Lo abbiamo visto tutti. Ci ha colpito con la tenerezza, un sentimento difficile e talvolta controproducente da evocare in pubblicità. Ma in realtà questo spot nasconde un messaggio complesso - rivolto ai creativi, ai pubblicitari ed ai comunicatori - ed è bene riflettere sul perché abbia avuto tanto successo.
Ieri, il principale elemento trainante degli spot del Super Bowl era la preparazione, l'attesa, la suspense dell'anticipazione. L'unica cosa da fare era aspettare la partita, quel one shot col quale l'inserzionista poteva vincere gli allori della gloria o finire nel dimenticatoio. Il Super Bowl nel 2011 ha dimostrato di essere cambiato. Non solo perché uno spot ideato e prodotto non in agenzia ma in crowdsourcing, Doritos Pug Attack, è risultato essere al primo posto nella classifica Best-Recalled secondo Nielsen; e non solo perché quest'anno è stato massimo il ricorso alla strategia del buzz teasing, con Audi e GoDaddy su tutte che pubblicano frame ed anteprime sui social media.
Ma soprattutto perché, come sottolinea il CIO di Mullen Edward Boches, "i consumatori vogliono parlare degli spot e i marketer stanno iniziando a rendersi conto che il vero valore del loro investimento nel Super Bowl risiede nella conversazione che ne nasce online". Questa è la ragione per cui, quest'anno, a sbaragliare tutti gli altri inserzionisti ci ha pensato Volkswagen, il cui spot "The Force" risulta primo (solo) nella classifica Best-Liked di Nielsen. E lo ha fatto restando fedele ed allineato al suo ormai secolare tone of voice ironico, light e divertente. Il video attualmente raccoglie circa 24 milioni di visualizzazioni su Youtube; l'audience del Super Bowl si è aggirata sui 111 milioni. The Force è la storia di una famiglia tranquilla, che abita in una casa confortevole insieme ad un cane stoico e ad un figlio (o una figlia, a giudicare dalla cameretta ma.. in fondo che importa?) la cui immaginazione infantile sembra aver contagiato anche la creatività dei genitori. A sorprendere dello spot è il suo tempismo, a tal punto che forse il concetto stesso di tempismo nel Super Bowl andrebbe (e andrà) rivisto. Perché oltre alle giá citate visite su Youtube, The Force si è distinta per le conversazioni ed il sentiment positivo che ha saputo innescare già prima della partita, a partire da mercoledì 2, quando è stato caricato sul brand channel VW su Youtube.
Ecco cosa ha dichiarato Eric Springer, group creative director dell'agenzia dietro la campagna, Deutsch LA: "E' stato come quando sai di avere un'idea divertente, potente ed engaging. E la esegui fino allo sfinimento, con un regista bravo come Lance Accord e la rimetti in libertà. Facciamo pubblicità come queste con le migliori intenzioni... poi quando esplodono e piacciono a tutti, ci adagiamo sugli allori e diciamo semplicemente 'Eh sì, era proprio nostra intenzione fare uno spot spettacolare!'. Seriamente, direi che siamo fortunati ad avere una doppia razione di cultura pop con la quale lavorare. Da qualche parte, c'è un gruppo di quarantenni che indossa il costume di Darth Vader davanti al computer, guarda questo spot e si commuove. Aspettate un attimo, credo di aver appena ideato lo spot n°2 della campagna".
Una segretezza quasi a livello di segreto industriale proteggeva gli spot prima della fatidica domenica. E VW ha rotto la tradizione, pubblicando per la prima volta lo spot intero online. La lezione? Che si possono sperimentare diverse strategie di release: perché limitarsi alle prime visioni? perché incuriosire con i teaser? Se hai un ottimo spot, pubblicalo. E le conversazioni, i link, gli share e i tweet seguiranno naturalmente. Nonostante il tuo prodotto non compaia prima di 30 secondi e nonostante si decida di mostrarne un beneficio secondario.
E' sempre Boches a parlare delle 3 considerazioni alla base del successo di The Force:
1) Il momento di innesco della partecipazione: pubblicando lo spot in contropiede, VW ha riconosciuto ai consumatori due volte il ruolo di propagatori del sentiment, sottolineando la loro inclusione nella conversazione e nell'esperienza
2) La rivisitazione del controllo: la destination tv è un concetto che sta progressivamente sfumando. Perchè non dovrebbe essere lo stesso per l'advertising? Perché non distribuire un messaggio stando anche alle condizioni dei consumatori?
3) Il medium è il consumatore: il Super Bowl è diventato così rilevante per gli inserzionisti grazie all'audience che aggrega, ovviamente. Ma i social media configurano l'audience a sua volta come veicoli di contenuti ed è importante individuare e stimolare le motivazioni sottese al content sharing.
Ogilvy diceva "Se non vende, non è creativo" in un tempo in cui era normale ammettere che il marketing serviva a vendere, punto. Ma cosa penserebbe Ogilvy oggi del Cluetrain Manifesto? Della tesi "Niente paura, potete ancora fare soldi. A patto che non sia l’unica cosa che avete in mente"?. Come evidenzia Milke Scheiner di Porter Novelli, l'evento pubblicitario del Super Bowl attraversa– come qualsiasi altro evento del resto - 3 fasi: anticipazione, esperienza, ricordo. Dopo "The Force" è evidente che almeno due di queste fasi (la prima e la terza) si sono spostate online. Anzi, anche l'esperienza è online. E poiché tutto ciò che è online vive per sempre, è compito di tutti (inserzionista, creatore di contenuto ed event planner) massimizzare le 3 fasi in maniera tale che ciascuna possa aggiungere valore alla comunitá.