gli spot, non si andava più solo all’Idroscalo o a Cinecittà, ma anche a Pinewood, in Islanda o a Capetown. Gran parte dei direttori creativi si spostavano con la Harley o in sontuose biemmevù – o non si spostavano affatto perché i clienti amavano farsi coccolare nelle nostre sale meeting sempre più a misura Duomo.

Di ragionare su cosa sarebbe potuto succedere entro due, cinque o dieci anni, non faceva parte del nostro sistema operativo. Figurarsi se ci pensavano i sindacalisti, gli economisti, i risorsumanisti, i gazzettari trade… e tantomeno i nostri amministratori delegati.

Delegati da cosa e da chi? Non certamente da chi si faceva il mazzo fino a sera tardi o durante i weekend. Dietro le targhe meneghine o pomposamente worldwide, i cottimisti della creatività contavano sempre meno. Per testimoniare qual è stato il peso minimosca sempre più mini della nostra creatività, basta citare p.e. l’infinita marcialonga tra la mitica CPV fino all’attuale DraftFCB, con decine e decine di restyling della maggioranza e delle business card.

Ma questo plot non è andato in scena solo nel teatrino della comunicazione a.k.a. AssoComunicazione. La miopia non ce l’hanno in leasing solo gli ipovedenti e i pubblicitari. Il mix tra apatia e presunzione ha funzionato a manetta anche tra i grandi magazzini e i bottegai, tra i montatori e gli speaker, tra gli esercenti del cinema e gli ordini religiosi. Quella commedia all’italiana è andata in scena anche nei partiti, nelle banche, nel Vaticano, e persino nel campionato più brullo del mondo.

E noi...

...anziché cercare le vie dei canti nel deserto della banalità e del conformismo, siamo semplicemente diventati lo specchio delle brame di chi ai piani alti tirava solo a campa’.

Ogni anno le nostre premiazioni assomigliavano sempre di più alle convention nelle terme o ai festival dell’Unità, dove, tra striscioni, bicchierozzi, dibattiti, stuzzichini e piadine si discuteva (si fa per dire) sempre e solo sul condizionale, sull’imperfetto, sul passato remoto dei paroloni de’ noantri.

Le nostre giurie scimmiottavano spesso i trial movie americani dove l’accusa e la difesa di una campagna fanno di tutto (e anche di più) per portare la giuria dove ti porta il quorum. Le parole ai giurati alla Henry Fonda diventavano sempre più timide e rare. Era più facile che in quelle aule si sentissero dei secchi e insistenti “Mi oppongo!”

Ma era un rituale che faceva ancora parte di un incruento loop tra amici-nemici per la pelle. Quei tranquilli weekend di sorprese ed emozioni allo Studio 117 o in Accademia di Comunicazione, non erano ancora diventati le spaventose Cinque Giornate di Milano che poi avrebbero definitivamente reso irrespirabile l’aria fritta che è circolata tra noi.

Sarebbe strano se le mascalzonate dei comitati d’affari che siedono nelle istituzioni, nelle redazioni, nelle curie, nelle finanziarie e nei sottoscala delle holding internazionali che ordiscono la nostra stoltezza e sordità, non ricadessero anche su ciò che, anche tra i creativi, una volta veniva chiamato qualità, etica, stile.

A furia di leggere, sentire, vedere il trash politico e culturale che ogni giorno si abbatte sui cittadini alla tv, nelle aule, negli stadi, nei bar e nei consigli d’amministrazione, non mi sorprende che pure noi siamo diventati ciò che siamo: addetti interdetti, fornitori sfiduciati, impauriti e, in larga parte, schifosamente vigliacchi.

Ciò che è stato detto, scritto e pubblicato contro Alex Brunori, è semplicemente criminale. Roba da insetticida razzista marchiato Calderoli. Quando su Mad Avenue quel “loro” Niccolò Copernico aveva deciso di dedicare tante ore (sue personali, oppure dell’agenzia in cui lavora, fa lo stesso), per mettere in bella il suo livore e tanta meschinità, non ci credevo. Perché non si sia firmato Fabrizio Corona o Roberto Lassini, non lo sa neppure lui. Donald Draper, che ovviamente sa benissimo chi sia costui, dovrebbe dirgli che Copernico non è stato un trequartista dei Lupi, del Padova e della Spal, ma un astronomo polacco che aveva insegnato a Roma, a Padova appunto e a Ferrara. Che quel genio avesse raddrizzato per sempre la malafede geocentrica della Chiesa (e dei randagi che ululano in incognito in quel blog), è un fatto che andrebbe raccontato anche agli ultrà che continuano a masturbarsi, col passamontagna abbassato, in tutte le curve sud.

Il clima che regna in quel (in parte, ahimé, anche nostro) giro, mi fa pensare che a D.D. e ai suoi tifosi, non importi assolutamente nulla se le cosacce stanno come stanno. Come Bruno Vespa, il Diddì non è un cretino. Anzi. Lui sa benissimo che a furia di esaltare a getto continuo le frustrazioni che si annidano nelle nostre case (leggi: agenzie), il suo share si riprende tutte le volte, che è una bruttezza.

Secondo me, Mad Avenue poteva diventare un luogo d’incontro positivo. Invece, ora il gestore ha annunciato che anche il cattofondamentalista Pagano è entrato nel suo dreamteam. E così, il cerchiobottismo si chiude. Non a doppia, ma a tripla mandata. Come conviene a chi il tridente d’attacco contro tutto e tutti lo confonde con la S.S. Trinità.

Amen.

Till
co-moderatore ADCI-list

Scritto da

Till Neuburg 

Till Neuburg è un ex grafico, ex critico cinematografico, ex copywriter, ex giornalista di motociclismo, ex disegnatore di caratteri, ex produttore e regista di spot. Un aute… continua

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