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  • “Outsiders”, perdenti che diventano vincenti: intervista ad Alfredo Accatino

    Il Chief Creative Officer di Filmmaster Events, tra i top speaker di N-Conference il 27 e 28 maggio, racconta il riscatto degli artisti dimenticati

    20 Aprile 2021

    Era fine estate − l’ultima “normale” − e, con la spensieratezza che mi caratterizza da quando ero in fasce, mi trovavo a Milano in piena organizzazione di N-Conference, il primo Business Visionary Show di Ninja, quando ancora si pensava che l’evento si sarebbe potuto svolgere dal vivo. In quel pomeriggio di sole e frenesia settembrina, mi recai presso gli studi di Filmmaster Events. Ero felice: in quel luogo si respiravano grandi eventi, creatività, idee, sogni e arte. “Sono Esther di Ninja, mi sta aspettando Alfredo Accatino”, dissi appena entrata in reception. Poco dopo arrivò lui, altissimo, barbuto e sorridente, ad accogliermi. Ero emozionata, lo ammetto, anche se avevo già avuto la fortuna di conoscere Alfredo Accatino, Chief Creative Officer di Filmmaster Events, in altre occasioni informali. Ma quello sarebbe stato il giorno della mia prima intervista a uno degli speaker di N-Conference. Stava nascendo qualcosa di nuovo e di unico. E chi meglio di Alfredo, per iniziare. Uno che di cose nuove e uniche ne ha fatte nella vita. È infatti il creativo e l’autore che ha firmato alcuni tra i più grandi eventi degli ultimi anni. Tra questi, è stato direttore artistico delle Cerimonie di Apertura e di Chiusura dell’Expo Milano 2015 nonché delle Cerimonie Olimpiche e Paralimpiche di Torino 2006. Non solo autore di eventi, ma anche sceneggiatore, autore televisivo e, non ultimo, scrittore. Io avevo con me il suo libro “Outsiders – Altre storie di artisti geniali che non troverete nei manuali di storia dell’arte”, il secondo della collana “Outsiders” (per il momento sono soltanto due, ma non si può sapere dove la curiosità porterà Alfredo). Da lì è iniziata la nostra chiacchierata.

    Perché “Outsiders”?

    È un libro d’ispirazione: noi che facciamo un lavoro creativo possiamo riconoscere questi artisti che sono di grande talento. L’idea è quella di raccontare l’espressione artistica fregandosene dell’alto e del basso o delle categorie. Nel libro trovi scultori, pittori, fotografi, uno street artist, un video maker, un fumettista, una spogliarellista. Quello che voglio dire è che in realtà l’espressione artistica vive al di là della suddivisione in “arte bassa” e “arte alta”. L’altro aspetto molto curioso è la drammaticità della vita che questi artisti hanno dovuto affrontare: qualcuno si è autodistrutto, qualcuno è stato preso dalla follia, qualcuno è stato vittima della droga, qualcuno è stato deportato in un campo di concentramento, qualcuno è stato perseguitato. Nel primo libro racconto di un artista chiattone che è morto in pantofole…

    Alfredo, tu a quale di questi tanti artisti ti sei più affezionato?

    Dick Ket aveva la sindrome delle “dita a bacchetta”, aveva un problema di circolazione sanguigna ed è stato costretto a vivere tutta la sua vita rinchiuso in casa. È morto giovane, a 38 anni, dentro un appartamento di 60 mq. Però, nonostante fosse prigioniero della malattia, non si arrese. Era ironico e, nella tragedia, ha continuato a credere nella vita e nei sogni. Scrisse barzellette fino alla sua morte. Aveva la gioia di vivere, nonostante quello che aveva passato. Io sono fissato con gli anni ’20 e ’30 quando, dopo la prima guerra mondiale, ci fu uno scoppio della vitalità. Nella Germania post bellica, la donna ottenne il suffragio universale. Si ebbe un’esplosione della libertà, anche sessuale. Se ci pensi, Esther, tutto quello che hai imparato della contemporaneità nasce proprio in quegli anni. Gli anni della Bauhaus, della diffusione dell’immagine, del cinema sonoro. Poi è arrivata la rivoluzione degli anni ’70. A me piace raccontare in ogni libro questa esplosione di cose diverse, da quello che vive sull’isola deserta, a quello che si sfonda di droga. Perché ognuno ha un suo mostro.

    Tu hai trovato un comune denominatore fra tutte queste storie, la ricetta che spiega chi è il vero “outsider”.

    Il libro si sarebbe dovuto chiamare “Perdenti”. Perché gli outsider sono perdenti per definizione: nascono nei posti sbagliati, nei momenti sbagliati, alcune di loro nascono in nazioni con Lettonia, Lituania, Armenia. Ora tu capisci che, se nasci in Armenia, è tutto più difficile. Allo stesso tempo, altre volte, nascono nei posti ipercongestionati. Nascere a Parigi all’epoca dei grandi non è affatto una fortuna, perché sei divorato. Per esempio c’era María Blanchard: lei era deforme, però i suoi quadri cubisti erano straordinari. Era innamorata di Juan Gris: lui però è diventato un mito, mentre lei la conoscono in pochissimi. Non fa parte del mainstream. Quelli come María sono tutti dei perdenti: uno è perdente perché ha ucciso la moglie e l’amante per gelosia, uno perché si è suicidato. Però ognuno in questo percorso è riuscito a esprimersi. Tutti questi perdenti in realtà sono vincitori. È un po’ il desiderio dell’orgoglio. Ecco perché ho deciso di scrivere questo libro: come per riscattare tutti questi perdenti e metterli sul carro dei vincitori.

    Come nasce l’idea di “Outsiders”?

    Nasce un po’ dalla storia della mia vita. Devi sapere, Esther, che mio padre era un pittore piemontese. Si chiamava Enrico Accatino ed è stato allievo di Felice Casorati. Autodidatta e pieno di tormento ha iniziato a dipingere e ha inventato quello che in Italia è oggi l’educazione artistica, ha fatto corsi. Io, sin da ragazzino, imbrattavo le tele. L’arte per me faceva parte della quotidianità. Ho conosciuto tanti artisti: alcuni di loro hanno avuto fortuna, altri sono stati completamente dimenticati. Io voglio portarli alla luce e raccontare le loro vite, che sono bellissime. Ognuno dei personaggi si racconta attraverso il proprio vissuto. Tutti noi abbiamo qualcosa da dimostrare, una ossessione, una luna nera. Gran parte della nostra vita ruoterà intorno a questo. Io ho voluto dedicarmi all’analisi di un mondo che finora non era stato svelato. Un libro nato surfando sulla rete: di molti di questi artisti non c’erano note in italiano. Come Concetta Scaravaglione, calabrese andata in America quando era ancora nella pancia della mamma e diventata scultrice: “la calabrese più famosa d’America che i calabresi non conoscono”. Dal progetto è nato anche un blog, progettooutsiders.com, un Museo immaginario che è nato anonimo, poi è cresciuto e mi hanno contattato per creare una rubrica di art e dossier dove mi occupo di artisti.

    Ma cosa contraddistingue davvero un “outsider” e chi sono gli “outsiders” di oggi?

    Gli outsiders devono avere due elementi. L’elemento letterario, ovvero una vita ricca, complessa, di disgrazie. Che ha una caratteristica che si confronta con la storia. E l’elemento artistico: devono produrre qualcosa che sia di talento, un elemento innovativo che incida nella storia. Come Harue Koga, che studiava per diventare monaco, ma era malato per l’Occidente e prendeva le immagini delle riviste per ricomporre la contemporaneità. Gli outsider di oggi? Probabilmente non li conosciamo, proprio perché sono outsider. Sono sparsi tra di noi, potremmo essere noi.

    >> Ti è venuta voglia di ascoltare altre storie di Outsiders? Prenota il tuo posto per N-Conference il 27 e 28 maggio. <<