È l'analisi sociologica ed economica dei "creativi", descritti come una vera e propria classe sociale, il cui peso economico globale è ormai decisivo per lo sviluppo. Nell'epoca della conoscenza il valore dell'immateriale è al centro di ogni crescita economica. Ma al centro della produzione di valore immateriale c'è la classe creativa: scienziati, ingegneri, architetti, designer, scrittori, artisti, musicisti. Come lavorano, come vivono, che cosa vogliono, come si attraggono?
L'autore è un economista dello sviluppo: ma di quelli che sfondano i limiti tradizionali della loro disciplina. Richard Florida insegna teoria dello sviluppo economico alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh. È riconosciuto come uno dei più autorevoli e, ovviamente, "creativi" osservatori delle evoluzioni socioeconomiche in corso.
Florida va oltre l'analisi classica dell'epoca conoscenza, per studiarne il lato dinamico che individua, appunto, nella creatività.
È una ricerca originale, scritta con chiarezza e persino leggerezza. Parte dai numeri, da una sorta di demografia dei creativi, analizza il loro impatto sulla vita quotidiana, sulla cultura e sull'economia, descrive la loro formazione e i sistemi di reclutamento, le loro motivazioni al lavoro, il modo in cui scelgono dove localizzare la propria attività. E arriva alle prospettive per il futuro. Con una tesi forte: lo sviluppo non dipende dal basso costo del lavoro o dalla capacità di attrarre le aziende e i loro investimenti.
Dipende dalla capacità di attrarre i creativi.
- L'emergere della classe creativa
L'innovazione tecnologica del Novecento è a dir poco pervasiva, dall'elettricità e l'automobile della prima parte del secolo, all'informatica e le comunicazioni digitali negli ultimi decenni. Ma queste novità sono meno importanti della grande trasformazione sociale e culturale che ha portato un paese come gli Stati Uniti da una situazione fondamentalmente agricola a una condizione prevalentemente industriale per poi maturare un sistema essenzialmente basato sui servizi.
In questo contesto, il valore aggiunto fondamentale è sempre più generato all'immateriale e la creatività ne è il motore.
Così la classe dei creativi ha conquistato il centro della scena. Il loro numero è esploso: da 3 a 38 milioni in 100 anni. Ma la creatività non emerge a caso: deriva dalla liberazione delle capacità della classe creativa che a sua volta si manifesta progressivamente con l'accelerazione della trasformazione dei costumi.
- Dall'epoca dell'organizzazione a quella della creatività
Il sistema della grande industria ha prodotto società composte da masse di operai e da un certo numero di manager che li dovevano governare attraverso l'organizzazione del tempo di lavoro. L'organizzazione sociale imposta dalle aziende industriali a matrice tayloristica era talmente invadente da influire pesantemente sulla struttura stessa delle città. I valori erano l'ordine, la disciplina, la divisione dei compiti, la fedeltà all'azienda, la scalata sociale attraverso l'impegno e la dedizione.
Con la trasformazione del capitalismo indotta dalla nuova globalizzazione e dalla divisione internazionale del lavoro, dall'incremento dell'importanza dei servizi e soprattutto ricerca continua di un'innovatività accelerata come fattore competitivo determinante, la società ha subito trasformazioni anche impensabili. Città fondate sull'ordine dell'organizzazione industriale, come Detroit, hanno incontrato un vero e proprio declino.
Mentre città costruite intorno alla diversità culturale, alla tolleranza dei costumi e alla qualità della ricerca artistica, scientifica e intellettuale, come San Francisco, sono decollate. L'ascesa della classe creativa è il motore economico decisivo: le città che sanno interessare i giovani talenti e che sanno valorizzare le loro idee, accettando i loro valori, sono i nuovi poli dello sviluppo.
- Dove vanno i creativi
La struttura fondamentale non è più la gerarchia ma la rete. Le relazioni di lavoro sono meno formali, la supervisione più morbida, l'attività più indipendente: la creatività non è una funzione che si accende e spegne con un interruttore ma fluisce dalle capacità della persona, dunque non può essere inquadrata in orari e tempistiche troppo costrittive. Del resto, lo stile di vita creativo induce a negare una netta distinzione tra lavoro e tempo libero: anzi, sia l'uno che l'altro sono apprezzabili se di fatto di rivelano esperienze che alimentano la creatività.
La formazione alla conoscenza degli strumenti tecnologici più adatti alla generazione di innovazione, la cura dei talenti e la tolleranza nei confronti della diversità culturale e degli stili di vita sono i segreti delle città che hanno successo. In uno slogan, "le tre T dello sviluppo economico" sono: tecnologia, talento, tolleranza.
La classe creativa non agisce secondo una coscienza collettiva, ma si muove in base alle tensioni interiori dei suoi componenti.
E questo ha finora generato una sorta di casualità delle direzioni verso le quali si muove l'innovazione. Proiettandosi verso il futuro, Florida si domanda se non sia possibile che la classe creativa possa assumere una certa consapevolezza della propria forza. Contribuendo così a indirizzare l'innovazione verso obiettivi che valga la pena di perseguire.
L'Italia il paese delle opportunità creative, per ora mancate. Florida dedica l'introduzione alla traduzione italiana del suo libro alle ricerche svolte sulla classe creativa in Italia. I risultati non sono positivi, specie per un paese che offre una straordinaria ricchezza di opportunità per alimentare la creatività. Sta di fatto che secondo i dati di Florida la classe creativa non supera il 13 per cento della forza lavoro, mentre il Olanda arriva al 30 per cento, al 29 in Finlandia, al 27 in Inghilterra.
L'Italia è al decimo posto, su 14 paesi europei analizzati, per quanto riguarda il numero di innovazioni brevettate in rapporto ai residenti. È undicesima su dodici paesi europei studiati in base al rapporto tra laureati e popolazione ed è dodicesima quanto alla presenza di ricercatori nei campi tecnico-scientifici. L'Italia infine ha una posizione relativamente migliore nell'"indice di tolleranza", essendo ottava in questa speciale classifica, ma anche da questo punto di vista resta comunque molto staccata dai leader che sono Svezia, Olanda e Danimarca.
Tratto da Value Partners Consulting